Nessun nome nei titoli di coda, il documentario di Simone Amendola arriva su Chili dal 17 giugno, dopo l’interruzione della programmazione a seguito dell’emergenza coronavirus e dopo essere stato il primo film in Italia a tornare su uno schermo il 18 maggio.
Nessun nome nei titoli di coda, presentato alla 14ma edizione della Festa del Cinema di Roma, è un racconto vivo e intriso di tenerezza che fa di una comparsa un protagonista, e insieme il racconto di un cinema vissuto con grandissima passione e professionalità.
Come ha dichiarato ultimamente il regista Pupi Avati: ‘…è un lavoro prezioso, mi ha molto colpito, a tratti addirittura commosso. Racconta un uomo che ha partecipato alla grande storia del cinema italiano restando sempre nell’ombra. Questo film gli restituisce quella visibilità che merita. Mi auguro lo vedano in tanti…’
Dopo il debutto all’ultima Festa del Cinema di Roma, il film ha ricevuto il Premio del Pubblico all’ARFF di Amsterdam e la Nomination Miglior Documentario Internazionale ai Fabrique du Cinema. In coincidenza con l’uscita in sala, ha ottenuto il Patrocinio Fellini 100 dal MiBACT.
SINOSSI
Cinque fratelli che dal dopoguerra hanno cercato le facce giuste per il cinema italiano e internazionale passato da Roma. Dei cinque, Antonio, a 80 anni suonati, è ancora lì, sul suo campo di battaglia, Cinecittà. All’approssimarsi dell’idea di una fine, come ogni uomo, vorrebbe lasciare un nome nei titoli di coda.
C’è una sequenza, i funerali di Fellini, che è in qualche modo la chiave del documentario. Mentre monta la commozione negli occhi dei presenti (da Gassman alla Vitti ci sono tutti) la regia si sofferma qualche istante su un gruppo di uomini di mezza età, una decina circa. Paolo Frajese emozionato ce li racconta: ‘Questi che vedete sono gli artigiani che hanno fatto il cinema, volti a me e a voi sconosciuti ma che a ognuno Fellini aveva dato un soprannome affettuoso’.
Al centro del gruppo, commosso, c’è Antonio Spoletini. Antonio oggi, a 82 anni, non smette di fare il suo lavoro con passione. Nelle sue iconiche telefonate come conigli dal cilindro sbucano all’improvviso Cleopatra e Orson Welles: ‘Faccio prima a dì con chi non ho lavorato!’ Si muove dentro Cinecittà come a casa. Ha fatto un pezzo di strada con tutti, che siano lo scenografo Premio Oscar Dante Ferretti, o il suo ex figurante (ormai star) Marcello Fonte, ma c’è un luogo dove le emozioni lo tradiscono ancora: il Teatro 5.
In Nessun nome nei titoli di coda il rapporto di Antonio con ‘Federico’ è il filo drammaturgico che salda l’azione del presente e la memoria: Antonio cerca una copia in pellicola di un film di Fellini a cui ha lavorato e cui è profondamente legato: Roma.
E questa ricerca diventa l’anima del film. Perché incornicia il personaggio nel momento della vita in cui si tirano le somme, in cui si acuisce una sensibilità. E grazie a questa nuova fragilità vengono a galla le cose più intime che sono le emozioni più universali.
Arianna Calandra