La Corte Costituzionale, che da tempo ha sollecitato (invano) un intervento del legislatore, torna nuovamente sul sistema di attribuzione del cognome ai figli.
In particolare, con l’ordinanza n. 18 /2021, la Consulta dubita della legittimità costituzionale della disciplina dell’automatica acquisizione del solo patronimico, che trova espressione nell’art. 262, c. 1, cod. civ., nella parte in cui, in mancanza di diverso accordo dei genitori, impone l’automatica acquisizione del cognome paterno, anziché dei cognomi di entrambi i genitori.
A sollevare la questione di legittimità costituzionale, questa volta, è il Tribunale ordinario di Bolzano secondo cui la norma, nel disciplinare il cognome del figlio nato fuori dal matrimonio, e nel prevedere che «Se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio assume il cognome del padre», non consente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere al figlio, al momento della nascita, il solo cognome materno.
Per come, peraltro, già rilevato dalla Consulta «l’attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna» (ordinanza Corte Cost. n. 61 del 2006).
La vigente disciplina, impositiva del solo cognome paterno e ricognitiva di un solo ramo genitoriale, contrasta con gli artt. 2 e 3 Cost., di garantire l’effettiva parità dei genitori, la pienezza dell’identità personale del figlio e di salvaguardare l’unità della famiglia.
Il Giudice delle Leggi, nel richiamare la propria giurisprudenza, ha evidenziato che, sin da epoca risalente, la prevalenza attribuita al ramo paterno nella trasmissione del cognome non può ritenersi giustificata dall’esigenza di salvaguardia dell’unità familiare, poiché «è proprio l’eguaglianza che garantisce quella unità e, viceversa, è la diseguaglianza a metterla in pericolo», in quanto l’unità «si rafforza nella misura in cui i reciproci rapporti fra i coniugi sono governati dalla solidarietà e dalla parità» (sentenza della Corte Cost. n. 133 del 1970).
Ancora una volta, «la perdurante violazione del principio di uguaglianza “morale e giuridica” dei coniugi contraddice quella finalità di garanzia dell’unità familiare» (sentenza Corte Cost. n. 286 del 2016).
In una prospettiva comunitaria, la disciplina italiana dell’automatica acquisizione del solo patronimico, viola anche l’art. 117 Cost., in relazione agli artt. 8 (Diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 14 (Divieto di discriminazione) Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, per come si legge nella sentenza 7 gennaio 2014, Cusan e Fazzo contro Italia, la rigidità del sistema italiano – che fa prevalere il cognome paterno e nega rilievo a una diversa volontà concordemente espressa dai genitori – costituisce una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, determinando una discriminazione ingiustificata tra i genitori che deve essere superata.