Al pari dei maestri del cinema mondiale, Michele Placido, regista del suggestivo film L’OMBRA DI CARAVAGGIO, firma il proprio film con la sua presenza nella pellicola, interpretando il cardinal Francesco Maria del Monte, mecenate e collezionista d’arte ovvero, il Monsignore che si rivelò uno dei peggiori cardinali che la Chiesa abbia mai avuto: a 23 anni, Del Monte, è coinvolto in una catena di orge, stupri, violenze, prestiti a strozzo e perfino in omicidi.
Michele Placido è il cardinal Del Monte
Papa Paolo IV Carafa gli toglie la porpora e lo rinchiude nella prigione di Castel sant’Angelo, ma sempre con punizioni molto blande.
Il cardinale morì il 27 agosto del 1627 e venne dapprima sepolto nella chiesa di Sant’Urbano di Roma poi, il corpo venne traslato in San Pietro in Montorio e sepolto insieme al suo “protetto” cardinale in pectore mons. Innocenzo, si trovano così sepolti insieme nella Cappella De Monte, al Gianicolo; cappella di destra, in fondo, guardando l’altare maggiore. Altri grandi mecenati di Michelangelo Merisi appartengono alla nobile famiglia Cesi, la cui cappella si trova in Santa Maria del popolo.
Cappella Cesi a Santa Maria del popolo
Camminare per le strade di Roma nel 1592 non era certo un bell’ammirare le magnificenze della città eterna, quanto sentire le voci del popolo che rimandavano ai fatti: “quest’anno si son viste più teste in ponte che meloni in piazza”.
Clemente VIII Aldobrandini
Il popolo era deluso dal comportamento di Ippolito Aldobrandini ovvero, Clemente VIII, e pensare che Giordano Bruno lo aveva definito “un galant’homo perché favorisce li filosofi e posso ancor io sperar d’esser favorito”.
Il 23 maggio venne denunciato, per eresia dal collaboratore di papa Paolo V Borghese (Roma, 17 settembre 1552 – Roma, 28 gennaio 1621), che aveva incaricato il Nobil Homo Giovanni Mocenigo, dell’Inquisizione di Venezia, di indagare sui facti et misfacti de Caravaggio. Il filosofo di Nola non immaginava che quel “galant’homo” del Papa, otto anni più tardi, lo avrebbe fatto bruciare vivo in Campo de’ Fiori il 17 febbraio 1600, con la lingua “in giova”, una mordacchia a impedirgli la parola.
Gianfranco Gallo è Giordano Bruno
Nel film diretto da Michele Placido è sorprendente ed emozionante la superba interpretazione di Gianfranco Gallo.
Louis Garrel è l’ombra inquisitoria di Caravaggio
La denuncia del nobile veneziano Mocenigo, indagatore, l’inquisitore, interpretato elegantemente da Louis Garrel, che nel film è la vera ombra persecutoria del tempo ed in particolar modo di Michele Angelo Merisi, interpretato magistralmente da Riccardo Scamarcio che si merita almeno un David di Donatello, costituì la leva mortale di tutta la vicenda processuale di Giordano Bruno ed in seguito di Michele Angelo Merisi, in quanto comprendeva già molti dei capi di accusa che saranno poi elencati nella sentenza conclusiva di condanna, come la negazione del dogma della presenza nell’Eucarestia del corpo e del sangue di Cristo, della verginità di Maria e della Trinità, la credenza nella trasmigrazione delle anime, la pratica della magia, l’uso di prostitute come modelle di sante o la ricerca di malfattori o diseredati per imprimerli nelle tele come vittime o santi.
Riccardo Scamarcio è Caravaggio
Erano queste le regole dettate dal Concilio di Trento che tracciava le coordinate esatte nella rappresentazione dell’arte sacra.
Alessandro Haber è il modello per il supplizio di San Pietro
Si plaude alla veritiera interpretazione di Alessandro Haber nel martirio di San Pietro, a testa in giù e dopo nell’indicazione che dà al visitatore chiedendo una monetina. A questa prima lettera il nobile veneziano ne farà seguire altre due, in cui si aggiungevano a carico di Giordano Bruno altre pesanti accuse, come quella di aver soggiornato in paesi di eretici “vivendo alla loro guisa” non da meno le accuse di frequentazioni della nobiltà romana come Costanza dei principi Colonna Sforza e di Paliano, interpretata da Isabelle Huppert con la grazia e la devozione di una nobile del XVII secolo.
Isabelle Huppert è Costanza Colonna Sforza a Paliano
Anche Michele Angelo, o Michelangelo Merisi, arrivato a Roma da Caravaggio nel 1592, in concomitanza con la nuova elezione al soglio pontificio di Clemente VIII, non pensava o meglio neanche immaginava di che tipo fosse il nuovo pontefice. Roma osservava in quell’anno due persone in contrasto e distanti tra loro.
Riccardo Scamarcio è Michele Angelo Merisi
Da una parte il giovanotto talentuoso e vivacemente scapestrato, il Caravaggio artista che tra Bergamo e Milano, tra le opere di Lorenzo Lotto o Giovan Battista Moroni aveva formato lo sguardo all’arte semplice, una pittura che fosse fedele alla realtà. Dall’altra parte è Clemente, e mai nome fu più lontano dalla realtà delle cose. In effetti non era un personaggio molto raccomandabile, Ippolito Aldobrandini; nato a Fano nel 1536, affrontò l’elezione con piglio moralizzatore: vietò i festeggiamenti del Carnevale che sarebbero stati troppo esosi per le casse dello Stato così come alcuni rari politici adducono a scusa per non affrontare impegni di rappresentanza nazionale come, ad esempio, le Olimpiadi impedite dalla passata giunta capitolina.
Non sarebbe stato certamente il Carnevale ad indebolire il “tesoro” quanto il pagamento degli stipendi della fitta rete di “spie” per combattere le “eresie”, che avrebbero indebolito le casse della Chiesa. Comunque il nuovo Papa proibì ai giovani di girare in gruppo di notte per il borgo, di giocare a carte, a dadi, di giocare a pallacorda, di girare con pugnali od altre armi, intimò alle donne di restarsene in casa dopo l’Ave Maria, di avere comportamenti casti; insomma, delineò un modello di vita che era tutto il contrario di quello nel quale si muoveva il giovane baldanzoso Michele Angelo Merisi, che amava le notti a Campo Marzio, gli amori con le puttane e i loro servitori, le notti a bighellonare da un’alcova all’altra per le stalle e gli anfratti, le bettole, i giovani efebici, le armi, i giochi, le risse di una vita ai tempi della Controriforma. Il dissidio, temperato dalla protezione di uomini abbastanza ambigui come il cardinal Del Monte, era più profondo. Basti pensare alle nature morte del Caravaggio, alla Cena di Emmaus del 1602 e dell’omonima tela del 1606, una scoperta del reale che stride con la pittura orpellosa, la devozione ipocrita, che già dagli anni di Clemente VIII, nato Ippolito Aldobrandini, vede continuare la sua politica con Sisto V, facendo di Roma una città manieristica e bigotta, come diceva Roberto Longhi, storico dell’arte, deceduto il 3 giugno 1970. Ma già quattro secoli prima con Papa Pio V, al secolo Antonio Michele Ghislieri, il grande inquisitore, salito al soglio pontificio il 7 gennaio 1566 e deceduto il 1° maggio 1572 e dopo poco fatto santo; l’Inquisizione ed il bigottismo erano i punti di forza della religione, così come si sono mantenuti fino ad una quarantina di anni fa. Intransigente tanto nel governo dello Stato Pontificio quanto nella politica estera, fondò la sua azione sulla difesa del Cattolicesimo dall’eresia e sull’ampliamento dei diritti giurisdizionali della Chiesa; nel tentativo di favorire l’ascesa al trono inglese della cattolica Maria Stuart, scomunicò Elisabetta I.
Per questi presupposti il giovane Merisi da Caravaggio sembrò un irregolare, se non proprio un eretico.
Riccardo Scamarcio è Michelangelo Merisi da Caravaggio
Gli agiografi del tempo raccontano di Clemente VIII che ogni notte, per tutto l’anno santo 1600, resta a pregare in ginocchio sulla tomba di Pietro. È lo stesso papa che nel 1599 fece decapitare Beatrice Cenci e manda l’inquisitore ad indagare nella bottega d’arte dei Gentileschi. È Lea Gavino ad interpretare la giovane Artemisia Gentileschi.
L’incomprensione verso Caravaggio percorre sottile tutto il suo papato: fino allo scandalo della Madonna dei pellegrini, quella vergine così reale, di fronte a una coppia di miserabili, sporchi e laceri, iniziata proprio mentre Clemente VIII, nel 1604, inaspriva l’attacco ai vagabondi, ai poveri, ai diseredati, per “ripulire” la città.
Micaela Ramazzotti è una interprete perfetta nel ruolo di Lena, Maddalena Antognietti, amante e modella di Caravaggio.
Maurizio Donadoni è Ranuccio
Poi arriverà l’assassinio di Ranuccio Tomassoni di Terni, interpretato spudoratamente da Maurizio Donadoni, per un chiarimento su una partita di calcio, la pallacorda, e la conseguente fuga di Caravaggio da Roma. Senza mai abiurare alla propria vita, all’arte semplice e vera che riproduce la realtà, la vita quotidiana, alla sua libertà d’azione e di pensiero. Lo ritroveremo che si imbarca alla volta di Malta; per il Gran Maestro Alof de Wignacourt, dipingerà il suo ritratto, quindi nel 1608 la Decollazione di san Giovanni Battista, il suo quadro più grande per dimensioni, conservato a Malta, nella Cattedrale di San Giovanni di La Valletta. Nella stessa chiesa si trova un’altra opera del pittore, il San Girolamo scrivente. Dopo un anno di noviziato, protetto ed assistito dagli alti vertici dei Cavalieri di Gerusalemme, di Rodi e di Malta, il 14 luglio 1608 fu investito della carica di “cavaliere di grazia”, rango inferiore rispetto ai “cavalieri di giustizia” di origine aristocratica. Anche qui ebbe dei problemi: fu arrestato per un duro litigio con un cavaliere del rango superiore ed anche perché si venne a sapere che su di lui pendeva una condanna a morte. Fu rinchiuso nel carcere di Sant’Angelo a La Valletta, il 6 ottobre: riuscì a evadere grazie all’aiuto di Filippo Colonna e a rifugiarsi in Sicilia, a Siracusa. Il 6 dicembre i cavalieri espulsero con disonore Michele Angelo Merisi dall’ordine: «Come membro fetido e putrido».
A Siracusa, Caravaggio fu ospite di Mario Minniti, l’amico conosciuto durante gli ultimi anni romani. Nella città siciliana s’interessò molto all’archeologia, studiandone i reperti ellenistici e romani: durante una visita assieme allo storico Vincenzo Mirabella coniò il nome “orecchio di Dionigi” per descrivere la “Grotta delle Latomie”. Durante questo soggiorno dipinse, per la Chiesa di Santa Lucia al Sepolcro, una pala d’altare raffigurante il Seppellimento di santa Lucia, la patrona della città siciliana, la cui ambientazione sembra proprio quella delle grotte da lui ammirate.
A Messina dipinse la Resurrezione di Lazzaro, tetra incompiuta e cimiteriale rappresentazione, la cui parte centrale è occupata dal corpo di Lazzaro spasmodicamente teso nel gesto del braccio verso la luce, e l’Adorazione dei pastori.
Il biografo Giovan Pietro Bellori, cita la Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi eseguita a Palermo per l’oratorio di san Lorenzo, ma recentemente ha preso consistenza l’ipotesi, suffragata anche da nuovi ritrovamenti documentari, secondo la quale essa fu dipinta nel 1600 a Roma, su richiesta del commerciante Fabio Nuti, e da lì spedita a Palermo. L’opera fu trafugata nel 1969 e mai più trovata. Le ipotesi di una sua distruzione sono state poi smentite.
Ritroviamo Michele Angelo al suo ritorno a Roma sulle coste laziali nel 1610 con la speranza di un salvacondotto rivelatosi falso. La sua ombra persecutoria continuerà a svolgere le attività di inchiesta e spionaggio dopo aver indagato sul pittore che, con la sua vita e con la sua arte, affascina ancora, sconvolge, sovverte le tecniche pittoriche dove la luce è in continuo contrasto con il buio più scuro. Un sacco di juta accoglierà il suo corpo gettato nelle acque mediterranee. Ma, nel suo pensiero, così come Giordano Bruno, che un paio di mesi prima del rogo aveva fatto sapere per l’ultima volta al papa Clemente VIII: “Non mi pento perché non ho nulla di cui dovrei pentirmi”.
Il 20 gennaio 1600 il papa Clemente VIII ordina la conclusione del processo a Giordano Bruno con sentenza di condanna. L’8 febbraio, alla presenza dei cardinali inquisitori e di altri testimoni, viene letta all’imputato la sentenza che lo dichiara «heretico impenitente, pertinace et ostinato». Dieci anni dopo viene ucciso Michelangelo Merisi detto Caravaggio.
Michele Placido con questo film ha richiamato la necessità assoluta di fare diretto riferimento non soltanto all’iconografia, ma anche al senso figurativo della grande tradizione della pittura italiana.
Complimenti Michele Placido per questa regia quasi viscontiana, è un film da premio Oscar!
Michele Placido e Federica Luna Vincenti
Sceneggiatura a cura di Sandro Petraglia, Fidel Signorile e Michele Placido.
Costumi di Carlo Poggioli.
Scenografie di Tonino Zera.
Direttore della fotografia Michele D’Attanasio.
Prodotto da Goldenart Production con Rai Cinema.
Distribuito da 01 Distribution.
Colonna sonora composta da ORAGRAVITY-Umberto Iervolino e Federica Luna Vincenti.
Edita da Edizioni Curci e Goldenart Production.
Giuseppe Lorin