“Le pallottole che avete sparato vi torneranno indietro”, recitava una delle canzoni di piazza a Santiago. I tamburi e i fiati accompagnavano i cori ribelli dei cileni che, il 18 ottobre 2019, scesero nelle strade della capitale, sfidando la repressione, per protestare contro l’aumento del costo del biglietto della metropolitana di 30 pesos (circa tre centesimi di euro).
Questa sera, alle ore 21.30, al Festival del cinema di Roma, verrà proiettato il documentario ‘No tenemos miedo’ di Manuele Franceschini, regista italiano che ha vissuto nella capitale cilena 12 anni.
Il film, prodotto da Lucky Red con il patrocinio di Amnesty International, affronta le manifestazioni da una prospettiva inedita. Le immagini raccontano infatti la Primera linea: la sezione dei manifestanti che aveva affrontato con pietre e pochi altri strumenti i lacrimogeni, le pallottole e i manganelli dei carabineros (la polizia cilena) in quella che lo stesso presidente cileno Sebastian Piñera aveva definito “una guerra”.
“Non sono 30 pesos, ma 30 anni”, ha detto Franceschini ricordando uno degli slogan delle proteste. “Sin da subito, infatti, le manifestazioni hanno preso la forma di una condanna a un sistema neoliberale che porta disgrazie”.
Per il regista, determinante nella rivolta è stato il ruolo svolto dai giovani cileni, vittime da anni di repressione e mancanza di accesso a servizi essenziali come la sanità, l`istruzione e i trasporti a causa delle politiche di privatizzazione dei vari governi.
“All’inizio, quando tornavo a casa con la puzza di lacrimogeno addosso avevo una sensazione di angoscia”, ha ricordato Franceschini. “Mi sembrava di vedere una sorta di sacrificio umano, quello di una gioventù che, nonostante tutto, andava avanti impavida”.
Il documentario, sottolinea il regista, “è dedicato alla loro scelta di nobiltà che ha permesso a tutto il resto della popolazione di manifestare pacificamente, altrimenti sarebbe stato impossibile farlo”. I manifestanti avevano subito violenze in piu` occasioni. E c’è un aspetto che colpisce più di altri: le mutilazioni oculari causate dalle pallottole dei carabineros. Come se fosse in atto un tentativo di togliere la vista a una generazione che, invece, persisteva nella lotta e che fu fermata solo dall`avvento, a marzo del 2020, della pandemia di Covid-19 perché, come spiega un attivista nel film, “il nostro compito è soprattutto quello di prenderci cura degli altri”. Secondo i dati forniti dalla Procura generale e dall’Istituto nazionale dei diritti umani aggiornati al marzo 2021, durante le proteste sono morte 30 persone, circa 8.000 hanno riportato danni, oltre 400 delle quali traumi oculari. “È stata una politica deliberata dello Stato cileno che voleva stroncare le manifestazioni, anche a costo di uccidere”, ha denunciato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, alla presentazione del film. “I dirigenti dei carabineros sono ancora al loro posto, nonostante siano responsabili di aver impartito ordini vergognosi come quelli di sparare agli occhi”, ha continuato Noury. “La nostra richiesta di giustizia va avanti affinché gli esecutori materiali e i mandanti siano portati davanti alla giustizia. Bisogna dire basta all`impunità che ha caratterizzato tutti gli anni successivi alla fine della dittatura di Pinochet”.
Sulla spinta delle proteste di strada, il 25 ottobre 2020 un referendum ha abrogato la Costituzione cilena del 1980 con una maggioranza del 78 per cento. Gli elettori, inoltre, hanno scelto di affidare la scrittura del nuovo testo a un`assemblea costituente, ora presieduta dalla docente universitaria mapuche Elisa Loncon. Oggi, secondo anniversario dello scoppio delle rivolte, inizierà la redazione del testo elaborato a partire da luglio 2021 da sette commissioni. “Sarà una giornata di tensione nelle strade”, ha detto Franceschini, che ha poi annunciato che il documentario sarà trasmesso questa sera in Cile dalla televisione privata La Red.