Con l’ordinanza n. 1476/2021 del 25 gennaio, la Corte di Cassazione – ispirata alle affermazioni di principio della Corte Europea dei diritti dell’uomo – affronta nuovamente la delicata questione dell’abbandono non definitivo del minore da parte dei genitori.
In particolare, i giudici si soffermano sulla circostanza che non sempre un genitore dichiarato inidoneo a svolgere il proprio ruolo, deve essere assente dalla vita dei figli se non lo vuole.
Se il genitore, pur riconoscendo la propria inidoneità alla cura della prole, vuole conservare un rapporto con essa, è giusto che il Tribunale proceda comunque con l’adozione?
Quando i minori sono, quindi, in stato di «semi-abbandono», l’adozione, che recide ogni rapporto con il genitore biologico, è una scelta adeguata al loro preminente interesse?
Secondo i giudici della Corte di Cassazione: no.
L’ordinamento italiano conosce due forme di adozione.
La prima è l’adozione tradizionale c.d. «legittimante», con cui cessano i rapporti con la famiglia d’origine e l’«adottato acquista lo stato di figlio nato nel matrimonio degli adottanti, dei quali assume e trasmette il cognome». Presupposto imprescindibile è lo «stato di adottabilità» che può esser pronunciato quando sia stata accertata – dal Tribunale per i minorenni competente – «la situazione di abbandono dei minori perché privi di assistenza morale o materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a cause di forza maggiore di carattere transitorio».Quindi – dopo la dichiarazione di stato di adottabilità del minore – si procede all’affidamento pre–adottivo (periodo di convivenza del bambino con la coppia aspirante alla sua adozione), verificata la positività di tale abbinamento, si pronuncia la sentenza di adozione.
La seconda forma di adozione, ha un’applicazione residuale, ed è costituita «dall’adozione in casi particolari» – quando vi è l’impossibilità di affidamento preadottivo (art. 44, lett. d), l. n. 184/1983) – non presuppone né lo stato di adottabilità del minore né recide i rapporti di quest’ultimo con la famiglia d’origine.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in commento, chiarisce che è un obbligo del Tribunale – prima di prevedere l’adozione – adoperarsi in maniera adeguata per consentire al figlio di frequentare il genitore che ne abbia l’interesse, al fine di evitare di incorrere nella violazione del diritto al rispetto della vita familiare, sancito dall’articolo 8 CEDU (secondo quanto affermato dalle note sentenze della Corte EDU, 21 gennaio 2014, Zhou c/ltalia; conf. Corte EDU, 13 ottobre 2015, S. H. c/ltalia).
Gli Ermellini, quindi, hanno accolto il ricorso di una madre contro la decisione della Corte di appello di Ancona che aveva confermato lo stato di adottabilità della figlia. Il Tribunale non ha considerato – compiuti gli opportuni approfondimenti istruttori – la possibilità di scegliere una c.d. «adozione mite», (che sebbene non espressamente prevista dal legislatore, può, tuttavia, essere ricavata interpretando estensivamente la norma di chiusura posta dal legislatore all’art. 44, lett. d), della legge 184/1983) che consente un graduale recupero del rapporto tra la minore e la madre biologica, in considerazione dell’affetto e dell’interesse dimostrato da quest’ultima.
L’adozione del minore, quindi, deve essere considerata l’extrema ratio, perché l’esclusione di una piena idoneità dei genitori, non comporta che questi non possano rivestire un ruolo complementare rispetto a quello svolto dalla coppia affidataria: del resto, accogliere il bambino in un ambiente più favorevole alla sua educazione non può, di per sé, giustificare (sempre e comunque) la sottrazione forzata alle cure dei genitori biologici.