Poche persone conoscono questa favolosa civiltà, e ciò è dovuto soprattutto, secondo l’archeologo Philip Coppens, al lavoro inibitore del grande ma molto dogmatico archeologo Vere Gordon Childe (1892-1957), che per molto tempo è stato un’autorità sulla fine della preistoria in Europa. Ricerche storiche e testimonianze forse insabbiate di proposito?
Si parla di una civiltà nata alla fine della preistoria ufficiale, del calcolitico, datata tra i 7000 e i 3000 anni a. C., e preceduta o accompagnata ai suoi inizi da una ancor più antica cultura, anch’essa poco conosciuta, la cultura di Starcevo.
Nel 1908 un gruppo di archeologi diretto da Miloje Vasic riportò alla luce diversi diversi reperti, siti molto importanti…
Grazie all’impegno di Vasić, il sito preistorico di Vinča fu esplorato nelle sue parti più importanti tra il 1918 e 1934. Gli scavi vennero interrotti dalla guerra e da problemi finanziari, ma, con l’aiuto dell’”Istituto archeologico della Russia imperiale” e di sir Charles Hyde, Vasić riusci a rinvenire una grande quantità di manufatti ora sparsi nei musei di tutto il mondo. Lo scavo fu visitato da numerosi eminenti studiosi del tempo: Veselin Čajkanović, Charles Hyde, John Linton Myres, W.A. Hurtley, Bogdan Popović e Gordon Childe.
Propaggini di questa cultura si trovano in tutti i Balcani, sia nell’Europa Centrale e Occidentale sia in Asia Minore.
Una vera e propria società organizzata in strutture ecumeniche ed egalitarie, di stampo matrifocale e pacifista. Mancano, infatti, nei siti archeologici esaminati fino a oggi i resti di palazzi o ricche tombe che possano testimoniare l’esistenza di differenti classi sociali. Mancano anche tracce di mura di difesa intorno ai centri abitati, il che porta alla conclusione che non ce ne sia stato bisogno e che non si temessero le guerre, perché queste comunità sarebbero riuscite a convivere l’una accanto all’altra in modo pacifico e non aggressivo.
Una società preistorica ed egalitaria per 3000 anni…
In particolare quest’ultimo elemento è di primaria importanza. Se ciò è vero, significa che un modello simile di società egalitaria è in ogni caso più pacifico e auspicabile del modello gerarchico con potere centralizzato che fu quello delle grandi culture successive come, per esempio, Sumeri ed Egiziani.
Soprattutto tenendo conto del fatto che se la cultura della Vecchia Europa ha avuto almeno una durata pacifica di ben 3000 anni, il nostro modello sociale gerarchico e guerresco si è rivelato,e si rivela ogni giorno di più, fonte di organizzazioni statali poco durature, di pericolose ineguaglianze sociali e tracolli economici, di tecniche non ecologiche dannose per tutto il pianeta e, insomma, un sistema assolutamente fallimentare.
A prescindere dall’egalitarismo sociale e dalla struttura focalizzata sull’importanza del ruolo femminile nelle comunità, secondo le profonde ricerche svolte da Marija Gimbutas queste culture della Vecchia Europa avevano in comune anche un culto concentrato su una divinità femminile dell’acqua e dell’aria. Principalmente questa veniva immaginata talvolta come donna-uccello e talvolta come donna-serpente. Anche donne-orso o donne-maiale appaiono però, occasionalmente, nell’oggettistica sacra delle comunità.
Che l’idea di un femminino sacro dominasse ogni aspetto della vita, è inoltre confermato dal fatto che in tutte le regioni comprese nell’area della Vecchia Europa siano state trovate moltissime statuette sacre dai tratti femminili (più di 30.000), mentre quelle maschili sono di numero molto inferiore. Ma non soltanto questo. I simboli delle dee dell’acqua e dell’aria tornano, come un leitmotiv, su tutta l’oggettistica, il vasellame e i modelli in creta dei templi e degli altari finora repertati. Sono losanghe, spirali, zigzag, onde, e uova di serpente e uccello.
Le popolazioni della Vecchia Europa avevano già raggiunto un livello notevole nello sviluppo delle tecniche agricole e coltivavano frumento, orzo, veccia, noci e altri legumi. Avevano addomesticato tutti i tipi di animali presenti oggi nei Balcani, a parte il cavallo. Producevano ceramica, lavoravano la pietra e l’avorio. La metallurgia fu introdotta nell’Europa centro-orientale intorno al 5500 a.C.
Lo scambio commerciale fra comunità di diverse aree geografiche era molto attivo, come testimoniano i numerosi ritrovamenti di conchiglie, ossidiana e alabastro in differenti regioni della Vecchia Europa. E poi sembrano aver sviluppato addirittura un sistema di scrittura, il più antico in assoluto.
La scrittura Vinča, nota anche come Alfabeto Vinča o scrittura Vinča-Turdaş sono un insieme di caratteri trovati su alcuni manufatti preistorici provenienti dall’Europa sud-orientale. Alcuni studiosi sostengono che si tratti del primo esempio di scrittura appartenente alla cultura di Vinča, sviluppatasi lungo il corso del Danubio tra il VI e il III millennio a.C. Secondo la maggior parte degli studiosi, tuttavia, essi non possono rappresentare un sistema di scrittura data l’eccessiva ripetizione di alcuni simboli e la eccessiva brevità delle successioni di carattere, sostenendo quindi che la prima vera testimonianza di scrittura rimane la scrittura cuneiforme.
Secondo la maggioranza degli esperti i simboli Vinča possono essere classificati come un sistema di protoscrittura, ovvero come un sistema di simboli che rimandano ad un concetto, ma non di scrittura vera e propria.
La scoperta di questo sistema simbolico risale al 1875 durante alcuni scavi archeologici eseguiti con la sovrintendenza dell’archeologa ungherese Zsófia Torma presso la località rumena di Turdaş nel distretto di Hunedoara, dove vennero alla luce alcuni manufatti di terracotta contenenti alcuni simboli fino ad allora sconosciuti. Reperti molto simili vennero trovati nel 1908 nei pressi di Vinča, una località nelle prossimità di Belgrado, in Serbia a circa 120 km dal primo ritrovamento. Successivamente altri reperti della stessa natura furono trovati nei pressi di Banjica, un altro sobborgo di Belgrado.
Gran parte dei simboli sono incisi su vasellame di terracotta, insieme a piccole statuette ed altri manufatti di altra natura. Gran parte delle iscrizioni, circa l’85%, sono composte da singoli simboli. Essi sono in gran parte simboli astratti mentre altri sono zoomorfi.
L’importanza di questi simboli consiste nel fatto che essi risalirebbero al IV millennio a.C. ovvero sarebbero una scrittura molto precedente a quella ritrovata ad Uruk. L’analisi di questi simboli ha mostrato una forte differenziazione rispetto alle scritture del Medio Oriente e i risultati portano ad ipotizzare che questi due sistemi si siano sviluppati nel tempo in maniera indipendente e separata. Esistono tuttavia delle analogie con altre iscrizioni e simboli trovati altrove, sempre risalenti al neolitico, come in Egitto, Creta e persino la lontana Cina.
La natura e lo scopo di questi simboli rimangono tuttora immerse nel più profondo mistero. Non è infatti chiaro se essi siano stati prodotti con lo scopo di esprimere un linguaggio specifico, o se essi siano una sorta di alfabeto, sillabario o altro del genere. Sebbene siano stati fatti numerosi tentativi di decifrare i simboli non esiste tuttavia una traduzione plausibile del loro significato.
Qui si pone la questione di capire come una civiltà ancora più antica e datata della preistoria potesse avere conoscenze così avanzate.