A Roma si contano circa centomila manifestanti. Associazionismo laico e cattolico, Acli e Arci, i sindacati, la Rete per il Disarmo. Ci sono quelli del Pd, del M5s e l’Alleanza Verdi Sinistra Italia. Valanghe di bandiere arcobaleno. Chiedono la fine delle ostilità. Non ricordano quelle che quaranta anni fa chiedevano lo smantellamento dei missili Pershing e Cruise voluti dalla Nato e puntati verso l’Unione Sovietica. Eppure le bandiere erano le stesse, quelle dell’arcobaleno.
I pacifisti scesi in piazza nel pomeriggio del 5 novembre, partiti da piazza Esedra per arrivare a piazza San Giovanni, costituivano un parterre meno ideologizzato di quello dei loro predecessori di quaranta anni fa. Tanti volti erano alla seconda chance da dare alla pace. Ci riprovavano. Ma oggi con parole forza meno incisive. Chiaro che l’unico contenuto che si possa dare all’universalismo pacifista, l’unico vero senso a un valore universalistico, consiste in richieste chiare e nette.
E allora: no all’invio di armi, no alle sanzioni, sì all’avvio delle trattative per chiedere l’immediata sospensione delle ostilità per dare modo ai contendenti di discutere le soluzioni affinché la tregua armata diventi condizione di reciproco riconoscimento.
Parole che sono state dette, sì, ma a fatica. Troppa ricerca di unanimismo. Troppo sospetta la convocazione di un corteo di questo tipo con un governo appena insediato. Eppure la guerra è attiva da otto mesi.
L’apertura dello striscione Europe for Peace sorretto dai giovani della Comunità di Sant’Egidio vuole dare una configurazione extra politica all’iniziativa di protesta. Il taglio solo umanitaristico è il contenuto insistito dalle rappresentanze istituzionali: sindaci, gonfaloni, presidenti regioni. Terme di Diocleziano, via Cavour, piazza Esquilino, via Merulana per poi arrivare, dopo avere attraversato via Manzoni, in piazza di Porta di San Giovanni. Un classico.
È l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte a dare contenuto sostanziale alle acclamate bandiere arcobaleno. “il nuovo invio di armi deve essere deciso dopo la discussione in Parlamento”. Nessuna fuga in avanti da parte del Ministero della Difesa.
Sul nuovo decreto per l’invio delle armi all’Ucraina parla anche il segretario del PD, Enrico Letta: “quando il governo presenterà una proposta la vaglieremo. Abbiamo sempre detto che lavoreremo in continuità con quello chi si è fatto e in linea con le alleanze europee e internazionali di cui facciamo parte”. Ma non spiega come imporre delle decisioni per far cessare il fuoco. “pace vuol dire la fine dell’invasione russa. Questo è il punto centrale, la fine dell’invasione della Russia”.
Nell’imperversare di motu proprio non poteva mancare anche la voce cardinalizia che si esprime a nome del Santo Padre. Il cardinale della Cei, Matteo Zuppi: “Papa Francesco con grande insistenza ha chiesto di fermare la guerra, noi chiediamo al presidente della federazione russa di fermare, anche per amore del suo popolo, questa spirale di violenza. E chiediamo al presidente dell’Ucraina che sia aperto a serie proposte di pace”.
Ma nel frattempo a Milano ci sono i pacifisti più pacifisti di Roma. Qui ovviamente è assai più modesto è il numero dei partecipanti. Voluta dal leader del cosiddetto Terzo Polo Carlo Calenda, questa altra manifestazione dice che il percorso per far cessare le ostilità non può essere solo umanitaristico ed equidistante. No alla pace se deve significare sostanzialmente la resa dell’Ucraina, dicono in sostanza.