L’assegno ordinario di invalidità (Categoria IO) è una prestazione economica che spetta ai lavoratori dipendenti e autonomi, ascritti all’assicurazione generale obbligatoria INPS. Quindi hanno diritto i lavoratori dipendenti, autonomi (artigiani, commercianti, coltivatori diretti,coloni e mezzadri) e iscritti ad alcuni fondi pensioni sostitutivi ed integrativi dell’assicurazione generale obbligatoria.
Per il diritto all’assegno è necessario avere un’infermità fisica o mentale, non derivante da causa di servizio, accertata dai medici dell’INPS, tale da provocare una riduzione della capacità di lavoro di due terzi della capacità di lavoro, in occupazioni confacenti alle attitudini del lavoratore. Inoltre, è necessario che ci siano 5 anni di contribuzione ( pari a 260 contributi settimanali), di cui almeno 3 anni (pari a 156 contributi settimanali) versati nei 5 anni precedenti alla data di presentazione della domanda (art. 4, Legge 222/84).
E’ importante precisare che l’assegno ordinario di invalidità non è una pensione definitiva. Infatti, al compimento dell’età pensionabile, viene trasformato in pensione di vecchiaia. L’assegno si trasforma automaticamente, purché l’interessato abbia cessato l’attività di lavoro e possegga i requisiti contributivi previsti per il trattamento pensionistico di vecchiaia.
Nel caso ci fossero dei periodi in cui si è beneficiato dell’assegno ma non si hanno contributi da lavoro – per non aver svolto attività lavorativa – tali periodi vengono considerati utili per il raggiungimento del diritto alla pensione; non sono utili, invece, a determinare la misura della pensione. In ogni caso la pensione di vecchiaia non può risultare di importo inferiore all’assegno ordinario di invalidità in godimento fino al compimento dell’età pensionabile
Il riferimento normativo che regolamenta la prestazione è la Legge 12 giugno 1984, n. 222 . In particolare l’art. 1 comma 10 della Legge 222/84 stabilisce che:
10. Al compimento dell’età stabilita per il diritto a pensione di vecchiaia, l’assegno di invalidità si trasforma, in presenza dei requisiti di assicurazione e di contribuzione, in pensione di vecchiaia. A tal fine i periodi di godimento dell’assegno nei quali non sia stata prestata attività lavorativa, si considerano utili ai fini del diritto e non anche della misura della pensione stessa. L’importo della pensione non potrà, comunque, essere inferiore a quello dell’assegno di invalidità in godimento al compimento dell’età pensionabile.
Per i titolari di assegno di invalidità la legge prevede un primo taglio, cioè una riduzione dell’assegno, se il titolare continua a lavorare e supera un determinato limite di reddito. L’assegno si riduce:
del 25% se il reddito supera 4 volte il trattamento minimo annuo;
del 50% se supera 5 volte il trattamento minimo annuo.
Tuttavia, se l’assegno già ridotto resta comunque superiore al trattamento minimo può subire un secondo taglio, in questo caso una trattenuta. Ciò dipende dall’anzianità contributiva sulla base della quale è stato calcolato:
con almeno 40 anni di contributi non c’è alcuna trattenuta aggiuntiva, perché in questo caso l’assegno è interamente cumulabile con il reddito da lavoro dipendente o autonomo;
con meno di 40 anni di contributi scatta la seconda trattenuta che varia a seconda che il reddito provenga da lavoro dipendente o autonomo.
Nel primo caso, lavoro dipendente, è pari al 50% della quota eccedente il trattamento minimo. Nel secondo caso, lavoro autonomo, invece è pari al 30% della quota eccedente il trattamento minimo e comunque non può essere superiore al 30% del reddito prodotto.
In caso di trasformazione dell’assegno in pensione di vecchiaia la pensione è cumulabile con i redditi da lavoro.
Fonte superabile inail