Prima la domanda, poi l’offerta: Francesco nel giro di poche ore si concentra sui due pistoni di quello che è il motore immobile dell’economia capitalista, e li trova ad alto rischio di grippaggio. Siamo ad un passo dall’eccesso di attrito radente, si può bloccare tutto il meccanismo. I primi, preoccupanti segnali già si vedono nei cieli sempre più gonfi di polveri sottili, nelle migrazioni bibliche e forzate, nelle vetrine piene di luci splendenti quanto inutili.
“Tutto è collegato”, spiega il pontefice. E, sia chiaro, non è che il produrre beni e ricchezza, come anche il consumare i primi ed anche la seconda, sia una cosa malvagia. La sua non è una rivolta contro il mondo moderno. È, semmai, il contribuito a salvare l’anima, e non solo quella, della modernità. La prima riflessione compiuta da Bergoglio data al momento dell’inizio dell’Avvento.
Tempo di attesa, normalmente passato tra Babbi Natali di origine celtica e cartoni animati sullo Spirito del Natale che tanto sanno di New Age. Soprattutto ore in cui si prepara la nuova ondata di shopping compulsivo dopo la fiammata, già divenuta cenere, del Black Friday.
Il pontefice celebra in San Pietro di fronte ad una comunità di cattolici congolesi, non esattamente un modello di gente disposta a tutto per spendere. Ma il Vangelo fa accenno a quello che era l’uomo prima del Diluvio: una creatura che sapeva possedere e poi possedere e ancora possedere. “Non c’era attesa di qualcuno, soltanto la pretesa di avere qualcosa per sé”, descrive la scena Papa Francesco, “la pretesa di avere qualcosa da consumare noi. Questo è il consumismo”.
Quindi Francesco affonda: “Il consumismo è un virus che intacca la fede alla radice, perché ti fa credere che la vita dipenda solo da quello che hai, e così ti dimentichi di Dio che ti viene incontro e di chi ti sta accanto. Il Signore viene, ma segui piuttosto gli appetiti che ti vengono”.
E se qualcuno trovasse eccessivo l’accostamento al Diluvio, catastrofe naturale per eccellenza, ecco la seconda riflessione. Dopo aver descritto infatti gli eccessi perversi della domanda del mercato, quando essa è priva di un autentico bisogno alla sua base e diviene irresponsabile consumo di risorse, Papa Francesco si rivolge all’offerta. Riceve all’interno delle Sacre Mura un gruppo di circa 300 giovani imprenditori francesi, che si accostano a lui in cerca di lumi, e spiega: “L’imprenditore cristiano è a volte portato a mettere a tacere le proprie convinzioni e i propri ideali”.
Come incipit del discorso, non c’è male. Come anche l’esortazione successiva: l’operatore economico deve “assumersi la propria responsabilità, alla luce della sapienza cristiana e facendo attenzione rispettosa alla dottrina del Magistero”. Insomma, essere imprenditori non vuol dire adorare il mercato al posto di Dio.
In termini concreti: esiste una Dottrina Sociale della Chiesa, ascoltatela. Soprattutto applicatela. Esiste la giusta necessità di competere e produrre, creando così ricchezza e lavoro. Ma ci sono anche altri criteri di cui tenere conto: il lavoro e le sue condizioni, la sua stabilità, i salari, l’ambiente. Non è un caso che Bergoglio si riferisca esplicitamente a questo e al “moltiplicarsi delle schiavitù“. Come quella (non lo dice oggi, ma lo ha fatto in passato) che vede madri di famiglia costrette a lavorare 10 o 12 ore al giorno per poche centinaia di euro al mese. Per non dire delle condizioni di lavoro nelle economie emergenti.
Bergoglio rimanda quindi i giovani imprenditori francesi ad un’attenta lettura della Laudato Sì: in quelle pagine viene fatta “una certa valutazione della situazione del mondo, di alcuni sistemi che ne regolano le attività economiche, con le loro conseguenze sugli uomini e sull’ambiente“. Magari “potrebbe sembrare a volte severa, ma porta a suscitare un grido di allarme per il deterioramento della nostra casa comune, come pure davanti al moltiplicarsi delle povertà e delle schiavitù che conoscono oggi innumerevoli esseri umani. Tutto è collegato”.
Ma in fondo, che tipo di economia ha in mente il Papa che ha già convocato ad Assisi, per marzo, un megaconvegno dedicato proprio ai temi dell’economia? Intervistato dall’Agi a suo tempo, il suo ascoltatissimo consigliere Stefano Zamagni ha spiegato che esiste non un semplice terza via tra liberismo e socialismo, vale a dire la socialdemocrazia. Ne esiste addirittura una quarta. Si chiama economia civile di mercato, e in fondo non è nulla di nuovo. Elaborarono il principio in quella capitale europea della cultura che fu, nel ‘700, la Napoli delle riforme.
Nelle parole di Zamagni “il modello proposto da Keynes, da solo oggi non è più in grado di affrontare le nuove sfide”. Per l’economia classica l’importante è la massimizzazione del bene totale, del Pil. Per l’economia civile invece “il fine è la realizzazione del bene comune. La prima considera l’economia un’attività che nulla ha a che vedere con l’etica e la politica, la seconda esige che tra le tre sfere ci sia un dialogo continuo”. Il motore immobile, in altre parole, non è più il mercato per il mercato, e nemmeno l’intervento statale. Al centro c’è “la comunità, la società civile organizzata che si regolamenta e reinventa la politica”. Forse il motore immobile di pistoni ne ha tre. Emanuela Maria Maritato