Il risarcimento del danno derivante dal DEMANSIONAMENTO
Con sentenza n. 19434 dell’11 settembre 2006, la Cassazione ha affermato che
la circostanza secondo la quale un lavoratore sia già provato per stress a causa
della sua vita familiare non esclude che sullo status abbia agito, quale concausa
all’insorgere dello stato depressivo, la durezza dei carichi lavorativi relativi all’attività
svolta.
Come ha stabilito Cass., Sez. lavoro 23 marzo 2005 n. 6326: “L’adibizione a
mansioni inferiori a quelle originariamente svolte, produce un danno liquidato in
via equitativa, nel minimo pari al 30% del trattamento economico corrisposto nello
stesso periodo, oltre accessori”.
“L’ equivalenza delle mansioni, che condiziona la legittimità dell’esercizio dello
ius variandi, a norma dell’art. 2103 C.C. e che costituisce oggetto di un giudizio di
fatto che, se congruamente e logicamente motivato, è incensurabile in Cassazione,
va verificata, infatti, sia sul piano oggettivo, e cioè sotto il profilo della inclusione
nella stessa area professionale e salariale delle mansioni iniziali e di quelle di destinazione,sia sul piano soggettivo, in relazione al quale è necessario che le due mansioni siano professionalmente affini, nel senso che le nuove si armonizzino con le capacità professionali già acquisite dall’interessato durante il rapporto lavorativo, consentendo ulteriori affinamenti e sviluppi”. – Cass., lavoro, n. 11457/2000.
“Di regola, peraltro, in relazione agli atti datoriali, contrastanti con i principi di
correttezza e buona fede, ex artt. 1175 e 1375 C.C., la giurisprudenza usa il termine
di illegittimità dell’atto. Anche quando si modificano di fatto le mansioni del lavoratore,
per abuso del comportamento datoriale, si violano i canoni ermeneutici
succitati”. – Cass. n. 11271/1997; Cass., Sez. Un. 500/1999; Cass. n. 11957/2003.
“Sussiste, dunque, secondo la giurisprudenza di legittimità, un diritto del lavoratore
all’effettivo svolgimento della propria prestazione di lavoro, la cui lesione da parte
del datore di lavoro costituisce un inadempimento contrattuale che determina,
oltre all’obbligo di corrispondere le retribuzioni dovute, l’obbligo del risarcimento
del danno da dequalificazione professionale. La prova del nocumento può essere
anche presuntiva”. – Cass. 15 giugno 1983 n. 4106; Cass. 06 giugno 1985 n. 3372;
Cass. 10 febbraio 1988 n. 1437; Cass. 13 novembre 1991 n. 12088; Cass. 15 luglio
1995 n. 7708; Cass. 04 ottobre 1995 n. 10405; Cass. 2001/14199; Cass. n.
16792/2003 e n. 13580/2001.
Tale importo è stato determinato equitativamente ex art. 2056 co. 1° c.c., secondo
il più recente orientamento giurisprudenziale (Cass. Sez. Un. 17 febbraio
1995, n. 1712).
“Il demansionamento produce danno alla dignità e personalità morale del lavoratore,
ex articolo 41 Costituzione, liquidabile in via equitativa e pregiudica l’opportunità
di progressione in carriera”. – Cass. sez. lav., 06 novembre 2000, n. 14443.
Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 26 maggio 2004, n. 10157 ha statuito che:
“Il danno da dequalificazione professionale attiene alla lesione di un interesse costituzionalmente
protetto dall’art. 2 della Costituzione, avente ad oggetto il diritto
fondamentale del lavoratore alla libera esplicazione della sua personalità nel luogo
di lavoro secondo le mansioni e con la qualifica spettategli per legge o per contratto,
con la conseguenza che i provvedimenti del datore di lavoro che illegittimamente
ledono tale diritto vengono immancabilmente a ledere l’immagine professionale, la
dignità personale e la vita di relazione del lavoratore, sia in tema di autostima e di
eterostima nell’ambiente di lavoro ed in quello socio familiare, sia in termini di
perdita di chances per futuri lavori di pari livello. La valutazione di tale pregiudizio,
per sua natura privo delle caratteristiche della patrimonialità, deve essere effettuata
dal giudice alla stregua di un parametro equitativo, essendo difficilmente utilizzabili
parametri economici o reddituali”.
“Anche il danno esistenziale da dequalificazione professionale del lavoratore per
fatto ascrivibile al datore di lavoro è risarcibile”. – Cass. SS.UU. sent. 24 marzo
2006 n. 6572 e SS.UU. 24 novembre 2006 n. 25033 nonché Cass. Sez. Lav. 07
marzo 2007, n. 5221.
“Il danno morale e biologico da demansionamento è risarcibile”. – Cass. Sez. Unite,Sent. 24 marzo 2006, n. 6572.
Anche Cass. n. 14302/2006 ha affermato il diritto al risarcimento oltreché per
danno professionale anche per quello morale e biologico in favore del lavoratore
obbligato a svolgere mansioni non adeguate alla propria qualifica. La Corte ha
stabilito che “il risarcimento del danno morale in favore del soggetto danneggiato
per lesione del valore della persona umana è costituzionalmente garantito e prescinde
dall’accertamento di un reato in suo danno”.
“Il demansionamento costituisce lesione della dignità del lavoratore, tutelata dell’-
art. 41 Cost. e dall’art. 2087 C.C.. Ne consegue il diritto al risarcimento del danno
da liquidarsi in via equitativa, anche se non via sia la prova di conseguenze patrimoniali
negative”. – Cass., Sezione Lavoro n. 14443 del 06 novembre 2000, Pres.
Trezza, Rel. Mammone.
Il direttore generale, rappresentante legale dell’ente, è responsabile per i danni
derivanti dalle mansioni inferiori. – Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza n.
7980 del 27.04.2004.
La dequalificazione opera anche se si tratta di figure professionali appartenenti
allo stesso livello contrattuale di inquadramento (es. caposala). – Cassazione Sezione
Lavoro n. 7040 del 17 luglio 1998, Pres. Fanelli, Rel. Mileo. In particolare
i giudici deducono che: “mentre le mansioni di addetta alle pulizie possono essere
espletate da chiunque, quelle particolari abbisognano di un pur minimo bagaglio di
specifiche competenze tecniche del settore”.
“Il risarcimento del danno per la dequalificazione da mobbing va dimostrato in
giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo
rilievo la prova per presunzioni”. – Cassazione, Sezione lavoro, sentenza 26 marzo
2008, n. 7871.
“Il dipendente che abbia subito una dequalificazione può ottenere la condanna del
datore di lavoro a reintegrarlo nelle mansioni che gli spettano, oltre al risarcimento
del danno”. – Cassazione, Sezione Lavoro n. 4221 del 27 aprile 1999, Pres. Sommella,Rel. Prestipino.
“La dequalificazione è una violazione contrattuale. Il datore di lavoro è vincolato
dal dovere di correttezza e buona fede (limiti al ius variandi) che non gli permette
di attribuire mansioni inferiori al dipendente. Tale violazione corrisponde ad un
inadempimento contrattuale e quindi è risarcibile quando il lavoratore dimostri
che il datore abbia disatteso i predetti canoni”. – Cass. Sez. Lav. n. 11291
del 28.8.2000.
“Il danno da demansionamento è in re ipsa”. – Corte di Cassazione, Sezioni Unite
del 24 marzo 2006 n. 6572.
“Lo svolgimento di mansioni inferiori influisce negativamente sulla formazione e
sulla crescita professionale del dipendente tanto da depauperarne il proprio bagaglio
tecnico-culturale fino a limitare gravemente le proprie capacità e possibilità di sviluppo,danneggiando il prestigio, la carriera e la competenza specialistica in un determinato settore”. – Corte di Cassazione, Sezione Lavoro Civile, Sentenza del 23 marzo 2005, n. 6326.
Il principio giuridico che assurge dalla disamina di tutta la giurisprudenza in
materia e dalla normativa succitata è il seguente: l’infermiere non può svolgere
nessun atto proprio del personale ausiliario o del generico ma può svolgere
ulteriori mansioni che siano frutto della crescita professionale, dell’aggiornamento
e dei miglioramenti che rendono le sue prestazioni sanitarie
più raffinate, precise, competenti ed efficaci