Nel mondo dell’arte teatrale e cinematografica si avverte, specialmente in questi anni di restrizioni per pandemia, un forte fermento creativo, a fronte di una stanchezza delle strutture tradizionali.
Siamo in un’epoca in cui qualcosa sta morendo, ma qualcos’altro di vivo e potente sta nascendo in conseguenza alla situazione pandemica. Siamo ad un punto di trasformazione importante.
Incontriamo Adriana Ortolani, attrice, rappresentante delle donne più originali nel panorama teatrale italiano, proviene dall’Accademia Nazionale D’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”. Laureandosi negli anni Novanta, ha avuto come direttore Luigi Maria Musati e ha conosciuto Andrea Camilleri, che insegnava regia, le cui lezioni erano una straordinaria girandola affabulatoria a tutto campo.
Da bambina Adriana favoleggiava il teatro con i vestiti e le sciarpe della mamma e dava la parola alle sue bambole.
Segue gli stage sia dell’Embarcadère di Besançon sia della Guildhall School of Music and Dramma di Londra.
Nel 1997 è la protagonista di “Albertine o della gelosia” di Alma Daddario, per la regia di Giuseppe Lorin al Teatro Stanze Segrete, qui a Roma.
Da dx in basso: Adriana Ortolani e Edoardo Siravo
In alto, da sx: Patrizia La Fonte e Lucianella Cafagna
Gli attori che il regista scelse furono: Adriana Ortolani, Edoardo Siravo, Patrizia La Fonte, Lucianella Cafagna.
Fu proprio una gelosia infinita se ancora oggi nel curriculum di Edoardo Siravo viene scritto che la regia fu la sua!
I quotidiani così recensivano l’innovativo spettacolo: La Repubblica di sabato 19 aprile 1997, “I turbamenti di Albertine” di Rodolfo Di Giammarco: …con montaggio dei frammenti ad opera di Giuseppe Lorin che calibra palpitazioni, incontri, flash culminanti in ardori senza pace…. giustamente riprodotta coi ritmi di guaches teatrali.
Così riporta la prestigiosa rivista Sipario nel maggio 1998, in un articolo del critico teatrale Angelo Pizzuto: “Albertine o della gelosia” è lo spettacolo di Alma Daddario e Giuseppe Lorin ed ha il fascino discreto e sensibile di una lanterna magica già dischiusa, con sapiente uso di luci e di specchi, alla magia del cinema. Ovvero alla maggiore invenzione, paradossalmente post-proustiana, di mitizzazione e imbalsamazione del tempo: quale forse era, inconsciamente, l’estrema volontà di Proust.
Seguono la recensione de Il Messaggero di mercoledì 14 febbraio 1998, dal titolo “Proust, amore e morte sul filo della memoria” di Renato Minore: …Il salottino multiplo delle “Stanze segrete” permette una scansione musicale e drammaturgicamente compatta del testo grazie al sapiente montaggio scenico del regista Giuseppe Lorin.
Per proseguire sul giornale Il Borghese con il titolo “Albertine, quanto sei bello” di Giorgio Albertazzi: …Ridurre per la scena Albertine, non è una impresa facile anzi è decisamente ardua ma sia la Daddario sia Giuseppe Lorin sono riusciti a farci assaporare le sottigliezze psicologiche, i bisbigli, le ombre, i ricordi di Marcel Proust.
Ed ancora il quotidiano Il Tempo di sabato 26 aprile 1997 “Nella camera segreta di Proust”, recensione di Cristina Armeni: … La pièce scorre rapida grazie alla regia cinematografica di Giuseppe Lorin che mette a frutto, con astuzia e abilità l’esiguità dello spazio scenico articolato su due piani, con la proiezione di immagini visibili ovunque con l’uso di specchi. I tagli di luce, il sottofondo musicale… contribuiscono a creare un’atmosfera rarefatta, suggeriscono stati d’animo e situazioni.
Quel debutto fu memorabile grazie al mecenatismo di Aurora Jatosti, moglie dello storico Luciano Cafagna!
Adriana Ortolani, in quale anno ti sei diplomata all’Accademia?
Mi sono diplomata nel ’98, quando era direttore: Luigi Maria Musati. Gli insegnanti all’epoca erano: Mario Ferrero, Marisa Fabbri, Lorenzo Salveti, Maria Cuscona, Domenico Polidoro, Roberto Mantovani. Ricordo che partecipai a stage con Luca Ronconi, Monica Vitti e Massimo Foschi.
Qualche ricordo di quell’allestimento scenico proustiano a Stanze Segrete; emozioni e aspettative?
L’allestimento alle Stanze Segrete di Albertine lo porto sempre nel mio cuore. È stato il mio primo debutto e per un’attrice, il primo debutto non si scorda mai, soprattutto con uno spettacolo del genere!
Frequentavo ancora l’Accademia all’epoca, ero al secondo anno e quando venni scelta non mi sembrava vero! Mi ricordo che dovetti chiedere il permesso per poter lavorare; chiamasti in Accademia, ti ricordi? Il progetto partiva già vincente, tutti professionisti di altissimo livello: la regia era la tua, il testo di Alma Daddario e come colleghi avevo Edoardo Siravo, Patrizia La Fonte e Lucianella Cafagna, io ero stata scelta per interpretare la protagonista! Una favola! Mi ricordo il giorno in cui andai a fare il provino a casa di Aurora Cafagna, la produttrice dello spettacolo, come fosse ieri. Tanta emozione, tante soddisfazioni. Lo spettacolo fu un grande successo e mi portò molta fortuna. Da lì è partito tutto.
Essere attrice e madre in tempo di pandemia cosa significa per te?
Essere attrice e madre in tempo di pandemia porta con se una cosa bella e una cosa brutta. La cosa brutta è che i teatri sono chiusi da un anno e quindi il lavoro è completamente fermo.
E per un attore non recitare equivale a morire. La cosa bella è che non lavorando ho molto tempo da dedicare a mia figlia, alla mia famiglia.
Hai dei ricordi che riguardano qualche tua collega di corso o il collega più stimato in quei tre anni di Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”?
Con i colleghi dell’accademia si crea un rapporto molto particolare che va al di là della semplice amicizia, i ricordi sono tanti, è difficile citarne qualcuno. Per quanto riguarda la stima nei loro confronti devo dire che ognuno aveva una sua particolarità . Forse però se proprio devo fare qualche nome citerei Sara Borsarelli, con la quale sono ancora molto amica, e Michele De Maria. Forte presenza e personalità!
Mi piaceva la loro recitazione molto naturale con una base tecnica di alto livello.
A quel debutto seguirono “Calderon” di Pier Paolo Pasolini, regia di Domenico Polidoro, e nel 1998 “Le souper – A cena col diavolo” di Jean Claude Brisville, regia di Ennio Coltorti e “Venerdì” di Hugo Claus, regia di Mario Moretti.
Adriana Ortolani ha lavorato in seguito con: Ugo Gregoretti, Tato Russo, Giuseppe Pambieri, Lorenzo Salveti, Mariano Rigillo, Luigi Tani, Livio Galassi, Carlo Croccolo, Arnaldo Ninchi, ed altri.
Nella sua professione l’attrice si è impegnata in ruoli da protagonista e coprotagonista.
In televisione, Adriana Ortolani, è nelle fiction: “Provaci ancora prof, 7” nel ruolo dell’infermiera Susy, “Butta la luna”, “Gente di mare”, “Bartali, l’intramontabile”, “La Squadra”, “Il Bello delle donne”. In cinema la vediamo in “Rabbia in pugno” e “L’uomo spezzato” di Stefano Calvagna e “La misura del confine” di Andrea Papini. Debutta in radio con Emidio Greco.
Programmi prossimi futuri?
I programmi sono tanti… ma si naviga a vista. C’è uno spettacolo importante che dovrò fare in teatro nella prossima stagione ma non voglio dire nulla per scaramanzia visti i tempi. Incrociamo le dita!
La vita è una sfida, un nobile agone. È certo comunque che oggi, di nobile c’è rimasto ben poco, ed è anche vero che lo spettatore a teatro, nel cinema, in televisione vuole vedere qualcosa che lo faccia sentire meno stupido di quanto la politica, e certa incultura diffusa da internet, facciano. A teatro vuole trovare qualcosa che lo interpelli come persona, che scommetta su di lui, sfidandolo ad essere migliore, sia piangendo che ridendo. Una catarsi che non lo assolva, né lo condanni, ma che lo spinga in avanti, a interrogarsi e tentare risposte, per la vita, per il mondo, per dare un senso a questo nostro esistere diventato ormai un’abitudine.
Giuseppe Lorin