L’intervista di L’Espresso a Mario Tarroni.
GC: Caro Mario innanzitutto volevo che ci parlassi del progetto della mostra La Ricerca della Bellezza di Roberto Capucci, che tu, assieme a tuo fratello Michele, state seguendo molto…
MT: E’ una mostra che parte da un suo progetto di qualche anno fa. Era da otto anni che il maestro lavorava a questa idea, nata da un confronto con un suo parente, un Monsignore del Vaticano: riguarda le Madonne vestite. Parte da uno studio approfondito di quella che è la Storia dell’Arte Italiana del Rinascimento. E per questo ha a che fare con il culto delle Madonne vestite.
GC: E’ una tradizione molto antica…
MT: Il maestro inizialmente aveva buttato giù solo alcune bozze di disegni. Poi il progetto si era fermato. noi ci siamo conosciuti in occasione di un concerto che io avevo organizzato in collaborazione con Teatro San Carlo di Napoli, presso il Palazzo della Cancelleria qui a Roma. E’ stata l’occasione per iniziare a parlare di quella sua idea di partenza. Le bozze che mi ha mostrato poi, mi sono piaciute davvero molto. Mi hanno impressionato. Ci siamo messi così subito al lavoro. E abbiamo deciso di iniziare a fare una ricerca mirata di quelle sartorie in tutta Italia, piccole realtà, poco conosciute, voglio dire… ma grandi eccellenze.
GC: Tu avevi curato la direzione artistica del concerto a Palazzo della Cancelleria, in collaborazione con Tota Pulchra, giusto?
MT: Io mi occupo anche della direzione artistica in Tota Pulchra, che è nata, come associazione, grazie al nostro incontro anche. Come sai, ha l’intento di dare ospitalità e visibilità a quegli artisti, che hanno bisogno di essere seguiti. Ma di questo Monsignor Gervais te ne ha già parlato ampiamente.
GC: La tua formazione artistica e personale quale è?
MT: Io vengo dal mondo dell’arte, dal teatro, pubblicità, cinema, dalla pittura e scultura. Abbiamo deciso di aprire questa associazione proprio per mettere a frutto le nostre diverse esperienze e i nostri comuni interessi. Io mi sono occupato già a partire dal logo della associazione. Il logo a cui ti ho accennato, una sorta di danza di due figure, è preso da un disegno che mi aveva regalato un pittore francese…
GC: Quindi, con la Associazione avete iniziato a seguire degli artisti…
MT: Sì. L’idea è anche quella di lanciare nuove proposte. Io personalmente nel corso degli anni, dopo l’incontro con Capucci, ho aperto due altre associazioni, proprio per seguire la mostra del maestro.
GC: E’ inevitabile non parlare di questa mostra. Dimmi di più…
MT: La mostra al momento è ancora digitale, poichè con le restrizioni, non siamo riusciti ancora a realizzarla in presenza come noi realmente l’abbiamo concepita e la desideriamo. Per i 90 anni di Capucci abbiamo deciso di realizzarla in digitale ( www.grazie.tv ), oltre ad essere stata patrocinata dal Pontificio Cultura e dal Fabbrica di San Pietro, è stata ultimamente oggetto di copertina e leitmotiv dell’esclusiva rivista internazionale vaticana “Culture e Fede” (vol. XXIX, 2021, n. 2). E’ una mostra che vogliamo portare in tutto il mondo, nei musei più importanti. Il maestro, all’apice dei suoi 70 anni di carriera, dopo aver vestito le donne più importanti, finalmente ha vestito la Madonna. E’ una battuta che ama ripetere lui stesso.
GC: Mi dicevi della tua formazione…
MT: Io ho iniziato a studiare Storia dell’Arte e Conservazione dei beni culturali a Venezia, alla Ca’ Foscari. E contemporaneamente studiavo anche teatro a Bologna. Ho lavorato in campo pubblicitario e cinematografico e mi occupo anche di pittura e scultura. E’ una grande passione. Vengo da un paese – Codigoro/Pomposa – in provincia di Ferrara, che è molto vivo dal punto di vista artistico.
GC: Come hai incontrato Monsignor Gervais? Mi hai detto che l’idea di Tota Pulchra è stata quella di portare avanti interessi e scopi comuni…
MT: I primi anni che vivevo a Roma, ho lavorato come barista in un locale, a Palazzo della Cancelleria e ho incontrato lì Monsignor Gervais. Abbiamo iniziato da subito a parlare di arte e ogni volta il discorso era sempre più profondo e attento. L’idea della associazione è nata in quel momento. Abbiamo organizzato in questi anni, diverse cose, presentazioni di libri, concerti, mostre d’arte.
GC: Il discorso dell’arte, dell’estetica mi ha interessato in passato molto. volevo capire il tuo punto di vista…
MT: Per dirla semplicemente: mi interessa molto l’arte contemporanea e penso che ci siano dei nuovi linguaggi sui quali i giovani hanno tanto da raccontare. Per me è una scoperta continua. A partire dalla strada. Cerco di capire cosa pensano a livello artistico.
GC: Hai detto che avete organizzato diverse mostre e presentazioni, ad esempio?
MT: A palazzo della Cancelleria con Tota Pulchra e Misima la mia associazione, abbiamo realizzato la prima mostra con il fotografo Luigi Tosti. E’ stato un grande successo. Io mi sono occupato della organizzazione di tutto l’allestimento scenografico. Tosti lo avevo conosciuto in una Galleria in via Margutta, con cui collaboravo e abbiamo iniziato da subito a pensare di realizzare qualcosa assieme.
GC: Cosa è per te l’Arte?
MT: Per me l’arte è da intendere come un rapporto molto intimo con se stessi e con la divinità. Per me Dio è ovunque, nella natura, nello spazio. Cerco di cogliere nel mondo esterno dei segnali che colpiscono le mie emozioni. E’ anche una forma di espressione per far conoscere se stessi. In un quadro in una scultura i colori stessi arrivano direttamente dall’intimità del soggetto, dell’artista.
GC: La fotografia, l’arte, le questioni sociali, l’empatia, la sensibilità che emergono dalle tue parole, sono state in passato, e lo sono ancora, questioni per me molto importanti. Sono questioni che ho potuto sperimentare ad esempio collaborando con il fotografo e fotoreporter internazionale Gerald Bruneau, quando ha realizzato delle opere in alcuni progetti che ho portato avanti all’interno degli istituti penitenziari di Roma. Arte che è politica metafisica filosofica. Tu che pensi a riguardo?
MT: Ogni artista ha le sue peculiarità. Personalmente ho frequentato tanti studi di artisti. Ho affinato l’occhio. Per questo credo di riuscire a riconoscere chi ha qualcosa da raccontare. Lo riconosci immediatamente, dagli occhi, dal segno, dalla composizione dei colori. Quando vedo un quadro credo di poter distinguere se un’opera ha quelle caratteristiche per poter andare oltre.
GC: Una parte di te è il curatore di mostre. Un’altra è l’artista. Tu chi sei?
MT: Sono il mix di esperienze che mi hanno fatto diventare quello che vedi e che vanno di pari passo. Uno non esclude l’altro. Anzi. Aver curato così tante mostre mi ha dato tanto in termini di esperienza. Credo che non potrei sentirmi artista se non avessi fatto queste esperienze a contatto con il mondo dell’arte. Ho imparato parecchio. Ho visto come i grandi artisti prendevano in mano i pennelli. I loro modi di fare. Di essere.
GC: Hai un maestro di riferimento?
MT: Il mio maestro di vita è stato Carlo Pandolfi. E’ stato un carissimo amico. Era una persona umile. Io ho cominciato a seguirlo fin da quando ero un ragazzino. Viveva in un paesino in provincia di Ferrara, da eremita. Io avevo capito che aveva qualcosa da raccontare. E in qualche modo ho iniziato a salvaguardare il suo lavoro. Ho salvato un centinaio delle sue opere dalla distruzione e mi auguro, ora, che presto possano essere fruibili a chiunque: hanno qualcosa da raccontare. E’ stato lui che mi ha dato i primi imput. Abbiamo visitato musei e studi di altri pittori.
GC: La questione sull’Arte è molto importante e molto complessa. Tu come ti sei avvicinato?
MT: Sin da ragazzino ho iniziato a fare delle piccole sculture con i materiali che trovavo per strada. Carlo, come detto, è stato il mio primo maestro. Nella mia biografia ho parlato di lui. Nel tempo poi mi sono occupato di teatro e di cinema anche. Ho avuto l’occasione di conoscere il grande regista Pupi Avati al quale mi lega un’amicizia di quasi vent’anni. Gli ho scritto tanto, finchè, un giorno, mi ha risposto e ci siamo incontrati. Non ti nascondo che agli inizi sono venuto a Roma per cercare di lavorare nel mondo del cinema proprio per questo forte legame con lui. Un’altra persona, che è stata molto importante nella mia formazione, è stata Paola Bassani, la figlia di Giorgio Bassani lo scrittore. Aveva letto alcuni miei scritti e visionato delle mie opere, e mi invitò a venire a Roma. Ci siamo frequentati. La loro casa è piena di storia e di storia dell’arte. E’ stato un bell’incontro.
GC: Veniamo alla mostra del prossimo 14 dicembre “Fineco incontra l’arte”, presso Camponeschi, qui a Roma in piazza Farnese.
MT: La mostra nasce dall’ incontro con Philippe Daverio. Ci frequentavamo. E una volta ci siamo visti a casa di Monsignor Gervais, anche per far conoscere la realtà di Tota Pulchra. Me la ricordo come una serata fantastica. Immagina io, monsignor Gervais e uno dei massimi critici d’arte italiani, a discutere di arte e pensiero… Alcune mie opere erano a casa di Monsignor Gervais e Daverio, quando le ha viste, si è mostrato molto entusiasta. Dopo questa lunga chiacchierata avevamo pensato di realizzare una mostra delle mie opere nel suo appartamento. Lui era solito organizzare serate simili. Poi purtroppo, come sappiamo, è venuto a mancare… E non se ne è fatto nulla. Ma l’idea di una mostra era ormai nata nella mia testa.
GC: Perché le “stanze dell’inconscio”? E’ molto particolare…
MT: Presso la Banca Fineco ne ho esposte finora circa una cinquantina. E non fanno parte tutte del ciclo dell’inconscio. Ogni opera arriva dall’interno. Raccontano dei miei viaggi interiori. Sono pensieri e azioni della mia vita, del mio quotidiano: racconto e raccontano attraverso le mie emozioni. Sono azioni fermate nel tempo. Ognuno può vederci altro. E’ la mia parte più intima, più spirituale. Le stanze dell’inconscio è stato un modo anche per vedere, per leggere me stesso attraverso queste opere. Di essere io stesso il mio stesso analista. Ho sempre avuto il bisogno di conoscermi, di scavare dentro me. Ho seguito un filo conduttore interiore nella realizzazione di queste opere. Quando inizio un’opera non sono del tutto cosciente di quello che andrò a fare. Il risultato arriva alla fine. Creo una struttura, per così dire. Seguo i miei pensieri, e le mie azioni. C’è qualcosa che mi guida a fare quello che faccio.
GC: Quali sono i tuoi riferimenti culturali, le linee guida che servono ad orientarti all’interno del mondo dell’arte..?
MT: Sono tanti, dal cinema al teatro all’arte. Ma io non ho mai seguito un filo logico. Mi piace lavorare con del materiale che trovo per strada, come ti ho accennato prima. Questo mi ha portato nel tempo a non seguire un filo logico. Piuttosto plasmo quello che trovo. Invento e creo in base a quello che trovo. Ci sono artisti che amo e che mi hanno formato. I riferimenti inconsciamente sono dentro le opere stesse. C’è gesto e azione.
GC: Dimmi della mostra.
MT: E’ una raccolta di opere che ho realizzato nel corso degli anni. Le ho fatte per un bisogno mio. Ho avuto dei riscontri positivi che mi hanno spinto a organizzare questa mostra. Presso la Banca Fineco, ad esempio, inizialmente doveva durare solo qualche settimana. Ed invece è ancora ospitata dal 28 ottobre 2020, data dell’inaugurazione
GC: Quali sono i tuoi prossimi progetti?
MT: La mostra di Capucci sicuramente. Mi piace scrivere. Ritaglio libri vecchi che inserisco in composizioni di fiori secchi, amo assemblare vecchi oggetti e inserirli in una sorta di wunderkammer per fermare quel pensiero e quel tempo.
GC: Con Tota Pulchra invece?
MT: Ho creato con l’aiuto di mio fratello Michele un network importante, anche per portare la mostra di Capucci in Brasile. Per presentarla dal Cristo Redentore. Ora stiamo lavorando alla istituzione di una Fondazione.
Aurora Mocci