Una terra, sei possibili scenari.
Per soddisfare le proprie esigenze l’uomo ha modificato notevolmente tre quarti dell’ambiente terrestre e più del sessanta percento di quello marino. Per aumentare continuamente il tenore di vita dei paesi sviluppati, abbiamo distrutto interi habitat, disboscando foreste e mettendo in serio pericolo l’esistenza di moltissime specie animali. Tra tutti i settori responsabili di questa profonda ferita, quello agro-alimentare è tra i maggiori colpevoli, in particolar modo se si considerano gli allevamenti intensivi e l’annessa produzione di carne. Nature Sustainability ha pubblicato uno studio nei quali si prefigurano sei possibili scenari sul futuro del nostro pianeta entro il 2050 in base alle scelte alimentari che faremo.
Scenario 1
Continuando senza alcuna variazione delle nostre abitudini alimentari, con la crescita prevista della popolazione mondiale e nessuna ottimizzazione della produzione, nei prossimi trent’anni avremmo bisogno di oltre un quarto in più dell’attuale terreno utilizzato per la produzione di cibo; arrecando gravi danni agli habitat presenti in Africa e in America Latina. Più modesti invece i danni ambientali previsti in Europa, Asia e America del Nord. La perdita di biodiversità è un epilogo drammatico pronto a minare la nostra salute e il nostro benessere economico e sociale. Ogni volta che danneggiamo la terra, danneggiamo noi stessi e il nostro futuro.
Scenario 2
Seguiamo la dieta EAT-Lancet: si bilancia il consumo di carne nel mondo, aumenta nei paesi più poveri e diminuisce in quelli più ricchi. Ne segue che in Europa, Asia e Nord America si recuperano degli habitat, mentre la perdita si riduce in Africa e Sud America, ma la situazione rimane grave in tutti i continenti.
Scenario 3
Riduciamo di un quarto lo spreco alimentare entro il 2030 e lo dimezziamo entro il 2050. Secondo questo modello si riducono le perdite di habitat nella maggior parte del mondo, ma la situazione rimane ancora molto grave in Africa e in Sud America.
Scenario 4
Si procede con l’ottimizzazione del commercio: la produzione di cibo viene spostata altrove dai 25 paesi che hanno sofferto più perdite in materia di biodiversità, allievando così le perdite di questi ultimi, ma non riuscendo ancora ad arrestare il declino a livello globale.
Scenario 5
Si aumenta il rendimento dei terreni usando la tecnologia disponibile per portare le colture all’80% del loro massimo potenziale entro il 2050. In Europa, Asia, Oceania e parte dell’Africa si recuperano habitat. In parte dell’Africa e nelle Americhe si continuano a registrare delle perdite, ma ridotte al minimo.
Scenario 6
Vengono adottate insieme tutte le precedenti soluzioni. Combinando tutte le strategie, modificando le nostre diete, dimezzando lo spreco alimentare e ottimizzando la produzione si recupera un territorio prima dedicato interamente alla produzione alimentare grande quanto India e Germania insieme. Gli habitat e la biodiversità non solo smettono di scomparire ma cominciano a tornare in tutti i continenti.
Il vertice Onu sul rinnovamento del sistema alimentare e le criticità persistenti.
Ovviamente per riuscire ad ottenere lo scenario numero 6, scenario ideale per la preservazione dell’ambiente e della nostra vita, la coscienza civica dei cittadini non è sufficiente, sono richiesti dei provvedimenti ad hoc dei singoli Governi ed enti sovranazionali. L’Onu ha tenuto a settembre il primo vertice mondiale per ripensare il sistema alimentare con la partecipazione di ben 140 paesi. In questo momento un terzo del cibo prodotto viene sprecato e un terzo della popolazione soffre di malnutrizione, un campanello d’allarme che dovrebbe far riflettere tutti, in primis le personalità di Governo, ovvero gli attori politici che hanno il vero potere di cambiare le cose. Per non dimenticare di come un quarto delle emissioni di gas serra derivino dalla produzione di cibo. Il rapporto dell’Onu ha così indicato che dovranno essere introdotte soluzioni politiche per: la protezione degli habitat, la creazione di filiere più corte, il supporto ai piccoli produttori, il corretto uso delle risorse naturali, il miglioramento del recupero e la redistribuzione degli scarti, l’aumento di produzione di cibo nutriente, accessibile e non inquinante, l’aumento del prezzo dei cibi ad alto impatto ambientale. Queste soluzioni dovranno essere introdotte in modo democratico e inclusivo, ma la strada sembra essere ancora ripida, l’intervento delle multinazionali che non vogliono rinunciare ai loro interessi, la scarsa rappresentazione dei piccoli produttori e la poca concretezza dei Governi nel prendere seri provvedimenti rappresentano criticità che sembrano ancora difficili da superare.
Aurora Mocci