Albert Pike, chi era costui? Probabilmente, in Italia il nome di Albert Pike, o è sconosciuto, o viene citato, a sproposito dai cosiddetti complottisti, che lo associano, a fantomatiche decisioni di quello che viene definito genericamente come Nuovo Ordine Mondiale. In realtà, Albert Pike, come tutti i personaggi storici degni di questo nome, tanto da arrivare ad avere statue dedicate, appunto, era un uomo complesso e poliedrico, e cercheremo di spiegarlo meglio, sia pur nel breve spazio di un articolo. Albert Pike, era, innanzitutto, un figlio del suo tempo l’800 americano, e non può essere analizzato svincolando l’uomo dal periodo storico nel quale visse. Purtroppo, oggi la tendenza, è quella di giudicare un uomo dell’800 americano, appunto, con gli occhi dell’italiano medio degli anni 2000, perchè si è fatta spazio la cultura del politicamente corretto ad oltranza, che deve riscrivere la storia del passato, secondo i canoni del presente. Nel caso di Albert Pike, la cosa è quanto più evidente, stanti le assurde dicerie che girano in rete sul suo conto. Gli viene, infatti, attribuita la programmazione delle due guerre mondiali, e di una terza che dovrebbe ad oggi, ancora verificarsi, ma tale teoria, appare assurda, alla luce di un semplice ragionamento logico. Come poteva, infatti, un uomo morto nel 1891, riuscire a programmare nei dettagli due guerre mondiali, la prima delle quali si svolse oltre vent’anni dopo la sua morte? Questo è impossibile, in quanto chiunque si occupi di sociologia e di antropologia, anche in modo dilettantesco, sa che in oltre vent’anni cambiano radicalmente le condizioni di vita, per cui una guerra può essere programmata in un arco temporale di massimo cinque anni, scaduto il quale gli effetti sarebbero totalmente diversi da quelli auspicati dall’ipotetico “programmatore”. Ovviamente non possiamo escludere ed alcuni brani sparsi e non organici delle sue opere farebbero intendere questo, che Albert Pike, avesse dei poteri di profezia, ma il prevedere un evento, è molto diverso dal programmare lo stesso. Tuttavia, anche qui restiamo nel campo minato delle ipotesi, perchè non vi è niente di più facile che reperire fra gli scritti di qualsiasi scrittore e giornalista di rilievo quale Albert Pike fu, dei brani sparsi che sembrano alludere ad un determinato evento decontestualizzarli, mescolarli insieme con un copia/incolla, e creare quindi una presunta profezia da parte del personaggio in questione. Albert Pike, invece fu sicuramente un grande esoterista, e nota è la sua appartenenza alla massoneria, della quale, oltre ad essere un 33° Grado, ultimo del Rito Scozzese Antico ed Accettato, che è il più praticato, ha scritto una sorta di opera magna, che sono i suoi Moral’s and Dogma che hanno, in qualche modo attualizzato dopo oltre un secolo le Costituzioni di Anderson. Ed è proprio qui che nasce un ulteriore equivoco sulla figura di Albert Pike, in quanto i suoi Moral’s and Dogma, sono, per certi versi, in antitesi ideologica con le Costituzioni di Anderson, che, essendo pastore anglicano, comunque cristiano pur se riformato, davano ampio spazio al lato religioso della massoneria. Tali Costituzioni, vennero, appunto laicizzate da Albert Pike, in senso anticlericale, tanto da valergli il soprannome di “Papa della Massoneria”, e da attribuirgli una presunta fede satanista. Ma per smentire il presunto satanismo di Albert Pike, basta considerare la fonte primaria di tale ipotesi, vale a dire lo scrittore francese Leo Taxil e le sue varie opere, scritte con diversi pseudonimi, e rimaste tuttora come un classico della propaganda antimassonica. Lo stesso Taxil, infatti, ammise, al culmine della sua fama come scrittore ed opinionista, in una conferenza pubblica, a Parigi, dalla quale dovette scappare, per non essere poi aggredito dai molti presenti in sala, di essersi inventato tutto, e siccome negli scritti di Taxil, vi sono espliciti riferimenti ad Albert Pike, ecco che l’ipotesi di una fede satanista di quest’ultimo è destinata a cadere per mano stessa di colui che contribuì ad alimentarla, e lo stesso dicasi per la sua presunta appartenenza al Ku Klux Klan, mai ritrovata in alcun documento, e quindi da ritenersi del tutto infondata, rientrando nel filone letterario delle cosiddette chiacchiere da Bar Sport. Albert Pike, quindi fu semplicemente come detto, un uomo del suo tempo ed espressione umana delle contraddizioni che tale periodo storico esprimeva fra le quali la più rilevante fu senza dubbio la cosiddetta guerra di secessione che infiammò gli Stati Uniti, e durante la quale, egli si schierò dalla parte dei Confederati, forse più per spirito conservatore dei valori che lo caratterizzavano e perchè influenzato dal movimentismo politico della massoneria europea, più che per vero ideale, tanto che non ebbe alcun problema, il giorno successivo alla fine ufficiale della guerra, il 24 giugno 1865, a chiedere scusa con una sorta di lettera aperta, al presidente Andrew Johnson, subentrato da vicepresidente a Lincoln, dopo l’assassinio di quest’ultimo. La lettera aperta di Albert Pike, nella quale egli scriveva, tra le altre cose di voler: “Perseguire le arti e la pace, praticare la mia professione vivere in mezzo ai miei libri e lavorare a beneficio dei miei compagni, al di fuori dei compiti politici”, venne accolta dal presidente Johnson, dopo quasi un anno, con il perdono ufficiale che gli venne riconosciuto il 23 aprile 1866. Ed evidentemente aldilà della lettera aperta che egli inviò al presidente degli Stati Uniti, allora in carica, Albert Pike dovette esserselo meritato coi fatti, il perdono vista la collocazione, unica tra i generali confederati, di una sua statua a Washington, in Judiciary Square, abbattuta e data alle fiamme due giorni fa durante una manifestazione del movimento Black Lives Matter. Come nel caso, questa volta italiano, del solo imbrattamento, per fortuna, della statua di un altro giornalista, Indro Montanelli, la scusa per l’abbattimento della statua di Albert Pike, è stato il presunto razzismo dello stesso, ma come detto all’inizio, non possiamo giudicare il passato con i parametri del presente, altrimenti, oltre a cadere nel ridicolo dal punto di vista della metodologia di ricerca storica, rischiamo di precipitare in un nuovo medioevo, forse più oscurantista di quello precedente, che almeno non poteva vantare la pletora di strumenti informativi che caratterizza il nostro oggi, ma che purtroppo viene spesso usata a sproposito. Ci auguriamo quindi la fine di quest’assurda iconoclastia che assomiglia sempre più ad un vero e proprio suicidio culturale dell’uomo occidentale contemporaneo, senza che alla cultura precedente venga aggiunto niente. Si tratta infatti di una distruzione più che di una sostituzione culturale.
Luca Monti