Al netto delle considerazioni personali che ciascuno di noi è libero di fare e considerando che siamo solo al primo grado di giudizio, le 904 pagine della sentenza di condanna che infligge a Mimmo Lucano oltre 13 anni di reclusione delineano un quadro affatto rassicurante, non solo per le considerazioni in diritto ma soprattutto per i numerosi passaggi delle intercettazioni che danno la misura concreta di ciò che è stato.
In questa vicenda, come spesso accade nelle storie di questo tipo, è emersa una doppia chiave di lettura dei fatti, visti da vicino e da lontano: la realtà contro l’apparenza.
La Difesa di Lucano, guardando il processo “da lontano”, ha cercato di sorvolare su ciò che emergeva dai documenti e delle intercettazioni, «facendo leva su una sorta di persecuzione politica che avrebbe ricevuto l’ex Sindaco LUCANO, che sarebbe stata finalizzata ad azzerare il sistema di integrazione ed accoglienza dallo stesso faticosamente creato in Riace e che costituiva un modello di civiltà, di solidarietà e di umanità ammirato e preso ad esempio in tutto il mondo da politici, intellettuali e da molta gente comune, che condividevano quei medesimi ideali riconoscevano, quale valore da proteggere, quella forma innovativa di integrazione e fratellanza».
Secondo la Pubblica Accusa invece le prove “viste da vicino” – e cioè senza l’uso di lenti deformanti della presunta persecuzione di natura politica – hanno consentito di delineare una realtà fattuale di segno diverso in cui sono messi «in luce meccanismi illeciti e perversi, fondati sulla cupidigia e sull’avidità, che ad un certo punto hanno cominciato a manifestarsi in modo prepotente in quei luoghi e si sono tradotti in forme di vero e proprio “arrembaggio” ai cospicui finanziamenti che arrivavano in quel paesino, che per anni era stato economicamente depresso, tanto da tradursi in una sottrazione sistematica di risorse statuali e della Comunità Europa, che pure erano destinate a favore di quelle persone più deboli, del cui benessere e della cui integrazione, però, nessuno si interessava più, se non in forma residuale e strumentale.»
Tuttavia, contrariamente a quanto si è voluto far credere all’opinione pubblica, e come ammesso dallo stesso Lucano in alcuni passaggi delle intercettazioni, non si sarebbe trattato di persecuzione politica perché «quelle indagini non erano state per nulla pilotate politicamente, per come riferitogli dal suo avvocato, che gli aveva detto che sia la Procura di Locri, che la Guardia di Finanza, avevano agito in buona fede e quasi controvoglia, in quanto costretti ad operare su input degli atti trasmessi loro dalla Prefettura di Reggio Calabria».
Tutto parte da una prima relazione di verifica del sistema Riace risalente al 2016 da cui emergono le prime, pesanti, irregolarità: la cooperazione che doveva svolgersi con un solo ente gestore (Città Futura) ma che nei fatti per volere di Lucano si era estesa ad altri enti (cinque) senza alcuna selezione di evidenza pubblica, senza avere ottenuto il preventivo assenso da parte del Servizio Centrale dello SPRAR e, soprattutto, senza aver verificato che i suoi collaboratori fossero provvisti di “pluriennale e consecutiva esperienza nella presa in carico di richiedenti e/o titolari di presentazione della domanda» come previsto dalla normativa di riferimento.
Quindi « vi era una moltiplicazione di più gruppi operativi di intervento, che però agivano in forma scoordinata tra loro, senza peraltro fornire tutti i servizi che erano oggettivamente necessari.»
Cosa ancora più grave, vi era una «scarsa alfabetizzazione dei migranti che […] avevano una limitata conoscenza della lingua italiana (a differenza di ciò che era stato riscontrato in altri centri). […]
Del tutto assente era, inoltre, il servizio di assistenza legale, intesa come attività formativa degli stranieri sui diritti loro spettanti, sulla loro formazione civica, e sulle azioni di sostegno nelle procedure di riconoscimento della protezione internazionale (per come prescritto dall’art. 31, comma 8, del DM 10.08.2016). […]
Nessun migrante era stato mai accompagnato presso la Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione, quando, invece, questo aspetto era uno dei più salienti previsti dal citato art. 31, che imponeva “‘accompagnamento nell’interlocuzione con gli attori istituzionali preposti alle diverse fasi della procedura di riconoscimento della protezione internazionale”. […]
Le condizioni abitative di molti alloggi, sotto il versante dell’idoneità strutturale e del mobilio in esso presente, lasciavano molto a desiderare; così come venivano segnalate numerose carenze igienico- sanitarie. […]
Molti migranti risultavano, poi, lungopermanenti, e ciò in misura di gran lunga superiore rispetto al limite massimo di accoglienza consentito […]
Veniva, in ultimo, effettuato un uso illegittimo della cosiddetta “moneta di Riace” […] in contrasto con la normativa dello SPRAR, perché non educava i migranti all’effettivo utilizzo della moneta avente corso legale; imponeva loro di andare solo in alcuni esercizi commerciali e non in altri, oltre al fatto che quei negozi che accettavano tale forma di pagamento, a volte imponevano delle maggiorazioni nei prezzi, per i ritardi con cui ricevevano i rimborsi dall’ente gestore.»
Dalle spontanee dichiarazioni di Lucano «è senz’altro emersa una pura passione che lui ha nutrito per anni per quel mondo nuovo che ha saputo creare, ispirandosi agli ideali utopici della Città del Sole di Tommaso Campanella, che egli ha inteso reinterpretare con un misto di genialità e di intuito politico “illuminato”, di cui occorre dargli merito, e che giustamente hanno ricevuto così tanta eco e apprezzamenti internazionali..»
«Non ha però spiegato nulla della falsificazione dei rendiconti di cui egli stesso, assieme ad altri, si è reso indiscusso protagonista, grazie alle quali ha distratto denaro pubblico, in misura assai rilevante, per acquistare per fini di privato interesse, anche a lui riferibili, tre case destinate al turismo dell’accoglienza ed un frantoio, per rimodernare altri immobili con ricche finiture, sempre da destinare ai predetti fini turistici, distraendo, infine, rilevanti importi per sovvenzionare costosissimi concerti estivi (che servivano ad esaltare la sua immagine di politico).
Non ha fornito alcuna plausibile giustificazione in merito alle elevate somme, della portata di migliaia di euro, di cui – per suo tramite- disponeva la sua compagna TESFAHUN Lemlem, che faceva numerosi viaggi all’estero ogni anno (ad alcuni dei quali egli stesso aveva partecipato) e che viveva in una casa riccamente arredata con i fondi dello SPRAR, che lui le aveva consentito di avere, in piena dissonanza con le suppellettili modeste e usurate che venivano invece destinate ai migranti, nonostante fossero presenti in atti numerose fatture che documentavano acquisiti di mobilio effettuati per loro, ma di cui essi, purtroppo, non ebbero mai a beneficiare.
[…] così come nessuna spiegazione convincente ha inteso fornire circa le ragioni per le quali aveva tollerato che i suoi più stretti collaboratori avessero posto in essere numerosi reati – di cui egli era a piena conoscenza- la cui commissione aveva ugualmente supportato di buon grado, con il suo comportamento omissivo, che era stato tenuto per bieco calcolo politico, dal momento che ciascuno di loro era portatore di un cospicuo pacchetto di voti, a cui lui non aveva inteso rinunciare. […]
Si tratta solo di alcune delle domande più impellenti che sono suggerite dalle carte di questo processo e che questo Collegio avrebbe voluto formulare nei confronti suoi e degli altri protagonisti di queste vicende, ma che sono rimaste senza alcuna risposta, dovendosi prendere atto del suo e degli altri legittimi, quanto ostinati silenzi, che potranno essere riempiti solo dall’eco delle loro stesse parole che si traggono dalle varie intercettazioni di cui si dispone e dai numerosi documenti […] che hanno purtroppo tratteggiato un mondo privo di idealità, soggiogato da calcoli politici, dalla sete di potere e da una diffusa avidità.»
«Quello che è emerso costituisce, quindi, il vero tradimento degli ideali di accoglienza e di solidarietà che, seppure all’inizio erano stati mirabilmente attuati in quel Comune – diventato giustamente un modello ed un simbolo di integrazione per tutto il mondo- erano stati, tuttavia, successivamente soffocati da una sfrenata sete di visibilità politica da parte del LUCANO medesimo- risultato essere il vero e proprio deus ex machina di quel sistema sotterrano e perverso- realizzata tramite sottrazioni reiterate e mirate di denaro pubblico e creazioni di odiose clientele e atti di favoritismo per parenti e amici, in una logica di bieco utilitarismo, che veniva nascosto dietro l’ipocrita bandiera della umanità solidale e integrata, che però veniva sventolata solo per coprire i gravi illeciti compiuti, che emergono nella loro oggettiva e incontestabile manifestazione concreta».
«Nulla importa che l’ex sindaco di Riace sia stato trovato senza un euro in tasca», spiegano i giudici, «ove ci si fermasse a valutare questa condizione di mera apparenza, si rischierebbe di premiare la sua furbizia, travestita da falsa innocenza».