Il film “Divorzio all’italiana” di Pietro Germi del lontano 1961, racconta la storia del barone Cefalù – interpretato da un inarrivabile Marcello Mastroianni – infelicemente sposato con Rosalia perché innamorato della giovane Angela, Stefania Sandrelli.
L’uomo cercherà disperatamente, riuscendoci, a trovare un amante per la moglie, al fine di commettere un delitto d’onore, usufruire delle attenuanti previste per legge e poter convolare a nozze con la giovane Sandrelli.
La parabola narrativa di questo film, ambientato nella Sicilia provinciale degli anni ’60, ci restituisce gli umori che anticipano i grandi cambiamenti che avverranno nel ’70, portando alla ribalta con feroce sarcasmo due situazioni di arretratezza legislativa tutta italiana: la mancanza di una legge sul divorzio e il delitto d’onore.
In effetti, nonostante il divorzio fosse previsto dai greci e dagli antichi romani, e fosse stato poi portato in Italia agli inizi del 1800 con il Codice Napoleonico (che tuttavia prevedeva una procedura molto articolata e circoscritta a casi eccezionali), solo nel 1970 è stato introdotto legislativamente nel nostro ordinamento e disciplinato in maniera organica e coerente con l’evolversi della coscienza sociale, anche grazie alle numerose novelle apportate al testo iniziale.
La legge del 1° dicembre 1970, n. 898 “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio” è conosciuta come legge Fortuna-Baslini, dal nome dei primi firmatari del progetto in sede parlamentare: Loris Fortuna, socialista, avvocato che aveva presentato un primo disegno di legge nel 1965, e Antonio Baslini, liberale, il cui progetto di legge fu poi unificato a quello di Fortuna.
Dopo un lungo iter legislativo e accesi dibattiti nella società civile, spaccature interne alle correnti politiche e prime manifestazioni di piazza del Partito Radicale, accanto alla Lega italiana per l’istituzione del divorzio (LID), finalmente questa legge è entrata in vigore.
Il clima di quegli anni era turbolento, le lotte sociali e politiche cha agitavano il Paese erano roventi, basti pensare che la legge sul Divorzio è coeva alla legge 25 maggio 1970, n. 352 “Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo” che dispone le modalità di attuazione della procedura referendaria.
All’indomani dell’entrata in vigore della legge sul Divorzio, infatti, le componenti più tradizionaliste dei partiti in sintonia con il cattolicesimo più intransigente, vollero a tutti i costi rimettere alla valutazione popolare il destino del Divorzio in Italia, indicendo un referendum abrogativo sulla legge che lo aveva introdotto.
Seguirà una dura battaglia referendaria.
La mobilitazione nazionale fu grande, parteciparono al dibattito tutte le componenti della società, ricordiamo ancora oggi con immensa gratitudine i contributi al Comitato del NO dei grandi Nino Manfredi e Gigi Proietti.
https://www.youtube.com/watch?v=t6R_3-5g9ek
https://www.youtube.com/watch?v=NjdZwLIjDtE
Così, il 12 maggio 1974 l’Italia si recò alle urne per votare per il Referendum e decidere se abrogare o meno la Legge Fortuna-Baslini.
Al Referendum partecipò l’87,7% degli italiani aventi diritto di voto.
Vinse il NO.
La Legge restò in vigore e una grande battaglia sociale ebbe l’esito sperato, dimostrando il cambiamento profondo del Paese rispetto alle ideologie della Chiesa e alle posizioni oscurantiste dei partiti tradizionali. La vittoria dei NO rivelò un’Italia proiettata nel futuro e diede una spinta decisiva all’affermazione dei primi diritti civili e della parità di genere che avverrà solo un anno dopo con la Riforma del Diritto di Famiglia della legge n. 151 del 1975.
Questo terremoto provocato dalla mobilitazione della società civile e dei movimenti delle donne, si espresse con la forza dirompente che traspare chiaramente dalle pagine de “L’Europeo“, dalle quali una Oriana Fallaci commossa, così commentava i risultati del referendum in una appassionata lettera all’allora Direttore del giornale:
“Non riesco a essere lucida: sono troppo felice. Sono troppo sconvolta dalla gioia […] La gioia è stata così grande che mi son messa a piangere […]
Devi capirmi se me ne sto qui con le lacrime che mi riaffiorano agli occhi a dirmi che non siamo stupidi come credevo, non siamo ignoranti come credevo, non siamo immaturi come credevo, al momento opportuno siamo addirittura capaci di rispondere no e fare, dopo quattrocent’anni, la nostra Riforma […]
Perché io ero certa che avremmo perso. Io da settimane, da mesi, mi battevo con la rabbia di chi riconosce l’inutilità del suo battersi e spara soltanto per morire bene. Se qualcuno mi sussurrava “ti sbagli”, scuotevo tristemente la testa. Se qualcuno mi incoraggiava “devi sperare”, sorridevo con amarezza. E raccontavo a me stessa che era infantile cullarsi nelle illusioni: non appartenevo forse a un popolo di baciapile, un popolo da Controriforma? E questo non lo pensavano forse gli stessi che conducevano la campagna per il No? Dai comunisti ai liberali, dai socialisti ai repubblicani. Io li intervistavo su altre faccende, facevo scivolare il discorso sopra il referendum, e loro replicavano belle parole poi mi chiedevano di chiudere il magnetofono e avvicinandosi al mio orecchio sibilavano: “Guardi, andrà male. La Chiesa è troppo forte, poi c’è il Sud. E poi ci sono le donne. Le mogli degli emigrati ad esempio. Cinque milioni di emigrati, quindi all’incirca cinque milioni di mogli con la paura che il marito le pianti per sposarsi la straniera. Le donne voteranno Sì”. Queste donne sempre sottovalutate, sempre insultate, sempre accusate. Da me per prima che, se una cosa mi va storta, sbraito: accidenti-a-quando-sono-nata-donna! Oggi sono orgogliosa d’essere una donna in Italia. […]
Piazza Navona era uno sventolar di bandiere che sbocciavano come fiori rossi sopra un mare di gente contenta, giovanotti barbuti, fanciulle spettinate.“