Da avvocata “anziana” ricordo un’epoca in cui, attivato un procedimento di separazione giudiziale, i Giudici procedevano personalmente ad avviare l’istruttoria con udienze ad hoc, l’acquisizione di documenti probatori, memorie, interrogatori di testimoni e deposizioni delle parti, richieste di acquisizioni di informazioni da autorità (se necessario). Le eventuali consulenze tecniche su specifici quesiti erano rare e venivano disposte solo quando v’erano dei dubbi, non quando v’erano certezze di inadeguatezza derivata ad esempio dalla violenza! Ma sempre c’era la consapevolezza che la valutazione della capacità genitoriale rimanesse prettamente prerogativa del Giudice, in quanto trattasi di concetto non psicologico ma giuridico, da valutare in base a precise norme di diritto e criteri giurisprudenziali, nella conoscenza che la psicologia non è una scienza esatta e che ogni valutazione andasse comunque corroborata da fatti e argomenti coerenti. L’attività istruttoria giudiziale avveniva più o meno celermente, a seconda se fossero state presenti delle denunce di violenza o meno, per fare in modo che i minori non avessero a soffrire situazioni di pregiudizio.
Pregiudizio dal genitore violento e non da quello protettivo e denunciante! Ovviamente anche all’epoca esistevano misure cautelari, che i Giudici applicavano. E se una donna scappava in altra regione per salvarsi dalla violenza, era chiaro il motivo! A nessuno veniva in mente di sostenere che stesse ostacolando la relazione genitoriale paterna, anche dinanzi certificati di pronto soccorso e videoregistrazioni delle botte. Il materiale istruttorio veniva minuziosamente discusso, spiegato e studiato dai legali nonché dai Giudici, senza bisogno di intermediatori incompetenti del diritto e della giustizia.
Oggi mi rendo conto quale grande lavoro, con quanta capacità di ascolto e di discernimento venisse fatto tutto ciò.
Non che la Giustizia venticinque o trenta anni fa fosse perfetta, ma certo al confronto di oggi lo sembrava. E l’apparire giusto ed equo, nel diritto e nei tribunali, non è cosa da poco. E’ ciò che fa la differenza tra una società civile ed una che invece è violenta, primitiva, rozza. E’ ciò che fa la differenza nell’animo dei cittadini, instillando o meno la fiducia verso le istituzioni e facendo si che la società progredisca anziché imbarbarire.
Ieri leggevo e rileggevo degli atti processuali riguardanti un procedimento di affido, in un caso in cui un bambino racconta esplicitamente e chiaramente le violenze subite dal padre fino a due anni prima: le botte, le unghie piene del sangue della madre, le minacce, il terrore espresso dal piccolo testimone e poi…poi, in uno stato di agitazione motoria – come trascritto fedelmente dalla relazione di CTU – viene riferito come il bambino cerchi di raccontare la violenza più grave: “cattivo, cattivo…non lo voglio più vedere, non è mio padre” ripete alla psichiatra, guardandola e intanto mimando con le mani l’atto di una penetrazione digitale in un buchino formato dal pollice ed il palmo dell’altra mano, con un movimento ripetuto.
Rappresentando esattamente l’abuso sessuale di penetrazione (omissis) che esplicitamente e con parole chiare il bambino due anni prima aveva ripetuto alla pediatra ed alla mamma, da queste messo per iscritto in un verbale dinanzi le autorità giudiziarie. Non so perché la psichiatra CTU proprio in quel momento non abbia chiesto al bambino di spiegare cosa stesse facendo con le mani, cosa stesse rappresentando. Eppure quanto descritto è un chiaro segnale che il bambino volesse parlarne. Fatto sta che la relazione si interrompe e termina sostenendo che il bambino non sarebbe in grado di testimoniare. Una conclusione che sorprende perché del tutto incongruente rispetto quanto ampiamente premesso nella relazione medesima, laddove viene descritto il bambino, le sue risposte ed il suo modo di fare. Quale il motivo della ritenuta incapacità a testimoniare del minore? Perché, come scrive la psichiatra, mentre parla delle violenze egli è “agitato” e proprio l’agitazione, a parere della psichiatra, metterebbe in dubbio la sua capacità di rendere testimonianza. Quindi? Quindi affinché fosse considerato capace di testimoniare avrebbe dovuto presentarsi sereno, rilassato nel raccontare gli abusi sessuali subiti? Oppure avrebbe dovuto essere freddo e distaccato? O arrabbiato? O che?
Parliamo di un bambino di 6 anni e mezzo, “molto intelligente, aperto, socievole”, così come ripetono le relazioni della casa famiglia in cui è stato messo da alcuni mesi, strappato alla madre che non ha più rivisto e né sentito. Un bambino che nonostante tutto è descritto gioioso, capace di esprimere i propri bisogni e di reclamare i propri diritti, un bambino che gioca molto, che ha saputo entrare da subito nel gruppo degli altri bambini già presenti nella struttura, divenendone punto di riferimento.
Dalle relazioni dei servizi sociali e degli educatori, visionate dalla CTU, si tratta di un bambino che è stato messo a suo agio con una lunga vacanza in montagna, con un gruppo di pari ed educatori di cui ha imparato a fidarsi, come viene puntualmente chiarito, che si rabbuia ed agita solo quando gli viene chiesto del padre e diviene triste quando spontaneamente chiede di poter vedere la mamma. Ma non così triste da annullare le proprie risorse ed interessi, cosi come viene trascritto nero su bianco.
Del resto sono oltre due anni che la mamma lo protegge in un contesto familiare sereno ed evidentemente inclusivo ed aperto, niente affatto chiuso e retrivo come concluso da una precedente CTU redatta in ambito civile per stabilire le capacità genitoriali e l’affido del bimbo.
Del resto la mamma prima della ablazione, pur con la morte nel cuore ed il terrore per ciò che accadrà, aveva avvisato e preparato il figlio dicendogli che avrebbe fatto solo una bella e lunga vacanza. Parole che tuttavia erano state reinterpretate, evidenziate e riportate al Giudice come il segnale preoccupante di chissà cosa, come se fossero significative di “non collaborazione” della madre, forse di un intento fuggitivo: parole e impressioni che dunque avevano dato avvio ad un trattamento di distacco più duro del solito. O la durezza è forse dipesa dal fatto che il bambino dovesse andare incontro ad un incidente probatorio proprio sugli abusi sessuali denunciati? Eppure è proprio la CTU redatta nella struttura educativa, in vista dell’incidente probatorio, che descrive un bambino “non simbiotico” (queste sono le esatte parole della psichiatra, che incredula sono costretta a rileggere più volte) cosi smentendo del tutto la precedente CTU civile e dunque la pretesa di ablazione medesima che ne è seguita!
Eppure che il bambino non fosse “simbiotico” già lo si sarebbe potuto derivare da mille circostanze, ma al solito il rifiuto terrorizzato e deciso verso il padre si era voluto spiegare solo ed esclusivamente con la presunta ed inesistente “simbiosi” materna, senza nemmeno ipotizzare che potesse realmente derivare dalla naturale reattiva esigenza protettiva di sé del bambino medesimo, come dallo stesso rivendicato!
Ma poi…. Quale è il problema di essere attaccati alla mamma protettiva, a sei anni, rifiutando di vedere un padre che ti distrugge la vita?
Quale è il problema di alcuni Giudici attuali – sempre di più per la verità – che non vogliono sentir parlare di violenza ed abusi paterni, anche gravi, quando devono decidere di un affido genitoriale?
Quale è il problema che impedisce di espletare al più presto un incidente probatorio – un atto preliminare che andrebbe svolto d’urgenza – a distanza di ben due anni dalle denunce?
Quale il problema di fondo, che induce a decidere di anticipare all’incidente probatorio del bambino la sua ablazione dalla madre, accusandola infondatamente di simbiosi e di essere ostacolante?
E infine: quale è il problema del sistema Giustizia attuale, se non si vuole più ascoltare e riconoscere la violenza e persino gli abusi sessuali gravi subiti e raccontati da un bambino?
Non so se i Giudici che leggeranno le relazioni e le CTU che ho letto ieri – fra le centinaia che mi giungono da madri disperate, a testimoniare l’esistenza di un inquinamento gravissimo nei tribunali italiani – avranno la pazienza di studiarle attentamente, la preparazione per capire ciò che stanno leggendo, la capacità critica di vedere le macroscopiche e grossolane contraddizioni ed incoerenze, l’autonomia di giudizio da condizionamenti e pregiudizi inconsci, l’onestà intellettuale di ammettere gli abusi istituzionali e le violazioni dei diritti essenziali di un bambino commesse, l’intelligenza affettiva di capire che stanno decidendo della sua salute e delle sue sorti e che dalle loro decisioni dipenderà totalmente la sua vita futura.
Ciò che so è che, anche in questo caso, fino ad oggi tutto ciò che andava fatto dal Tribunale non lo è stato e che chi ha provato a reclamare sacrosanti diritti si è trovato denunciato, compreso il legale della mamma di questo bambino. So che un altro innocente dopo essere stato violato sta rimanendo del tutto inascoltato dalle Istituzioni. So che un altro orco potrebbe rimanere impunito e probabilmente potrebbe proprio lui ottenere l’affido della sua piccola vittima. Non sarà la prima volta che accade!
E so che leggere tutto ciò mi indigna, mi inquieta e atterrisce. Come persona, come mamma, come cittadina e prima di tutto come Avvocata. Articolo a cura dell’Avv. Michela Nacca
(fonte il Coraggio della Donne)