Don Andrea Celli, parroco della Chiesa di San Pio X, una grande comunità di fedeli nel cuore della Balduina, mi accoglie nel suo studio con un largo sorriso in un bellissimo e assolato pomeriggio. È un incontro al quale tenevo molto perché Don Andrea è il classico sacerdote che ha addosso, come direbbe Papa Francesco, “l’odore del suo gregge”, un osservatore attento e profondamente calato in una realtà sociale complessa come quella di Roma. Allievo dell’antico e prestigioso Collegio Capranica, energico, carismatico, appassionato conoscitore della realtà giovanile, Don Andrea è arrivato a San Pio X da poco più di un anno dopo otto passati nella piccola realtà di San Tommaso Moro, nel cuore di San Lorenzo. Una parrocchia che ha trasformato completamente grazie ad un enorme lavoro fatto di cura della dimensione umana e cristiana ma anche delle infrastrutture materiali; impegno che gli ha permesso di lasciare dietro di sé uno splendido ricordo ed una importante eredità. Un’esperienza preziosa che ha portato nella sua nuova sfida in un quartiere e in una realtà parrocchiale completamente diversa per dimensioni, complessità, problemi da affrontare, articolazioni interne. Don Andrea non ha tardato molto nel dare a San Pio X la propria impronta fatta di attenzione alla crescita e alla formazione spirituale ed umana, accompagnate da una instancabile volontà di rinnovamento degli spazi parrocchiali, indispensabili per accogliere e rafforzare la comunità dei fedeli. La cripta e il campo di calcetto rimessi a nuovo sono solo alcuni dei primi frutti del lavoro portato avanti da Don Andrea. Nonostante le difficoltà generate dalla pandemia, le attività non si sono mai fermate e oggi è stato presentato all’assemblea parrocchiale, dopo un’accurata selezione, il progetto di ristrutturazione e adeguamento alla normativa di sicurezza del Teatro/Auditorium parrocchiale. Un progetto di grande importanza per la parrocchia e per il quartiere, a sostegno del quale è stata lanciata una campagna di raccolta fondi con l’obiettivo di realizzare uno spazio destinato ad ospitare catechesi, conferenze, scuole di teatro per giovani e disabili, cineforum, concerti e altre occasioni d’incontro.
Don Andrea partiamo dall’inizio. Cosa hai provato quando sei diventato sacerdote? Cosa ha significato per te?
Posso dire di aver provato un grande senso di libertà perché il percorso di vita intrapreso fino ad allora e scelto senza alcun condizionamento esterno, fatto di studi e professione in ambito giuridico, una bellissima ragazza, sport, amici non mi soddisfava pienamente. Provavo una profonda inquietudine, non trovavo il mio posto nel mondo e sentivo che c’era qualcosa che mancava nonostante una vita perfettamente normale per un ragazzo della mia età. La parola di Dio, le esperienze con i ragazzi disabili, lo scoutismo e i momenti di preghiera personale crearono una sorta di trama che diede vita un’idea inizialmente terrorizzante perché contrastava con tutta quella che era stata la mia esistenza fino ad allora. Il colloquio con il mio padre spirituale mi aiutò molto a intraprendere quello che si rivelò un vero e proprio cammino di liberazione. Ricordo infatti che dopo l’ordinazione, uscito dalla Basilica di San Pietro, mi sembrava di volare; vedevo i luoghi della mia infanzia con occhi diversi in quello che è stato un momento di grandissima idealità. A diversi anni di distanza, avevo 27 anni quando entrai al Collegio Capranica, e nonostante i piccoli dubbi e le difficoltà della vita di tutti i giorni posso dire che quella era veramente la mia strada.
C’è stato un modello che ha ispirato il tuo cammino sacerdotale?
Non c’è stato un modello vero e proprio ma posso dire di essere stato affascinato dalla chiesa degli Anni ’80 in virtù del suo amore incondizionato per il Signore e per l’uomo, della sua compattezza, del suo orientamento verso un’evangelizzazione forte. Ho avuto la fortuna di conoscere San Giovanni Paolo II, una figura instancabile e propositiva nonostante l’età, attraverso il mio padre spirituale che era un suo collaboratore nelle Giornate Mondiali della Gioventù. Tra le altre figure che hanno rappresentato un punto di riferimento importante per me posso citare il Segretario di Stato Casaroli, il Rettore del Collegio Capranica Monsignor Pacomio, il Cardinale Martini, Papa Ratzinger, ovviamente il mio padre spirituale Renato Boccardo, il Cardinale Attilio Nicora, il Cardinale Ruini. Una serie di grandi figure che erano al posto giusto e di conseguenza i carismi della Chiesa venivano valorizzati.
Parliamo dell’arrivo a San Pio X, una grande sfida per te che provenivi da una realtà molto più piccola come San Tommaso Moro. Quali problemi hai incontrato? Quali sfide hai dovuto affrontare?
San Tommaso Moro ha circa 1000 anime mentre San Pio X ne ha 14mila quindi è evidente che ci troviamo di fronte a due mondi completamente diversi e all’inizio, pur partendo subito con le attività, mi sono sentito come sospeso. Sono arrivato in una realtà molto strutturata che non era possibile plasmare subito a mia immagine e somiglianza e nei primi mesi ho dovuto affrontare una grande sfida in termini comunicativi per fare in modo che alcuni concetti per me importanti venissero correttamente recepiti e messi in pratica. Mi riferisco ad esempio a temi quali l’aggregazione comunitaria di tutti i catechisti e degli educatori, il senso comune di responsabilità, la non parcellizzazione delle realtà operanti in parrocchia, l’importanza dell’apertura rispetto al nuovo, al non credente, a chi è lontano dalla fede: capisaldi della visione di “chiesa in uscita” e di evangelizzazione molto cari a Papa Francesco. Qui ho trovato grandi punti di forza come una splendida comunità di anziani, alcuni dei quali hanno veramente fatto la storia d’Italia e nel quartiere un livello culturale molto alto con giovani eccellenti.
A San Pio X hai dovuto quindi adeguare anche la tua comunicazione e il tuo modo di fare……
Questa è una comunità seria e rigorosa, molto formata e che va convinta con i fatti, diversa dal degrado che purtroppo caratterizza San Lorenzo e a causa del quale ci siamo trovati a dover sottrarre giovani alla strada e alla droga. La battuta o la pacca sulla spalla con la quale a San Tommaso Moro conquistavo un ragazzo, qui inizialmente non veniva né capita né accettata. La diffidenza e lo scetticismo dei primi mesi, elementi che mi stupivano e ferivano un po’ anche alla luce delle manifestazioni di affetto e stima ricevute nella mia parrocchia precedente, stanno lasciando il posto ad un rapporto di fiducia e di soddisfazione e a giudizi positivi che percepisco nel quartiere. Inoltre noto che si stanno avvicinando alla parrocchia persone lontane dalla fede e questo per me è un dato molto significativo.
Come giudichi le recenti aperture della Chiesa Cattolica verso i laici, in particolare con riferimento ad alcuni momenti liturgici come battesimi, matrimoni e funerali vista la mancanza di sacerdoti?
C’è un’apertura enorme e mi è piaciuto molto un passaggio della “Gaudete et exsultate” l’Esortazione Apostolica di Papa Francesco sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo in cui si dice che “la cura pastorale del territorio è dei laici”. L’amministrazione dei sacramenti e il ministero pastorale sono appannaggio del sacerdote ma credo che, a fronte della carenza di ministri ordinati, il laico debba prendersi sempre di più la responsabilità della conduzione della comunità pastorale. Dobbiamo abbandonare una certa clericalizzazione per cui tutto deve passare dal sacerdote. Alcuni problemi comunque restano: la formazione dei laici molte volte non c’è ed esiste un certo disinteresse della comunità cristiana per quello che effettivamente avviene nella parrocchia. Quest’ultimo aspetto è stato determinato a volte da una tendenza dei sacerdoti a non condividere molte informazioni ma dall’altro anche dall’indifferenza dei laici. E’ necessario quindi fare una grande operazione di trasparenza ma anche risvegliare il senso pastorale del laico che non deve diventare prete o suora ma contribuire alla crescita della Chiesa. Il Concilio Vaticano II ha infatti ribadito che la Chiesa è il popolo dei battezzati.
Come spieghi la crisi delle vocazioni che affligge la Chiesa?
C’è una grande crisi di senso del sacro. La nostra vita scorre troppo velocemente, la società manda dei messaggi sbagliati e quando si educano i ragazzi solo al successo personale, alla cura dell’immagine, all’autoreferenzialità Dio non può trovare posto. D’altro canto, devo dire che noi sacerdoti dovremmo avere meno paura di essere radicalmente evangelici perché questo permette di attrarre davvero le persone. Il Vangelo alle volte è duro e va presentato così com’è senza scendere a compromessi.
Una delle tue grandi passioni è lavorare con i giovani e il tuo è sicuramente un osservatorio privilegiato. Come giudichi la condizione giovanile oggi?
I nostri ragazzi sono aperti, comunicativi una volta trovata la chiave giusta, amo stare in mezzo a loro ma posso affermare che oggi la loro condizione è confusa, impaurita e per certi versi immatura. Le eccellenze giovanili oggi mi sembrano più rare rispetto al passato. E’ un giudizio un po’ forte, è una diagnosi ma bisogna considerare che non è colpa loro. Mi colpì molto quello che disse una volta Enzo Bianchi, già priore di Bose, in un incontro con i giovani: “voi siete figli senza eredità ma non è colpa vostra, non ve l’hanno lasciata”. Non abbiamo educato i giovani a crescere nella fiducia di sé stessi e non li abbiamo aiutati a camminare da soli. Un concetto ripetuto spesso da Giovanni Paolo II che era molto amato dai giovani soprattutto perché credeva in loro. Oggi invece ci troviamo di fronte a genitori che sono amici dei figli e si impegnano per eliminare tutti gli ostacoli dal loro cammino ma al tempo stesso assistiamo a tanti casi di bambini e ragazzi sofferenti per crisi d’ansia e di panico, problemi quasi sconosciuti alle generazioni precedenti.
In questa situazione c’è una grande responsabilità delle cosiddette agenzie educative……
Indubbiamente sì e penso alla scuola ma anche alla parrocchia. La famiglia è in sofferenza, a causa di rapporti coniugali sempre meno saldi e anche di una mistificazione dell’identità di genere con un indebolimento delle figure genitoriali nella loro identità tradizionale. Una commistione di ruoli tra padre e madre che ha reso i giovani più fragili.
Allarghiamo lo sguardo alla città di Roma. Qual è il tuo giudizio sulla città e sulla sua condizione?
Credo che Roma stia diventando sempre di più un insieme disorganico di città. I quartieri accentuano le proprie caratterizzazioni e la periferia è sempre più distante dal centro. La povertà e le disuguaglianze sociali aumentano e questo non mi piace. Non c’è attenzione alla persona e il degrado romano, come quello nazionale e forse globale, è di natura antropologica e culturale. Mi viene spontaneo il paragone con Milano, una città più coesa ed accogliente che è riuscita a darsi una dimensione più europea mentre Roma purtroppo da questo punto di vista è indietro. Al di là dei soliti problemi, dalla gestione dei rifiuti allo stato delle strade, non vedo attività culturali, promozione della persona, scuole all’avanguardia, poli universitari all’altezza. Molti dei nostri ragazzi vogliono trasferirsi in città come Bologna, Padova o Trento per studiare in una dimensione più europea.
Mancano quindi un progetto e una visione di città….
Roma è rimasta indietro rispetto a centri come Milano, Parigi, Londra e lo dico con dolore perché amo profondamente questa città che ha potenzialità enormi rimaste inespresse.
Se fossi sindaco di Roma per un mese cosa faresti?
E’ una domanda difficilissima e fare il sindaco a Roma significa lavorare in perdita ma qualcosa si potrebbe fare partendo dal dare più coraggio ai cittadini. In particolare, svilupperei il concetto di sussidiarietà cercando di responsabilizzarli. Non è accettabile il concetto secondo il quale la responsabilità è sempre degli altri. Ridarei ai romani, dagli abitanti del centro a quelli della periferia, quella dignità che il tempo o non so quale altro fattore ha loro tolto e li spingerei a valorizzare il proprio territorio a partire dal quartiere, palazzo o giardino. Come secondo passo rivedrei completamente la Pubblica amministrazione.
Questo della Pubblica amministrazione è un problema antico e diffuso….
Basta aggirarsi per alcuni uffici del Comune di Roma per rendersi conto della situazione. Purtroppo devo dire che non ho mai avuto il minimo aiuto dai municipi e dagli enti locali quando ho cercato di valorizzare umanamente, con progetti culturali, le realtà parrocchiali nelle quali ho lavorato. È risultato difficile ottenere anche un passo carrabile.
Dopo il Campidoglio, proviamo a entrare in Vaticano. Se fossi Papa per un mese quali sono le prime due misure che attueresti?
Non me lo auguro perché è un compito veramente difficilissimo e poi c’è la “grazia di stato” e quindi dovrebbe rispondere solo chi è Papa. In ogni caso, continuerei sulla linea di Francesco di una “evangelizzazione ad extra” rivolta cioè ai lontani non in senso geografico ma spirituale per capire i perché di questa lontananza. Sento molto forte la spinta missionaria e la Chiesa, per come la intendo io, deve essere aperta, coinvolgere le persone e non rinchiudersi nelle sacrestie. Come secondo punto rivolgerei tantissima cura nella formazione della squadra perché da soli non si va lontano ed è fondamentale avere al proprio fianco gli uomini giusti che condividano un progetto e lavorino in armonia per realizzarlo.
Pensando al tuo percorso sacerdotale, ci sono stati momenti di difficoltà estrema o di sconforto? Come li hai superati?
Qualche volta la difficoltà più grande, forse anche un pò infantile, è stata legata al chiedersi se il proprio ministero venisse capito fino in fondo. Noi sacerdoti dedichiamo la vita ad una missione, siamo con il Signore ma per certi aspetti siamo soli ed a volte abbiamo bisogno di una parola giusta, di un momento di conforto, di comprensione profonda non solo da parte del mondo laico ma anche dalla gerarchia della Chiesa. Per ricaricarsi è fondamentale avere al proprio fianco persone in grado di interpretare il cuore e comprendere che in certi momenti anche il sacerdote, dal quale ci si aspetta molto e che spesso è sottoposto a giudizio, come individuo ha bisogno di attenzioni.
di Emidio Piccione