Lo sciopero della fame a staffetta iniziato il 26 settembre scorso promosso dall’Avv. Francesca Pesce, direttrice del Dipartimento diritti umani di M.G.A. – Sindacato nazionale forense – si allarga e coinvolge anche molti rappresentanti della società civile.
Questa iniziativa, approdata anche alla Camera dei Deputati – grazie all’intervento del presidente della Commissione Giustizia che durante la commemorazione della collega turca Ebru Timtik ha manifestato solidarietà per MGA- si sta diffondendo su tutto il territorio nazionale, raccogliendo consensi e adesioni da parte di molti avvocati dei diversi fori, attivisti o semplici cittadini che con una staffetta calendarizzata della durata di tre giorni ciascuno, si avvicenderanno sino a luglio 2021.
Nei giorni scorsi è stato richiesto anche un supporto al CNF (Consiglio Nazionale Forense) e all’OCF (Organismo Congressuale Forense) perché è importante – attraverso uno strumento di lotta non violenta come lo sciopero della fame – manifestare la disapprovazione dei nostri organismi rappresentativi nazionali al governo di Istanbul che minaccia lo stato di diritto e persegue gli avvocati rei soltanto di esercitare il loro mandato difensivo.
L’Avv. Francesca Pesce annuncia che «Invieremo delle richieste formali anche al governo italiano ed alle istituzioni europee affinché si attivino tutti gli strumenti del diritto internazionale a tutela delle persone e dei diritti civili».
Del resto, duole constatare che in questi mesi, al di là di una generalizzata protesta proveniente dal mondo forense, i Paesi dell’Unione hanno assunto una posizione mite nei riguardi di Erdogan – e da quest’ultimo peraltro scarsamente considerata – che si è riverberata anche sugli organi d’informazione: l’opinione pubblica sembra infatti non avere contezza delle gravi violazioni ai diritti e delle fratture politiche che stanno attraversando l’intera area medio-orientale.
Purtroppo la situazione è molto più complessa di quanto si creda, occorrerebbe una profonda rifondazione democratica al fine di superare gli elementi di settarismo religioso ed etnico che hanno finora contraddistinto queste popolazioni. Le forze europee più evolute sul fronte dei diritti civili dovrebbero farsi interpreti di quest’esigenza, obbligando l’Unione Europea a un impegno concreto per lo stato di diritto e la salvaguardia dei diritti umani in tutta l’area.
L’Italia, con la risoluzione n. 3 di maggioranza del 30 ottobre 2019 per la situazione in Siria, si è impegnata a chiedere con forza il mantenimento della non belligeranza, ad attivarsi perché non siano perpetrate ulteriori violazioni dei diritti umani, ad intervenire in sede ONU per una forza multilaterale di interposizione in accordo con Russia e Turchia, a proseguire l’azione per l’immediata sospensione di esportazioni di armamenti, a prevedere strumenti di supporto alla popolazione civile e a valutare la riapertura di canali diplomatici con Damasco.
Purtroppo le minacce di sanzioni economiche e gli embarghi sull’esportazione di armi non stanno sortendo alcun effetto: di fatto l’UE condanna l’invasione in Siria, ma non riesce politicamente ad imporsi. D’altronde i rapporti fra UE ed Ankara sono sempre stati complessi, gli interessi economici industriali e il timore di una gestione irresponsabile della questione dei migranti da parte di Erdogan – che più volte ha minacciato di riaccendere le rotte – riducono il già marginale ruolo di Bruxelles ad attore geopolitico senza capacità di influire in maniera determinante sugli equilibri della scena internazionale.
Nonostante questo e nella piena consapevolezza di quanto sta accadendo, gli avvocati – vere sentinelle di pace – sono vicini alla popolazione turca, ai colleghi, ai magistrati, ai giornalisti, ai professionisti vittime di Erdogan e lo dimostrano portando avanti, ancora una volta, una silenziosa ma ferma protesta per la salvaguardia dei diritti umani.