Il Circolo Ribalta torna a sorprenderci con la preparazione organizzativa della seconda edizione del REFF, acronimo di Ribalta Experimental Film Festival, che si terrà a fine marzo 2022 a Vignola, in provincia di Modena.
È comunque indiscutibile l’impronta ed il fascino di un’opera sperimentale vista ed analizzata già l’anno scorso ed in concorso alla prima edizione del REFF, mi riferisco a “Diogene 1976-1977” di Michele Sambin, considerato un maestro della scena sperimentale italiana e precursore della tecnica del video loop e innovatore del panorama artistico contemporaneo.
“Diogene” è quasi completamente muto poiché solo verso la fine si percepisce un lieve battito cardiaco. L’artista si identifica con il filosofo greco Diogene che si ritira a vita contemplativa dentro una botte, con una lanterna che avrebbe dovuto aiutarlo a far luce sui veri e propri uomini. Riportato al tempo dell’artista, la botte si trasforma in una FIAT 500 familiare bianca e la lanterna è la cinepresa, strumento di indagine che lo aiuta a fare luce sul mondo e su sé stesso, dal campo lungo al primo piano. Nella riedizione del 2016 alle immagini riprese e montate in 16mm, nel 1977 si aggiungono quelle realizzate ex novo dall’artista, ed è per questa ragione l’aggiunta al titolo “Diogene 1977-2016”.
Michele Sambin (Padova, 1951), già amico del compianto Paolo Gioli, uno dei maggiori registi italiani del ‘900, ha fatto suo il dialogo sull’arte della immagine nel cinema.
Il giovane ideatore ed organizzatore del Ribalta Experimental Film Festival, Giovanni Sabattini, nell’ambito della cerimonia di apertura della seconda edizione comunicherà i titoli dei 40 film scelti tra oltre cinquecento visionati e pervenuti da tutto il mondo, e comunicherà il nome del presidente di giuria e dei giurati, oltre al manifesto della seconda edizione, e il nome di alcuni importanti ospiti per alcune proiezioni speciali di marzo.
Giovanni Sabattini
Il consenso di critica, di pubblico ed amministrativo economico dei vari Comuni limitrofi a Vignola, ha decretato il successo dell’evento che nacque in sordina, a carico solo e unicamente del giovane fautore, Giovanni Sabatini, dandogli l’opportunità di proseguire con nuove edizioni il Ribalta Experimental Film Festival.
Questa seconda edizione appaga dello sforzo e dell’impegno culturale di Sabattini nell’obiettivo di rivalutazione del suo territorio.
L’onore di presentare un’opera del poliedrico Michele Sambin è l’espressione della sensibilità artistica e culturale dell’ideatore del Ribalta Experimental Film Festival che si esprime con le teorie espresse dallo stesso Sambin ovvero, è il desiderio, o meglio, il bisogno di costruire un linguaggio unitario immagine-suono che lo ha portato a utilizzare i diversi media, cinema, video, teatro.
Michele Sambin
Allargare i confini degli ambiti, metterli in contatto per creare un’arte totale che non privilegia un singolo mezzo ma li fa convivere democraticamente all’interno di un unico linguaggio, questa è stata la sua rivoluzione nell’arte. Il teatro, poi, attraverso la composizione sincronica dei vari elementi, tempo spazio corpo luce, gli ha dato la sintesi che cercava. Il suo teatro è un teatro che non racconta ma compone, come fa la musica, la sua grande passione. Ed il passaggio dal linguaggio video, lo strumento per comunicare idee più che finalizzato a esprimere bellezza, si è riversato sul teatro e, come evidenzia Michele Sambin, il video nei primi Anni Settanta era un mezzo povero rispetto al cinema, una specie di quaderno di appunti utile a fissare idee. “Poi ne ho progressivamente scoperto le specificità e l’ho utilizzato per la sua qualità fondamentale: il tempo reale. Nelle mie performance l’ho usato come strumento musicale della visione, come dispositivo capace di estendere le possibilità del performer, di giocare con il tempo. E così è nata l’idea di video loop, una affascinante macchina del tempo che si svela davanti agli occhi degli spettatori e così ho scoperto che lo scambio di energia tra esseri viventi era la cosa che più mi interessava. E passare al teatro è stato un attimo”.
Il video loop è un ciclo continuo di immagine o di un suono che viene riprodotto ripetutamente tramite l’utilizzo di specifici nastri, effetti audio, un campionatore o dei software appositi.
Michele Sambin, poliedrico artista
Sono questi i film di Michele Sambin che hanno rivoluzionato il concetto di immagine nel cinema influenzando lo stile e l’espressività delle opere moderne apportando alta qualità: Anamnesi, (1968, in Super8, colore, sonoro, 15’51’’), 1 e 2, (1969, Super8, col., sonoro, 8’54’’), Laguna, (1971, Super8, col., sonoro, 30’), Film a strisce (La petite mort) del 1976, 16mm, col., muto, 3’, Diogene 1977-2016, in 16mm e video digitale, col., sonoro, 5’32’’. Ci troviamo al cospetto di un grande maestro e filosofo dell’immagine.
Come racconta lo stesso Michele Sambin in più occasioni, l’uso della pellicola deriva dalla necessità che egli sente sin dall’inizio della propria produzione, di studiare e approfondire entrambe le sue vocazioni primarie: la pittura/visivo e la musica/sonoro. «Per non separare i due linguaggi decisi di dare un tempo alle immagini attraverso il movimento in modo che si potessero legare alla musica». Da qui l’utilizzo della pellicola che l’artista impiega molto precocemente nel suo percorso. Ha infatti solo diciassette anni quando realizza il suo primo film, Anamnesi (1968), nel quale già si notano i segni caratteristici che accompagneranno la ricerca successiva. Nell’opera, una vera e propria anamnesi della malattia del protagonista (l’artista) in cui vengono spiegate le ragioni del suo isolamento e il conflitto tra vita attiva e vita contemplativa, la relazione tra la colonna sonora e le sequenze narrative è fondamentale per interpretarne il senso. Questo è chiaro soprattutto nella seconda parte del film, quando ogni personaggio con il quale il protagonista dialoga è introdotto da un accompagnamento musicale specifico che ne identifica il contesto di appartenenza (contadini, giovani, operai, religiosi, conservatori) senza che sia necessaria una voce narrante. Sempre in Super8 Michele Sambin realizza “1 e 2” (1969) e “Laguna” (1971).
Frame di Laguna
Entrambi i film sono caratterizzati da una ricerca specifica sul rapporto tra immagine e suono: nel primo, strutturato su quattro sequenze principali, la contrapposizione tra immagini e suoni contribuisce a enfatizzare il tema centrale, ovvero le differenze tra borghesia e proletariato, tra i politici e i soldati mandati a rischiare la propria vita, tra chi uccide indirettamente dal proprio salotto di casa e chi invece lo fa direttamente sul campo. In “Laguna” (1971, altrimenti intitolato Sulla laguna), invece, la forte componente politica scompare e le sequenze sono apparentemente prive di un vero e proprio ordine narrativo. In questo modo è sottolineato più esplicitamente il ruolo sperimentale del film, un vero e proprio studio del suono e della sua relazione con l’immagine evidente sin dalla prima scena che, per il loop, ritorna più volte, in cui una giovane donna in primo piano muove le labbra ma dal labiale non escono parole, bensì i suoni di un clarinetto modificato.
Looking for listening
Nel 1972 Michele Sambin inizia a far parte della Cooperativa di Cinema Indipendente di Padova. In questo stesso periodo l’artista acquista una nuova cinepresa, non più Super8 ma 16mm, con la quale, grazie anche al contributo dell’Università Internazionale dell’Arte di Venezia e del Centro Cinematografico Scientifico Didattico di Padova, realizza “Blu d’acqua” (1972). Il film tratta ancora di relazioni: tra la città di Venezia e i suoi abitanti; tra le immagini e i suoni; e tra i colori e la loro valenza simbolica. Come nel film precedente, anche in questo la chiave di lettura è rappresentata da alcune sequenze ripetute consistenti nello sviluppo grafico di quattro quadri astratti i cui colori variano dal nero al bianco. Si passa quindi dall’assenza di colore, che rappresenta la staticità e la mancanza di relazioni, alla presenza di tutti i colori e, dunque, alle infinite possibilità relazionali. Quanto avviene tra i colori è ciò che Sambin auspica accada anche tra la città e suoi abitanti. Il tutto è enfatizzato dal crescendo del ritmo del montaggio, a dimostrazione di un uso attento e sperimentale del linguaggio cinematografico.
Il suono accompagna le sensazioni visive e in alcuni casi è sostituito dalla sonorizzazione eseguita dal gruppo Arke Sinth di cui facevano parte, oltre a Michele Sambin, il fratello Marco, Francesco Bergamo, Gianni de Poli e Alvise Vidolin.
A partire dal 1974 Sambin inizia ad usare il dispositivo video grazie al contatto con Paolo Cardazzo, direttore della galleria del Cavallino di Venezia, ma fino al 1977 continua a realizzare alcuni film passando dal linguaggio documentale come in “Murales” (1974), a quello più tradizionale come “Scala F, Interno 19”, chiudendo con “Film a strisce” (1976) che è strutturato su un linguaggio visivo astratto realizzato attraverso l’uso di filtri neri forati, posti di fronte all’obiettivo della cinepresa in movimento e sonorizzato sempre dal vivo, e “Diogene 1976-1977” del quale abbiamo già scritto.
Giovanni Sabattini ci ricorda che sempre nell’economia del Festival, nel primo pomeriggio Michele Sambin terrà una lezione agli studenti del Liceo Allegretti di Vignola per presentare, attraverso le sue opere, la sua visione del cinema di ricerca. La lezione rientra in un ciclo di incontri di avvicinamento al cinema sperimentale iniziato venerdì 21 gennaio con la lezione di Luigi Locatelli, critico, blogger milanese, autore di Nuovo Cinema Locatelli, proseguito l’11 febbraio con l’avvio di un laboratorio sul cinema d’animazione a cura dell’associazione OTTOmani finalizzato alla produzione di un breve corto animato da presentare a marzo al Festival e culminante nella visione dei 10 film della sezione LIMINA, sezione competitiva del Festival, e l’assegnazione, da parte degli studenti, dei conseguenti premi, sotto la guida di Gianluigi Lanza direttore artistico del Nonantola Film Festival.
Michele Sambin, artista poliedrico è regista, musicista e pittore, protagonista della scena sperimentale italiana fin dai primi anni 70, da anni conduce una ricerca personale sul rapporto tra immagine e suono, indirizzando il proprio interesse all’incrocio tra varie arti: cinema, musica, video e pittura. In seguito utilizzerà il teatro come luogo di sintesi. Varie le sue partecipazioni. In Concorso, alla prima edizione del REFF; la mostra “La sonorità dell’immagine”, a cura di Riccardo Caldura, all’ARCA (Trieste); la partecipazione alla 34esima edizione di Istant Vidéo (Marsiglia) a cura di Marc Mercier; la grande personale “Michele Sambin: Archè/Téchne”, a cura di Bruno Di Marino, presso il Museo Castromediano di Lecce.
E come ricorda Michele Sambin: è vincente la tecnologia fatta a mano: mezzi semplici, programmi basici sviscerati nelle loro possibilità estreme, mentre le idee si concretizzano in azioni visibili.
Giuseppe Lorin