“Est modus in rebus“ – C’è una misura nelle cose. Orazio
La giornata mondiale della Gentilezza nata grazie al Japan Small Kindness Movement – fondato a Tokyo nel 1988 – si celebra oggi in tutto il mondo.
Ma che cos’è la gentilezza?
Sul dizionario dei sinonimi e contrari troviamo: affabilità, affettuosità, amabilità, carineria, dolcezza, cordialità, cortesia, educazione, garbo, benevolenza, cavalleria, galanteria.
Nessuna di queste parole, però, sembrerebbe corrispondere al senso profondo di questo termine che suggerisce prospettive più ampie; una di queste potrebbe essere quella che la identifica nell’atteggiamento di chi è consapevole che la complessità del mondo spesso supera la nostra capacità di comprenderlo e, quindi, l’accettazione di questa complessità potrebbe essere la premessa per usarla come metodo per affrontare e risolvere i conflitti.
La gentilezza è, infatti, il più potente strumento per disinnescare le mine delle semplificazioni – quelle messe in atto dal sistema binario con cui in molti rigidamente interpretano il mondo (o bianco o nero), ponendosi in atteggiamento di chiusura e arrivando inevitabilmente allo scontro – perché ci ricorda che il modo in cui vediamo le cose non è mai l’unico possibile. Attenzione però: praticare la gentilezza non significa sottrarsi al conflitto, al contrario, significa accettarlo e renderlo un mezzo di possibile progresso e non un evento di distruzione.
Come scrive G. Carofiglio in “Della gentilezza e del coraggio” edito da Feltrinelli: «La gentilezza è una virtù marziale. […] “Sconfiggere il nemico senza combattere è l’abilità suprema” questa frase di Gichin Funakoshi, fondatore del karate moderno, ruota attorno all’idea di percezione dell’altro e alla ricerca di mezzi non traumatici di definizione dei conflitti. […]
La questione fondamentale è capire che il mondo funziona attraverso il conflitto, ci piaccia o meno. La tecnica (che non è solo tecnica, ha una dimensione concettuale, include un’idea del mondo) che dobbiamo imparare, consiste nel trasformare il conflitto in energia positiva quando è possibile; evitarlo quando è impossibile; renderlo più breve e meno dannoso se è inevitabile e ingovernabile.[…]
L’esperto di arti marziali quando si prepara a combattere non fa nulla. È attento, si muove per seguire i movimenti dell’altro, e da quei movimenti trae gli elementi per decidere come (re)agire se, e quando, sarà necessario. Potremmo dire che è attivamente immobile. […]
Invece di reagire opponendo in modo ottuso forza a forza, possiamo applicare il principio della cedevolezza per ottenere il metaforico sbilanciamento dell’avversario. Esso è la premessa per una rielaborazione costruttiva del dissenso e per la ricerca di possibili soluzioni condivise, o comunque non traumatiche. […]
“Ciò a cui opponi resistenza persiste. Ciò che accetti può essere cambiato” scriveva Jung.»
Applicando queste principi al dialogo si capisce quanto sia importante imparare ad ascoltare a mente aperta, senza preconcetti o sovrastrutture, ponendo un freno al proprio ego e tentando strade alternative allo scontro tout court.
Ma un sistema di valori così articolato è compatibile con quello della Giustizia?
È questo l’obiettivo dei c.d. Metodi alternativi di risoluzione delle controversie, anche detti A.D.R. (dall’acronimo inglese di Alternative Dispute Resolution) che – approdati nel nostro ordinamento con la finalità deflattiva del contenzioso giudiziario – propongono una serie di tecniche e procedimenti (mediazione, negoziazione, arbitrato) di risoluzione delle controversie, alternativi rispetto ai giudizi celebrati dinanzi al Tribunale.
Quale vantaggio offrono rispetto al canonico iter processuale?
Alcune procedure, come la Negoziazione Assistita, se applicate ad esempio al diritto di famiglia, possono diventare uno strumento di pacificazione sociale grazie alla snellezza e alla rapidità che le caratterizza: non di rado, infatti, i rapporti tra le parti migliorano, al contrario di quanto avviene in Tribunale, le cui lungaggini processuali sono corresponsabili del permanere dell’instabilità e della conflittualità, con conseguente aggravio dei relativi oneri economici.
Ci si può avvalere del procedimento della Negoziazione Assistita, per la definizione consensuale della separazione personale, della cessazione degli effetti civili del matrimonio o di scioglimento del matrimonio e relativi modifiche. Si tratta, dunque, di una procedura facoltativa che i coniugi – nella fase patologica del proprio rapporto matrimoniale – possono esperire in alternativa ai procedimenti dinanzi alle autorità giurisdizionali. Nella negoziazione in materia familiare, gli attori principali sono le parti che con l’ausilio e il supporto tecnico degli avvocati trovano loro stessi una soluzione al conflitto, negoziandolo personalmente e impegnandosi a cooperare in “buona fede e con lealtà”, secondo quanto stabilito dalla normativa che regola questa disciplina (d.l. n.132/2014 convertito con legge n.162/2014).
L’Accordo raggiunto, va precisato, non è mai una riconciliazione o una rinuncia totale alle proprie pretese, ma rappresenta la soluzione consensuale di un conflitto, nell’ambito di un sistema di giustizia basato sul consenso e non sulla coazione.
Quindi, come l’esperto di arti marziali è “attivamente immobile” per sintonizzarsi sull’avversario, così la parte nella Negoziazione Assistita deve procedere all’“ascolto attivo”: una tecnica di comunicazione efficace che crea empatia tra le persone e le predispone a confrontarsi in un clima di apertura e comprensione, non di competizione e aggressività.
L’empatia creata con l’ascolto attivo nasce dai neuroni specchio, che attivano un meccanismo – tra i più affascinanti mai studiati dalla neuroscienza – cosiddetto per imitazione, che si sviluppa sin dai primi attimi di vita nel rapporto di simbiosi affettiva che il neonato instaura con la madre e che proseguirà per il resto della vita dall’interazione con gli altri, essendo all’origine della nostra capacità di agire come soggetti non soltanto individuali ma anche e soprattutto sociali.
Non a caso, in una buona Negoziazione in ambito famigliare, è necessario che le parti siano capaci di:
a) manifestare capacità di confronto, comprensione e riflessione;
b) non rispondere alle possibili provocazioni e di non alimentare il conflitto, tenendo invece sotto controllo le proprie reazioni emotive;
c) fare lo sforzo mentale di proiettarsi oltre la crisi che stanno vivendo, progettando per sé e per i figli un futuro prossimo e remoto coerente con i bisogni, anche evolutivi, di ciascuno e con le concrete possibilità relazionali ed economiche di tutti i membri della famiglia.
Le Alternative Dispute Resolution, quindi, impongono il passaggio da una cultura fondata solo sul processo ad una cultura che lascia al processo solo le questioni irrisolvibili in sede stragiudiziale.
È chiaro che questi istituti, mutuati dalla tradizione anglosassone e statunitense, non possono risolvere tutti i tipi di conflitti, tuttavia è innegabile che – laddove possibile – il loro impiego abbia il pregio di suggerire una strada nuova: trasformare il conflitto in un’opportunità di progresso personale e sociale.
E dunque, prima di considerarli come strumenti deflattivi del contenzioso giudiziario, bisognerebbe apprezzarne il valore di nuova e preziosa risorsa per il vivere civile, giacché con essi assistiamo all’evoluzione del diritto e alla modernizzazione del sistema giustizia, funzionale anche al recupero del nostro Paese in termini di competitività e progresso sociale.
La gentilezza è anche questo.
Siate gentili: è il giorno giusto!