- Negli ultimi cinquanta anni, grazie ai profondi mutamenti avvenuti nella società civile italiana, l’istinto paterno degli uomini si è tradotto sempre più nel desiderio di partecipare attivamente, al pari delle donne, nei compiti di cura dei figli. Tuttavia, questo rinnovato spirito di condivisione di alcuni aspetti della famiglia, tradizionalmente riservati alle donne, si è presto scontrato con i forti interessi di quanti, su tale assetto “matriarcale” della famiglia, ci hanno fondato potere e solide opportunità economiche.
Dalla magistratura all’avvocatura, dalla politica fino ad alcuni settori dell’industria dei grandi consumi, l’organizzazione della famiglia addossata alle donne determina modalità di consumo consolidate da un paio di secoli, da cui si generano sacche di potere e un fiume di denaro inarrestabile. Per questi motivi, neanche il varo della legge 54/2006 (c.d. Affido Condiviso) ha consentito ai padri di essere parte attiva nella crescita dei figli. Quella legge, approvata con vistose modifiche rispetto alle bozze dei lavori parlamentari e resa quasi inoffensiva dagli “emissari politici” delle parti avverse (magistratura, in primis, ma non solo), semplicemente non doveva funzionare, e così è stato.
L’arroganza con la quale i magistrati di merito – che secondo la Costituzione “sono soggetti solo alla legge” – hanno boicottato, da Aosta a Trapani, l’affido condiviso, è stata talmente spregiudicata da creare una norma inesistente, quella del domicilio prevalente, sulla quale nel 2013 la stessa magistratura ha dovuto urgentemente “mettere una pezza” con la complicità della famigerata Commissione Bianca (presieduta da un avvocato, il defunto Cesare Bianca, relatrice il giudice Velletti), che con un chiarissimo eccesso di delega legislativa ha “sanato” la previsione del domicilio prevalente, oggi chiamato “residenza abituale”, sulla quale si erano indirizzati tutti i ricorsi di migliaia di papà discriminati nei tribunali.
Oggi, questi papà sono ancora regolarmente discriminati (tranne rarissimi casi) nei tribunali di tutta Italia, ma il c.d. Decreto Filiazione partorito senza alcun dolore dalla Commissione Bianca fa sì che ciò avvenga in forza di una norma.
Simone Saia è un papà separato che fa parte delle nuove generazioni di papà, tutti attivamente interessati e coinvolti nella crescita dei figli, ed è una vittima di questo contesto subculturale, dove alle mamme è concesso fare tutto, persino rapire i figli e portarli con sé a migliaia di chilometri di distanza dal padre, salvo intervenire successivamente con gravissimo ritardo. Nel caso della figlia di Simone Saia, poi, la madre ha fatto carta straccia delle leggi italiane (già deboli di per sé) e ha fatto della bambina una sua proprietà esclusiva, potendo contare sulla giustizia italiana e sulla sua proverbiale mancanza di prontezza quando c’è da tutelare un connazionale (soprattutto se non appartiene al genere politicamente corretto).
Facciamo un passo indietro, Simone ha avuto una relazione lunga tre anni con una donna di origini russe, da cui è nata una meravigliosa bambina. E’ un padre attento e presente, cambia pannolini, dà il biberon, fa le nottate, e vede crescere sua figlia con grande felicità, fino a quando la madre lo lascia e, senza nemmeno una parola, fugge via con la bambina, approfittando degli orari di lavoro del compagno, il 30 luglio 2021. Simone, in preda ad autentica disperazione, denuncia la scomparsa e viene a sapere che sua figlia è in Russia, nonostante la sua ex, subito dopo la fuga, “parcheggi” la figlia dalla nonna materna e rientri in Italia, dove svolge l’attività di ragazza immagine nei locali della movida.
Pertanto, la bambina è in Russia e i suoi genitori in Italia, e chi ha sottratto la figlia per scopi tutt’altro che disinteressati è libera di circolare nel nostro Paese. Simone è disposto a qualunque accordo, purché possa riabbracciare la sua bambina, ma l’unica vera possibilità che ha di rivederla è in mano a quella stessa giustizia che nega regolarmente ai papà, in Italia, il vero affido condiviso. La sua vicenda è stata affidata da Simone alle mani dell’avvocato Laura Sorgentoni, che si è rivolta direttamente al ministero di Grazia e Giustizia, più precisamente al Dipartimento per la giustizia minorile, dove è stata depositata una istanza di restituzione “ai sensi della convenzione de l’Aja del 25 Ottobre 1980”. “Chiedo solo di riabbracciare mia figlia, non voglio per forza portarla via dalla Russia, ma vorrei un accordo per un affido condiviso, in modo che lei possa crescere con entrambi i suoi genitori”, afferma Simone, ma al momento nessuna risposta dalle autorità russe, e gli scenari di guerra certo non facilitano i contatti e la necessaria collaborazione.
Papà Simone non si da per vinto, partecipa allo sciopero della fame sulle sottrazioni indetto dall’associazione LUVV (Lega uomini vittime di violenza) e giovedì 19 Maggio 2022 ha pedalato da Montemarciano, percorrendo oltre 157 km in bicicletta fino a Silvi Marina, davanti la domiciliazione italiana della mamma della figlia Victoria Saia. Ma le iniziative di Simone non finiranno qui. Mercoledì 25 Maggio 2022, con il lettino ormai vuoto di Victoria, da Montemarciano si dirigerà al tribunale di Ancona, per protestare pacificamente sul silenzio delle istituzioni interessate riguardo la sottrazione internazionale della figlia.
L’italia non è un paese per i papà, sembra suggerire questa storia. In realtà, L’italia è un paese ingiusto, che necessita di profondi cambiamenti nella sua classe dirigente, sempre in ritardo nel tutelare gli interessi dei suoi cittadini.
L’italia è un “colabrodo” dei diritti umani della famiglia: un triste primato che solo i cittadini come Simone saranno in grado di cambiare.