Oggi tra le pagine di PaeseRoma abbiamo il piacere di ospitare Andrea Mazo, Funzionario del Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che con il suo operato, spesso contribuisce al coordinamento delle attività in contesti emergenziali di protezione civile nazionali ed internazionali.
Di recente Andrea ha operato nell’ambito della “Crisi Ucraina” in due differenti missioni: quella Moldava e quella Slovacca.
Per la prima, si è recato via terra, in Moldavia, con al seguito un convoglio di 18 mezzi, 11 TIR e 18 camion, delle Province Autonome di Trento e di Bolzano, che hanno trasportato un campo di accoglienza in grado di accogliere 500 persone, donato dall’Italia al Governo Moldavo nell’ambito del meccanismo europeo di protezione civile.
Con la seconda, insieme ad un team di lavoro e di volontari, ha raggiunto la Slovacchia per monitorare i flussi di rifugiati che hanno attraversato la frontiera Ucraino-Slovacca al fine di predisporre il sistema italiano all’accoglienza.
L’intervista, per Andrea Mazo, è stata anche l’occasione per ribadire: «Il sistema di protezione civile è un mondo costituito da molteplici realtà la cui collaborazione sinergica si basa sulla motivazione, sulla professionalità e sul rispetto dei ruoli reciproci».
Alla luce degli accadimenti recenti quali sono oggi le sue riflessioni sul grande problema della guerra Russia-Ucraina?
«La guerra in Europa è un evento che pensavamo di non dover più vedere. Ritenevamo che gli atroci accadimenti del XX secolo fossero stati una lezione per l’intera umanità ed invece assistiamo ad avvenimenti molto tristi che minano la serenità di tutti noi. Mi auguro, come tutti, che al più presto possa tornare la pace».
Secondo lei quali strumenti si hanno oggi a disposizione per stimolare una cultura della solidarietà?
«Credo che la solidarietà sia per molti una caratteristica innata, insita nella natura umana. Ed infatti, anche in questa circostanza, le iniziative da parte di singoli cittadini, associazioni e istituzioni non hanno tardato a manifestarsi. Tuttavia, credo che anche una corretta informazione sia indispensabile per stimolare la solidarietà: viviamo in un mondo dove siamo continuamente bersagliati dalle informazioni di diversa natura e ciò costituisce un elemento di disturbo, rispetto alla percezione della realtà e di conseguenza all’orientamento delle coscienze. Tra l’altro segnalo al riguardo, che proprio in tema di solidarietà, recentemente il dipartimento della protezione civile ha attivato la piattaforma digitale #offroaiuto, per offrire beni, servizi e ospitalità, alla popolazione ucraina».
Cosa si prova quando si viene chiamati a coordinare una missione?
«Le sensazioni sono molteplici e intense, ma spesso soccombono per l’esigenza di avere un approccio razionale finalizzato ad attuare, in tempi limitati, le azioni propedeutiche alla missione. E’ come se si entrasse in un vortice in cui la cognizione del tempo si dissolve. La mente è assorta dalle molteplici cose da organizzare, anche perché ogni missione, ogni emergenza è diversa dall’altra. Ci si rende conto dell’impegno che è stato profuso solo al termine, quando la stanchezza prevale sull’adrenalina. Non da ultimo vi è la consapevolezza che si è inviati a svolgere delle attività per la comunità, per chi si trova in difficoltà e questo è un elemento di grande motivazione. Ovviamente, quando siamo chiamati a svolgere delle attività nei territori colpiti da eventi, non siamo soli, rappresentiamo infatti una proiezione del Dipartimento, con il quale siamo costantemente in contatto per condividere le informazioni e acquisire direttive».
È facile instaurare un rapporto di fiducia con le persone, mettendosi al servizio della gente, o la vulnerabilità prende il sopravvento a volte?
«Il nostro rapporto si esplica prevalentemente con soggetti istituzionali e del sistema nazionale di protezione civile. Solo sporadicamente avvengono interlocuzioni dirette con la popolazione. In tutti i casi, per instaurare un rapporto di fiducia è necessario che da subito vengano fornite risposte efficaci alle esigenze contingenti ed in questo il Dipartimento e gli attori del servizio nazionale di protezione civile si prodigano sempre con il massimo impegno. Parallelamente, è necessario entrare in empatia con le persone colpite dall’evento, sforzandosi quando necessario di comprendere la loro prospettiva. Solo in questo modo si può instaurare un rapporto di fiducia indispensabile ad una collaborazione trasparente e costruttiva. Inoltre in questo modo spesso si creano legami umani che persistono nel tempo. In altre parole, è come se la conoscenza reciproca avvenisse in modalità accelerata. D’altronde durante alcune emergenze accade di condividere spazi ed eventi 24 ore su 24 anche per settimane. Non a caso, durante i corsi di formazione alle emergenze realizzati nell’ambito dell’Unione Europea, ci viene espressamente consigliato di ottimizzare i tempi dei trasferimenti iniziali per acquisire informazioni sulla realtà culturale del Paese in cui si opererà. Uno degli errori che si può commettere è proprio quello di approcciarsi in modo errato o attendersi risposte conformi al nostro modus operandi o alla nostra cultura. Lo stesso sforzo, con le dovute proporzioni, credo vada fatto anche quando si opera nelle diverse aree del nostro Paese, anche in ragione delle differenti realtà amministrative».
Quali sono gli aspetti su cui un Funzionario deve focalizzarsi per riuscire a svolgere bene il proprio lavoro?
«Tutte le attività che svolgiamo in missione vengono continuamente definite in stretto coordinamento da un lato con il Dipartimento, dall’altro con le autorità delle zone colpite. Gli aspetti da tenere in considerazione sono molteplici: occorre da subito inquadrare il contesto, da un punto di vista istituzionale e non, individuando gli interlocutori e rispettandone i ruoli. Soprattutto nei contesti internazionali è fondamentale avere un quadro chiaro delle funzioni e dei ruoli, in quanto gli attori possono essere svariati, come le istituzioni del Paese ospitante, il meccanismo di protezione civile europeo, i diversi uffici delle Nazioni Unite (WHO, UNHCR, WFP), le rappresentanze diplomatiche, le ONG. Ovviamente anche in questi contesti vi sono delle modalità di operare predefinite, testate durante le attività esercitative e messe in atto nelle pregresse emergenze internazionali».
L’esperienza del Dipartimento della Protezione Civile, attraverso i suoi tanti viaggi nel mondo, cosa le ha insegnato da un punto di vista umano?
«Mi ha insegnato che il rispetto, in senso lato, è la chiave per instaurare qualsiasi tipo di collaborazione fruttuosa. Rispetto delle persone, della loro cultura, della loro realtà, delle loro scelte, della loro sofferenza. Mi ha anche insegnato a vedere le cose ed il mondo da altre prospettive, anche il nostro Paese».
Di Patrizia Faiello