La notizia della chiusura del canale Youtube di Radio Radio, è molto grave, perchè, aldilà della riapertura quasi immediata dello stesso dopo soltanto 24 ore, pone in evidenza un problema, che sembra non essere limitato al caso specifico, quello di una crescente censura verso i mezzi d’informazione liberi, non legati al sistema di potere economico, politico e sociale. Sin qui, niente di nuovo sotto il sole, visto che l’Italia, risulta al 78° posto nella classifica di “Reporters Senza Frontiere” sulla libertà di stampa. Ma quello che deve preoccupare non solo la stampa, ma anche i suoi usufruitori, sono le modalità di questa forma di censura, che, adesso, di fatto, è stata privatizzata risultando difficile da intendere come tale. Se fino a qualche decennio fa, infatti, erano il politico od il potente di turno, che telefonavano alle autorità di sorveglianza, lamentandosi del tale programma o del tale giornale, per fare pressione sugli editori per cambiare la loro linea, usanza che peraltro sopravvive presso qualche nostalgico, adesso la funzione di Catone il censore, che aveva una sua ritualità dialettica e prevedeva comunque una sorta di dibattito tra le parti, viene svolta, in modo asettico, del tutto privo di dialogo od argomentazione, dai cosiddetti social media, che sono diventati, attraverso i complicati, e spesso sconosciuti nel loro funzionamento, algoritmi che governano i loro software, gli arbitri assoluti, ed insindacabili del politicamente corretto. Per fare una metafora calcistica, è come se l’arbitro non scendesse più in campo, e tutte le decisioni su ciò che accade durante la partita, le prendesse la VAR, con l’impossibilità dei tifosi di attribuire all’arbitro umano ogni responsabilità. Tutto estremamente efficace, ma anche, estremamente pericoloso perchè incontestabile a priori. E se già nel calcio, che comunque ha delle regole ben definite di per sè, che limiterebbero gli eccessi della tecnologia, un’applicazione del genere, risulterebbe quantomeno fastidiosa, figuriamoci in un campo nel quale le regole non dovrebbero esistere come quello delle idee, e della libertà di esprimerle, con quest’ultima che peraltro giova ricordarlo, è iscritta nella Costituzione della Repubblica Italiana. Siamo quindi di fronte ad un grande inganno, ordito dai cosiddetti “padroni del vapore”, che permette loro di rendere “social”, quindi apprezzato, e percepito come vero a prescindere, dai fruitori finali dell’informazione, quello che in realtà, nulla ha di sociale rappresentando l’essenza stessa dell’asocialità, figlia dell’arroganza di chi si sente “elevato” od “eletto”, appunto, nel ruolo di Catone il censore, senza avere le caratteristiche minime di moralità ed obiettività, necessarie per sostenere tale compito. Come si fa infatti a sostenere che un sito come quello di Radio Radio, con oltre trent’anni di vita durante i quali ha sempre manifestato serietà, indipendenza e libertà d’idee, ma anche grande professionalità giornalistica, possa essere chiuso da un algoritmo su Youtube, che magari capisce fischi per fiaschi, e procede in automatico a rimuovere da internet il canale, mentre un qualsiasi utente privato che offende e minaccia realmente gli altri solo perchè usa parole non censite nella lista nera dallo stesso algoritmo, viene graziato, e può continuare nella propria azione discriminatoria e/o diffamatoria. Insomma, occorre ripensare alla politica buonista a senso unico alternato, che oggi caratterizza il mondo dei social media, con il tacito assenso dei politici che affidandosi alla censura algoritmica, evaporano, e non si espongono più alle critiche dei fruitori finali dell’informazione, ormai abituati alle decisioni tecnocratiche. Ma per arrivare a ciò, occorre che gli organi d’informazione seri e professionali pur esistenti, ed anche in gran numero, consapevoli dei loro valori e della loro libertà costituzionalmente garantita, si mobilitino, non solo, oggi, per la pur doverosa solidarietà a Radio Radio, ma anche, da oggi, per difendere chi non ha le spalle abbastanza larghe per parare i colpi bassi della censura 2.0, denunciandola pubblicamente ai propri lettori e/o ascoltatori, e/o spettatori.
Luca Monti
Io aderisco a titolo personale alla campagna “Dubito Ergo Sum”, a difesa della Libertà di Stampa e d’Opinione