di Alberto Zei
La casistica dell’infezione – Escludendo le persone che non contraggono il coronavirus, che sono la maggior parte e che pertanto non possono venire contagiate, è interessante invece prendere atto delle diverse risposte alla infezione di chi si imbatte in un ambiente in cui il virus è presente.
Esiste una differente risposta alla malattia quasi per quante sono le persone interessate, ma per rendere sintetica la casistica, si può dire che la maggior parte non contrae alcun contagio. Vi sono poi alcuni che risultano positivi al virus ma che non avvertono un particolare disagio. Altri invece risentono dell’infezione con un leggero malessere che tuttavia non comporta una conseguenza apprezzabile.
C’è gente che contrae la malattia con sintomi febbrili e con disturbi che, dopo un certo tempo, si risolvono spontaneamente; c’è chi invece si ammala in modo serio con bisogno di cure che sono però sufficienti a ristabilire, dopo un certo tempo, lo stato di salute. Altre persone, invece, contraggono la malattia in modo severo e hanno bisogno di ricovero in ospedale; tra queste c’è chi, dopo aver ricevuto le giuste cure, guarisce e c’è chi deve essere sottoposto a terapia intensiva. Soprattutto quest’ultimi divenendo soggetti ad alto rischio, incorrono nel pericolo più grande che spesso si trasforma in decesso.
Tra teoria e pratica – Anche se un solo virus è in teoria sufficiente a infettare un organismo a mezzo della replicazione virale di cellula in cellula fino all’infezione eclatante, in pratica questo non accade perché quando si tratta di infezioni causate da gruppi virali di miliardi e miliardi di unità, è la contemporanea massiva presenza che consente l’infezione.
Esistono poi anche parametri più oggettivi, relativi alla presenza dei virus che solo in certi casi possono innescare la malattia. Uno è quello riguardante il numero di microrganismi presenti nell’ambiente, giacché è la quantità che aumenta la probabilità statistica di incorrere nell’infezione.
Infatti, vi sono molti esempi di corpuscoli capaci di penetrare all’interno degli organismi di ogni genere, compreso quello umano.
Nel regno vegetale si ricorda la enorme quantità di pollini che staziona nell’ aria durante la primavera, anche se alla fine sarà soltanto uno di loro a fecondare il fiore.
Anche nella riproduzione del genere umano, per un ovulo è sufficiente un solo spermatozoo. Ma gli spermatozoi occorrenti alla fecondazione naturale, necessitano di centinaia di milioni di individui contemporaneamente presenti per consentire a uno solo, non In modo analogo, si può quindi dire che per contrarre l’infezione del Covid-19 solo in teoria sarebbe sufficiente un solo virus, ma nella realtà le cose sono molto diverse, se così non fosse il genere umano non potrebbe esistere.
La forza dell’accumulo – Un aspetto della possibilità di infezione che compensa il numero non sufficiente di virus presenti nell’ambiente è quello dell’’accumulo virale nell’organismo che si moltiplica per infettare nel tempo in cui si rimane nell’ambiente ostile, respirandone l’aria.
Il tempo infatti è un parametro moltiplicativo anche in senso generale del nostro vivere quotidiano. C’è anche un detto popolare che esprime il concetto e che dice: “dai e dai, prima o poi si verifica “.
Va da sé che se si frequenta un ambiente pericoloso, il tempo di permanenza comporta una moltiplicazione del rischio.
Merita ricordare che anche l’impostazione mentale costante di ciò che si teme crea nel pensiero un atteggiamento di paura che paradossalmente porta, attraverso l’indebolimento delle difese psichiche, verso il male che si intende evitare.
Il pericolo dell’eccesso – Non giova avere un atteggiamento spavaldo e temerario per evitare il contagio, ritenendo di essere tra coloro che non si possono ammalare. E’ soprattutto la risposta immunitaria che determina l’esito della malattia: è lo stato in cui l’organismo si trova che permette di respingere fin dall’origine l’aggressione, o contrastare la malattia. Questo significa che solo in pochi casi il virus trova le sue vittime perché, nella maggior parte delle circostanze le persone, come già detto, riescono a superare più o meno autonomamente l’aggravarsi della patologia. Ciò non significa però che il coronavirus non possa avere conseguenze letali, ma non ci si può neppure sottrarre alla vita sociale e in certi casi anche a quella lavorativa, per la mera eventualità di ammalarsi.
Certamente c’ è chi la malattia è come se la cercasse, rinunciando ad ogni precauzione, anche quando sarebbe più facile essere prudenti e soprattutto quando la sicurezza, basata sul fatto che finora non è accaduto niente, diviene il motivo per osare oltre, pensando di essere divenuti più immuni e più forti degli altri.
Mettere in atto, invece, le accortezze che in termini di sacrificio in questa particolare situazione, non costano poi tanto, risponde ad un atto di amore verso di sé e verso gli altri.
L’alimentazione – Senza entrare nei particolari della qualità dell’alimentazione quotidiana e delle sostanze para-farmacologiche che vengono consigliate per ottenere determinati risultati sul sistema immunitario, giova ricordare che il più grande baluardo della nostra salute è proprio il sistema immunitario. Soltanto ultimamente si parla a sufficienza di questa risorsa naturale tanto che quasi tutti ormai conoscono come agisce e come, alla luce delle nuove conoscenze biologiche, va trattato per opporre un’efficace barriera alle malattie.
Giova comunque ricordare che il sistema immunitario per avere ben equilibrati i due sottosistemi TH1 e TH2, a tutela dell’intero organismo, necessita di una corretta alimentazione che si compone anche di sostanze naturali integrate con quanto manca, nonché di una vita sana non sedentaria e di un atteggiamento mentale aperto e costruttivo.
Redazione