Nel silenzio delle istituzioni, si consuma l’ennesima tragedia della filiera agroalimentare
Yusupha Joof è morto qualche giorno fa a Torretta Antonacci, nelle campagne del foggiano, arso vivo tra le fiamme di un incendio che ha inghiottito lui e la sua casa, se casa può essere chiamata una baracca “tirata su” con quattro lamiere di metallo alla buona. Originario della Gambia, Yusupha Joof, aveva solo 35 anni e se ne è andato così come ha vissuto: nel silenzio generale in cui sono confinati a vivere tutti i migranti irregolari, che vivono come fantasmi nel nostro paese. Nel ghetto di Rignano vivono ben 1.500 persone, senza luce, acqua, o servizi igienici di alcun tipo. Secondo le stime sono 500.000 i braccianti irregolari: per lo Stato non esistono, non hanno nome né documenti, lasciati in balia delle mafie del caporalato, sono loro le nuove “anime morte”. È nel foggiano dove si registrano i casi più alti dello sfruttamento dei migranti irregolari come braccianti agricoli, ma ciò che succede a Borgo Mezzanone e nel nord della Puglia succede in tutta Italia. Dalla Lombardia al Veneto, in particolare nei distretti tra Mantova e Brescia, passando Lazio e Toscana, rispettivamente nelle province di Latina e di Prato, fino ad arrivare in Puglia, Calabria e Sicilia. I distretti agricoli in cui si pratica il caporalato sono 80. Di questi, in 33 sono state riscontrate condizioni di lavoro “indecenti” e in 22 “di grave sfruttamento”, come riportato dall’Osservatorio Fieragricola.
Uomini e donne costretti a vivere come topi, in ghetti fatiscenti, formati da baracche di fortuna, a pochi metri dai comfort delle nostre case. Senza alcuna tutela o garanzia, i braccianti lavorano per una paga che nei migliori dei casi oscilla tra i 20 e i 35 euro al giorno, generalmente non vengono pagati più di tre euro l’ora. I turni di lavoro sono massacranti, fino a dodici ore sotto il sole cocente di un’estate che si fa ogni giorno più torrida. Sono fonte di reddito per i loro padroni anche quando non lavorano, in quanto i beni di prima necessità di cui hanno bisogno sono quasi sempre da loro acquistati presso gli alimentari improvvisati di proprietà dei loro stessi datori di lavoro. È una violenza silenziosa quella che si consuma nelle nostre campagne, che la politica continua a ignorare, ma che si ripresenta ogni giorno sotto i nostri occhi: prima tra i banchi del supermercato e poi sulle nostre tavole. Buona parte della nostra filiera alimentare si basa infatti sullo sfruttamento dei migranti, i prezzi modici dei pomodori o di altra frutta e verdura, sono pagati sulla pelle dei lavoratori. Secondo le stime realizzate dall’Osservatorio Placido Rizzotto, che conduce analisi sui rapporti tra filiera agroalimentare e criminalità organizzata, si assesta a 180mila il numero di vittime di caporalato nel biennio 2018-2019, mentre nel 2017 si aggirava tra i 140mila e i 150mila. Dati destinati a crescere se le istituzioni non risponderanno prontamente con un’adeguata politica di tutela del lavoro e permessi di soggiorno.
Aboubakar Soumahoro e la denuncia di Lega Braccianti
Il sindacalista Aboubakar Soumahoro, leader e fondatore dal 2018 della Lega Braccianti, il sindacato in difesa dei diritti dei braccianti, in un video Instagram è stato il primo a denunciare la tragica morte di Yusupha. In piedi davanti alle ceneri della baracca del ragazzo, Aboubakar lancia un grido di rabbia e di protesta: “Yusupha qui viveva, e le fiamme hanno divorato la sua vita sta notte. I nostri appelli, il nostro grido di dolore, le nostre sofferenze si scontrano con il muro dell’indifferenza di certe articolazioni dello Stato, di certe articolazioni della politica. Con i familiari, con gli amici stiamo piangendo un altro invisibile, un altro dannato della filiera alimentare. Chiediamo giustizia per lui, ma giustizia nel senso di una politica capace di prevenire queste tragedie, capace di non stare a versare lacrime di coccodrillo. Tanti discorsi, tanti discorsi, ma la miseria e lo sfruttamento dei braccianti vanno avanti. Chiamati a salvare la verdura e la frutta nelle campagne, privi di permesso di soggiorno, chiamati a spaccarsi la schiena nelle campagne e senza residenza, chiamati a spaccarsi la schiena nelle campagne senza un salario dignitoso, chiamati a spaccarsi la schiena nelle campagne e sempre si scontrano con il muro dell’indifferenza dell’assistenzialismo imprenditoriale. Noi non ci arrenderemo mai”. E così la sua lotta continua, e a distanza di una settimana dalla tragica scomparsa di Yusupha, Aboubakar Soumahoro è salito a Roma per incatenarsi ai cancelli di Montecitorio e cominciare lo sciopero della fame e della sete ad oltranza, in un video pubblicato sui suoi canali social il sindacalista spiega che non si fermerà fino a che il Governo non approverà l’introduzione del salario minimo legale, l’adozione del Piano Nazionale contro gli infortuni sul lavoro e la riforma della filiera agricola con l’introduzione della Patente del Cibo e il rilascio di un permesso a tutti gli invisibili. “Il Governo avrà sulla propria coscienza la mia vita, come ha sulla propria coscienza, sul piano morale, la vita dei lavoratori e delle lavoratrici morti sul lavoro o carbonizzati tra le lamiere”. Chiosa Soumahoro inaugurando la sua protesta pacifica.
Aurora Mocci