(fonte agenzia DIRE)
ROMA – “Quando mio figlio ha iniziato a stare molto male, ho immediatamente chiesto aiuto: mi sono rivolta a dei professionisti preparati, come prevede la legge, che hanno definito il suo un disturbo di tipo post-traumatico e hanno ritenuto plausibile l’ipotesi di abuso sessuale, perché purtroppo ha fatto delle rivelazioni precise al personale medico, manifestando angoscia dirompente alla visita ai genitali, verso cui mostrava un’ossessione. Inoltre è risultato positivo, dopo esame tossicologico del capello, ad un anestetico chirurgico; questo esame è stato fatto dopo un suo racconto in cui diceva di essere stato costretto ad ingerire una ‘crema schifosa’ prima dei giochi brutti”. A raccontare alla Dire la sua vicenda è mamma Anna (il nome è di fantasia) che suo figlio oggi lo vede solo in incontri protetti.
Il procedimento contro il padre è stato archiviato, “nonostante la condizione di grave disagio e il sospetto abuso segnalato dalla direttrice della scuola materna, le insegnanti, una pedagogista- ha precisato- e una perizia tossicologica redatta da un consulente forense che ha riscontrato la positività di mio figlio alla lidocaina. Tutto archiviato senza risposte. La Procura ci abbandona, lasciandoci in eredità solo una perizia redatta dalla ‘consulente tecnica d’ufficio A’ che ci ha condannati: ha spalancato il baratro dell’assistenza socio-sanitaria, una realtà cruenta nel territorio torinese. Mio figlio- ha detto Anna- è stato letteralmente strappato da me, prelevato coattivamente con violenza, internato in casa-famiglia, tutto per avvicinarlo al padre sul quale non sono mai state svolte indagini, e infine per affidarlo proprio al padre in maniera esclusiva, mentre i nostri incontri si svolgono in luogo neutro sotto vigilanza”.
Anna ha denunciato la psichiatra A: “Mio figlio non è l’unico minore ad avere subito lo stesso trattamento: con altre famiglie abbiamo confrontato la nostra documentazione giudiziaria e i nomi di chi ha firmato le sentenze-condanna sono gli stessi. Siamo tutti pronti a parlare, a testimoniare”. Ed eccole infatti altre storie in cui ricorrono gli stessi nomi.
A, la consulente tecnica d’ufficio, è presente anche nella storia di Cinzia (nome di fantasia) e di suo figlio Pietro (nome di fantasia), di cui la Dire si è occupata in passato. “E’ una ‘mamma santissima’ qui in Piemonte- ha detto Cinzia- Sono famose le sue diagnosi di donne Peter Pan incapaci e bambini affetti da grave patologia psichiatrica. Tante come me sono finite in comunità per minori”, ha aggiunto. “La madre deve avere il supporto della nonna e dimostra inadeguatezza genitoriale”, è in un “legame patologico con la propria madre”. E nella sua relazione la psichiatra dedica un paragrafo “all’alienazione della figura parentale biologica” citando proprio, nero su bianco, Richar Gardner. Parte da qui, con un linguaggio che denota una specifica scuola di pensiero la psichiatra e psicoterapeuta A che il tribunale di Vercelli ha incaricato di periziare Cinzia e suo figlio nel 2016. Scrive la CTU in questione di “manovre di programmazione” di “conflitto con il padre”, di “madre collusiva con la propria madre e con l’attuale marito” e di “relazione fusionale con il figlio”.
“E ancora oggi- ha aggiunto Cinzia- mio figlio in nome della PAS non viene ascoltato dal Giudice”. Il ritratto di Cinzia che riceve il giudice, una mamma che vive seguendo Pietro e una bimba avuta dal suo attuale marito affetta da grave disabilità, è quindi quello tracciato dall’esperta super partes che la descrive come una “madre suggestiva”, ed è la stessa consulente a chiedere alla Corte di “ripristinare la frequentazione con il padre”. Padre che ha in corso un procedimento giudiziario penale per accusa di abusi sessuali, di cui è in valutazione l’opposizione alla richiesta di archiviazione, seguita ora dal legale della signora Cinzia, Patrizio Cavallone.
La specialista in questione, come riportato da diverse testate, è più volte intervenuta anche su altri casi di cronaca eclatanti, da Foti e l’associazione Hansel e Gretel, ai casi di molestie e abusi nelle sedi scolastiche, e più volte sul caso di Pietro parla di “bambino prigioniero di un falso se”, di “memoria compromessa da inferenze”, del rischio di “inglobamento messo in atto dalla madre” e prescrive “un allontanamento per un recupero, una scelta non adultocentrica per il padre- tiene a precisare- anche se giuridicamente dovuta”. Ad essere “giuridicamente dovuta” a quanto pare è la famosa legge 54 sulla bigenitorialità. Sempre e comunque? A quanto pare.
“Ingenua, fatua e pollyannica” scrive nel 2015 di Rita, un’altra mamma, docente di scuola primaria e dell’infanzia, la CTU B, attiva sulla piazza piemontese e “allora collega di studio di A”, sempre lei, la CTU del caso di Cinzia e Anna con la quale “partecipa a convegni e seminari”, come ha riportato Rita nella sua intervista alla Dire. Scrive la psicoterapeuta B che Rita ha “un rapporto con il figlio patologico e patogenetico che rischia di produrre danni insanabili”. A quel tempo il bambino ha 3 anni. Rita è una madre “inglobante” così viene descritta, mentre il padre del bambino è “disforico ed impulsivo e ha ridottissime capacità di controllo dell’emotività, con una “scarsissima tolleranza alla frustrazione ed un adattamento di facciata più che autentico, tanto quanto il controllo di sé esibito” e la CTU propone un “affido etero familiare”. Rita ha portato suo figlio al Centro Bambi di Torino, ambulatorio del presidio ospedaliero Regina Margherita, dedicato ai minori abusati e maltrattati. Da qui sono partite “11 segnalazioni e denunce”, come riferisce Rita nel corso della sua intervista, oggi seguita dagli avvocati Morace e De Leo, per “maltrattamento e sospetto abuso sessuale paterno, procedimento aperto dal Bambi- ha raccontato ancora- che non si sa che fine abbia fatto”. Tutto archiviato.
Rita viene descritta in una “sostanziale immobilità psicologica, ha sfiducia nei confronti degli operatori, ha persistenza di dubbi sull’esito del procedimento penale per maltrattamento e sospetto abuso, alimentato dal Centro Bambi in passato” scrive una seconda CTU sul medesimo caso. Rita infatti alla Dire ha detto: “Mio figlio per anni ha chiesto di poter tornare a casa da sua madre, suo fratello, i nonni eppure tutti gli operatori e consulenti intervenuti hanno scritto sempre il contrario”. I servizi sociali relazionano in questo modo degli incontri protetti mamma-figlio in luogo neutro: “La signora ricerca costantemente il contatto fisico, in modo avvolgente, accovacciata in terra lo tiene fra le gambe e lo culla, dà baci e abbracci, anche mentre giocano, che il bambino subisce come rassegnato, senza rifiutarli, ma senza manifestare alcun piacere”. Ha raccontato Rita che il bimbo “è arrivato agli incontri con un occhio nero, alcune tumefazioni, a volte con labbro spaccato o ‘bernoccoli’ sulla fronte”.
La seconda CTU arriva a raccomandare per il figlio di Rita “l’affidamento esclusivo rafforzato al padre’’, nel convincimento che “costituisca la soluzione per garantire al minore una corretta crescita psicologica”. Nel provvedimento “si ritiene necessaria una presa in carico di uno psicoterapeuta per il bambino per la relazione patologica con la madre e l’abuso psicologico cui è stato in passato da lei sottoposto, e a meglio comprendere le motivazioni che hanno determinato l’allontanamento. Si ritiene che la frequentazione del minore con la madre debba proseguire in modalità protetta”.
Il Centro Bambi, quello delle 11 segnalazioni al Tribunale di Torino, è presente anche nella storia della mamma coraggio Anna da cui è iniziato questo racconto dal Piemonte. Anche qui il procedimento penale a carico del padre è stato archiviato. “Il bambino rifiutava di incontrare il padre” ha riportato Anna alla Dire. “Visto il gravissimo malessere di mio figlio- ha raccontato- mi sono rivolta a personale medico specializzato e alla Procura per chiedere tutela e accertamenti”. E poi il ricordo di quel giorno: “E’ stato prelevato dall’ospedale Regina Margherita e portato due anni in casa famiglia. Oggi ho perso l’affido”. La CTU di mamma Anna, sempre la psicoterapeuta A, interviene sul suo caso nel 2015 quando il bambino ha 4 anni. Torna ancora una volta rispetto alle condotte di questi bambini, ai loro riferiti, ai comportamenti la tesi esplicativa dell’alienazione genitoriale. Nel caso di mamma Anna declinata come segue: il “bambino è oggetto narcistico della madre, a rischio evolutivo, la signora è influenzata dall’ idea che il minore abbia subito abusi”. E nella richiesta d’archiviazione penale fa testo proprio la relazione ‘regina’ della psichiatra A, la “mamma santissima del Piemonte” come l’ha definita Cinzia.
Il figlio di Anna parla di un tale “Signor Lampadario, manifesta conflittualità intorno alla vita sessuale e ha avuto un episodio di masturbazione violenta intorno ai due anni che non va letto con gli occhi di un adulto– scrive A- è libido, non angoscia. Il bambino ha una memoria compromessa da inferenze e va verso un disturbo di personalità borderline. La madre è ansiosa e incentrata su di sè e lega il bimbo a sè con un legame soffocante e avviluppante, mentre il padre è impulsivo e instabile. Il minore non viene considerato idoneo a testimoniare per disturbo psichiatrico, per la suggestionabilità della madre legame con cui ha un legame avvolgente”. Anche nel caso di Anna il bambino non è stato ascoltato ed è stato affidato al padre i procedimenti penali del quale sono stati archiviati.
“Ora siamo in Cassazione- ha spiegato Anna seguita dall’avvocato Morcavallo- nel caso di mio figlio non solo il Bambi ha segnalato la situazione di pregiudizio per il sospetto abuso sessuale, ma anche una pedagogista, la direttrice della scuola materna e quattro maestre. Tutto agli atti in Procura”, ha aggiunto.
La psichiatra A è la stessa che, intervenuta su alcuni casi di molestie e abusi avvenuti in ambiente scolastico, ha dichiarato: ‘È impossibile capirlo guardando l’insegnante, anche perché spesso mimetizza i propri difetti assumendo per esempio un atteggiamento simpatico, che tranquillizza i genitori. L’unico modo per accorgersene è osservare i bambini: quando il loro carattere cambia improvvisamente e si rifiutano per esempio di andare a scuola, vuol dire che c’è qualcosa che non va‘.
Se ne deduce che quello che ha reso i tre bambini di queste storie non credibili sembrerebbe quindi essere null’altro che il rapporto “simbiotico” con le loro madri e la cosiddetta “alienazione parentale”. Rita e Anna vedono i propri figli in incontri protetti, Cinzia è costretta a fare km per portare il figlio Pietro obbligato a vedere il padre contro la sua volontà. L’uomo è stato condannato per lesioni contro sua madre.
Prima di ogni osservazione sull’aspetto giudiziario mamma Anna ha commentato: “Non solo siamo state separate dai nostri figli, ma la nostra richiesta di accertamenti rivolta all’Autorità Giudiziaria a tutela dei nostri bambini, è stata rifiutata”. Cinzia dopo 11 anni ha detto di sentirsi “abbandonata. Le Istituzioni ci invitano a denunciare e poi quando donne e bambini lo fanno perchè vivono situazioni orribili ci vengono tolti i figli. Io sono 11 anni che sopporto e combatto. Ho vergona di essere italiana e non ho più forze. Ho vergogna di essere italiana. Non finirà mai questo orrore, questo- ha detto infine- è un olocausto bianco“.