Boris Pahor, muore nella sua casa di Trieste a 108 anni, conosciuto come intellettuale scomodo per il suo punto di vista prendendo posizione a difesa delle identità nazionali e culturali. Lo scrittore sloveno con cittadinanza italiana, fu testimone dei crimini fascisti e voce della minoranza linguistica perseguitata durante la seconda guerra mondiale. Nel 1944 vive il periodo più tragico della sua vita, tramite la reclusione in diversi lager in Germania e Francia.
La vita di Pahor è legata prettamente ad eventi storici della sua terra di origine, all’epoca della dominazione dall’impero asburgico al fascismo e all’esperienza della comunità slovena fra la prima e la seconda guerra mondiale, e nel secondo dopoguerra che ha messo come punto di riferimento nei suoi libri. Le sue opere sono state tradotte in francese, ungherese, tedesco, inglese, serbo-croato, italiano, spagnolo, finlandese e catalano.
Pahor ha scritto circa trenta libri e fra i tanti quello che vogliamo ricordare è: Necropoli. Un libro autobiografico, nel quale l’autore racconta la sua esperienza, la sua fedele testimonianza, del mondo crematorio al fine di non far perdere la memoria e l storia non rimanga solo un periodo passato. In questa opera Pahor, affronta il tema della colpa sentita come tale dal sopravvissuto, che in questo caso rivive l’emozione di quei luoghi durante la visita al Lager di Natzweiler-Struthof. Necropoli è un ritratto a tutto tondo e nel contempo un riassunto di quello che può essere la vita nei Lager. Di questo libro, Le Monde scrive «Un libro sconvolgente, la visita a un campo della morte e il riaffiorare di immagini intollerabili descritte con una precisione allucinata e una eccezionale finezza di analisi» mentre lo scrittore, Claudio Magris, afferma «Necropoli è un ritratto a pieno campo e allo stesso tempo stringato, mai patetico, della vita nel Lager. Un possente afflato umano coesiste con una nitida e fredda precisione, in una perfetta struttura narrativa che interseca il racconto del passato, della prigionia, rivissuta nel perenne presente dell’orrore e il resoconto del presente. Necropoli è un’opera magistrale, anche per la sua limpida sapienza strutturale, per l’intrecciarsi di tempi, verbali ed esistenziali, che intessono il racconto».
Per la drammaticità della sua opera è stato paragonato ad autori come Primo Levi, Robert Antelme e Imre Kertész e fu più volte al premio Nobel e ricevette i titoli di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana e quello sloveno dell’Ordine per meriti eccezionali.
Il Ministro della Cultura, Dario Franceschini, appresa la notizia ha commentato «Con Boris Pahor perdiamo un grande scrittore, un gigante del Novecento che ha saputo raccontare, con maestria, lucidità e senza sconti, l’orrore dei lager e della deportazione e condannare ogni forma di totalitarismo. Mi stringo al dolore dei familiari e dei tanti amici che oggi perdono un punto di riferimento».
Agostino Fraccascia