Tampon tax: dimezzata l’aliquota fiscale, ma ancora non equiparata ai beni di prima necessità.
Sono passati quasi sei anni da quando nel 2016 i deputati Giuseppe Civati e Beatrice Brignone di Possibile hanno presentato in Parlamento la proposta di legge che prevedeva di abbassare l’aliquota sui prodotti sanitari e per l’igiene intima femminile, dal ventidue percento al quattro percento. Dopo un lungo cammino, in Italia si cominciano a muovere i primi passi avanti in materia con l’approvazione della tassa al dieci percento, un risultato calmierato rispetto a quanto richiesto. I tamponi, gli assorbenti, le coppette e le spugne mestruali sono infatti tassati come beni di lusso, categoria nella quale rientrano anche sigarette, abbigliamento, pannolini e mobili. Ma definire il ciclo mestruale un lusso è ben lungi dalla realtà. Si può infatti decidere di rinunciare a comprare un capo di abbigliamento nuovo o un pacchetto di sigarette, ma nessuna donna ha il potere di sottrarsi al naturale fenomeno del ciclo. La disparità di genere, oltre a pervadere ogni aspetto della società, ha anche una propria tassa, il cui peso cade unicamente sulle tasche donne.
Un cammino legislativo lungo quasi sei anni.
La proposta arriva così in Parlamento grazie all’impegno di Possibile, che depositò alla Camera un testo semplice composto da due articoli. Il primo indicava la riduzione dell’Iva sui “prodotti sanitari o igienici femminili, quali tamponi interni, assorbenti esterni, coppe e spugne mestruali” e il secondo si concentrava invece sulla copertura finanziaria “nell’ ambito del programma <<Fondi da ripartire>> dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze”. La legge fu accolta con ilarità sia dagli stessi politici che da alcuni personaggi televisivi, e tristemente anche da molte donne. Il testo avanzato non fu approvato, ma Possibile ci riprovò lo stesso anno cercando di introdurla nella legge di bilancio, senza però ottenere risultati. “Non ci sono coperture” questa la motivazione data per giustificare la scelta. Terminata la legislatura si sono unite alla battaglia sulla tampon tax anche le deputate del Pd, Enza Bruno Bossio e Chiara Gribaudo, e il senatore pentastellato Pierpaolo Sileri, attuale sottosegretario alla salute. La proposta presentata da quest’ ultimo al Senato fu ancora una volta respinta. Nel 2018 fu la volta di Liberi e Uguali, con la proposta di Luca Pastorino per un emendamento al decreto Semplificazione, l’esito: ancora una volta negativo. Il m5s con la capofila Vita Martinciglio ci riprovò con un altro emendamento, che conobbe la triste sorte dei precedenti. “Le questioni che riguardano la fiscalità a volte chiedono un po’ più di tempo”, disse la sottosegretaria all’Economia del primo governo Conte, Laura Castelli. Nel 2019 è stata di nuovo Bruno Bossio a porre la questione con un ordine del giorno al decreto per la semplificazione fiscale, ricordando le recenti posizioni assunte un mese prima a Strasburgo sulla tampon tax. Anche l’ex presidente della Camera, Laura Boldrini si è battuta per la battaglia sia nella manovra del 2019, durante la quale è stata capo di un gruppo trasversale di deputate, tra cui c’erano le altre parlamentari dem, Marianna Madia e Patrizia Prestipino, la pentastellata Martinciglio, l’ecologista Rossella Muroni, insieme a Lucia Annibali di Italia Viva e Renata Polverini di Forza Italia, oltre ai due punti fermi Bruno Bossio e Gribaudo, sia nel 2020. La tampon tax fu poi interpretata anziché come un diritto fondamentale per il raggiungimento della parità di genere, come una questione ambientale, e così l’allora ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, portò a un compromesso molto al ribasso, previsto solo per i materiali biodegradabili. Poi nel 2021 ancora il rilancio della senatrice del M5S, Susy Matrisciano, fino ad arrivare al 20 ottobre 2021, quando è stata finalmente approvata una riduzione della tassa al dieci percento, dato ben distante dal quattro percento riservato ai beni di prima necessità.
Tampon Tax nel mondo.
Hanno preso provvedimenti sulla Tampon tax paesi come la Spagna (4 %), la Francia (5,5%), il Belgio (6%) e i Paesi Bassi(6%), la Gran Bretagna (5%) aveva già adottato questa risoluzione nel 2000. La Scozia prevede invece la distribuzione gratuita di assorbenti, mentre l’Irlanda già dal 2005 aveva deciso di non applicare nessuna tassa, tuttavia la normativa dell’Unione Europea ha successivamente imposto una tassazione ridotta ma pur sempre presente sui prodotti igienico-sanitari. In Canada, in Australia e in India la tassa è invece stata totalmente abolita rispettivamente nel 2015 e nel 2018. Negli Stati Uniti le tassazioni applicate sui prodotti femminili sono diverse, tuttavia negli ultimi anni la tassa è stata abolita nello Stato di New York, in Massachusetts, Minnesota, Maryland, Pennsylvania e New Jersey. Il Kenya si è adoperato fin dal 2004 per ridurre la tassazione e dal 2011, in collaborazione con ZanaAfrica, ha dato attuazione a un progetto che prevedeva la distribuzione gratuita di assorbenti nelle scuole. Restano invece al vertice della classifica le pesanti tassazioni di Ungheria (27%) e di Norvegia, Svezia e Danimarca (25%).
Aurora Mocci