Il 25 novembre in occasione della giornata simbolo (solo sulla carta), la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne” il Collettivo Donne In-curanti indicono un banchetto informativo dalle 10:00 alle 12:00 a Piazza del Monte a Reggio Emilia.
Banchetto informativo per sensibilizzare le Istituzioni su questo dramma, ed indicare alcune soluzioni al contrasto alla violenza sulle donne e soprattutto sui bambini che si vedono privati della loro mamma, strappati dalle loro braccia con metodi violenti, violando le normative vigenti.
“No alla giustizia riparativa sulla pelle di donne e bambini”
ll comunicato del Collettivo Donna In-Curanti.
“Denunciamo un generalizzato attacco alla libertà di bambine, ragazze e donne sostenuto dalla stragrande maggioranza delle rappresentanze politiche e che passando per i divieti all’aborto, alla regolamentazione della prostituzione come anche quella della pratica dell’utero in affitto, mirano all’obiettivo patriarcale di sempre: il controllo e lo sfruttamento dei corpi di donne e bambini. Denunciamo in particolare la pornografia, sempre più violenta e diffusa, e che è diventata l’educazione sessuale vincente e che danneggia e fa ammalare le nostre adolescenti costringendole a misurarsi con un modello deumanizzante e schiavista degno di un sistema che possiamo definire solo come “prostituente” a tutti i livelli ed ambiti. In questa atmosfera particolarmente violenta, che rinforza l’idea delle donne come oggetti al servizio della soddisfazione di desideri (e non diritti!) altrui, non stupisce che i dati relativi al contrasto di quest’ultima siano così negativi e i tentativi di arginarla inefficaci.
Analizziamo i motivi del sostanziale fallimento delle politiche dell’antiviolenza ed avanziamo le nostre richieste per un radicale cambio di passo.
Vogliamo intanto contrastare l’inutile e dannosa narrazione della violenza contro le donne che abilmente focalizza l’attenzione sugli aspetti vittimistici, mentre la violenza che più temono le donne e a ragion veduta è quella economica. Chiunque abbia cognizione della dinamica della violenza e maltrattamento domestico, sa bene che si tratta di una situazione dominata dalla continua tensione e minaccia e finalizzata al dominio psicologico delle vittime raggiunto efficacemente proprio attraverso l’isolamento sociale e la sottrazione di risorse economiche, cioè di autonomi materiale e psicologica. Soprattutto per le madri, che rappresentano il 67,7% delle vittime di violenza, la preoccupazione per come potranno sostenere i propri figli e le spese legali sono i principali ostacoli al prendere la decisione di interrompere la spirale di violenza nella quale sono imprigionate con i propri figli.
Un altro ostacolo alla denuncia connesso alla mancanza di risorse economiche e di protezioni sociali è rappresentato dal rischio di vedersi rinchiudere, come unica alternativa, insieme ai propri figli in “rifugi” dove perderanno ogni autonomia e libertà per un tempo che in media è piuttosto lungo (circa due anni) mentre il loro aguzzino è in genere libero di continuare ad agire e soprattutto impunito.
Non condividiamo una politica che prevede e finanzia l’incremento di interventi che mirano al recupero degli uomini maltrattanti che consideriamo dannoso sia perchè rinforza l’idea sbagliata che la violenza maschile sarebbe inconsapevole o frutto di una patologia curabile, e in secondo luogo storna preziose risorse dell’antiviolenza a favore di programmi già valutati come fallimentari da tutte le ricerche internazionali a nostra disposizione, ma anche dai bilanci dei Cam (Centri per uomini maltrattanti) che operano in Italia da diversi anni.
Il numero delle archiviazioni delle denunce per violenza domestica e sessuale (più del 50%) presentati dalle donne presso le questure come anche l’esito dei processi che invece vengono celebrati, dimostrano ampiamente come ancora oggi è molto difficile dimostrare e vedere punita adeguatamente la violenza contro le donne e ancora di più quella contro i bambini. Tutto ciò ha ovviamente a che vedere con il potere, cioè con la capacità sociale di far valere ed imporre il proprio punto di vista e valori; questi esiti dimostrano come il potere sia ancora saldamente ancorato alla visione maschile del rapporto tra i sessi.
La feroce violenza istituzionale, alla quale sono esposte le vittime dopo le loro denunce ne è la testimonianza materiale. Dall’approvazione della legge 54 del 2006 sull’affido condiviso, infatti, si è costituito un potente sistema di ridefinizione della violenza domestica riducendola a “conflittualità” e di una condanna delle vittime alla relazione obbligatoria con il loro aguzzino finalizzata a restaurare ad ogni costo i legami familiari in nome dell’astratto “maggiore interesse del minore”.
In questo contesto le madri che tentano di tutelare i propri figli da abusi e violenze sono definite “alienanti, non-collaborative, ecc.” alla stregua, cioè, di pericolose criminali e i loro figli usati dalle istituzioni come armi di minaccia e addirittura accessori di pena quando, non potendosi comporre la teorica “famiglia del Mulino Bianco” in percorsi persecutori che durano anni nei tribunali e presso i servizi che le danneggiano economicamente e moralmente, questi bambini saranno collocati con la forza e contro la loro volontà o presso i loro maltrattanti o in comunità. Anche nelle cosiddette separazioni consensuali questa legge ha comunque provocato un impoverimento e peggioramento delle condizioni di vita delle madri e dei bambini. Preoccupa ancora di più che questa mal-interpretata “parità”, che di fatto sta ripristinando con violenza il principio della Patria Potestà, sia oggetto di un progetto a livello europeo.
A questa situazione vergognosa, gravissima, non degna di un paese civile, hanno contribuito insieme, infatti, le potenti lobby dei padri separati e la politica paritaria che sempre più tende ad annullare le differenze tra i sessi e soprattutto negare le evidenti condizioni di svantaggio economico-sociale in cui si trovano le donne nel nostro paese ed ora rischia perfino di aggravarsi con la riforma Cartabia interamente ispirata al principio della cosiddetta “giustizia riparativa”, riportando questi gravissimi reati contro la persona nell’alveo di problemi di conflittualità e relazionali.
La violenza non è di genere, la violenza è maschile e contro le donne ed i bambini.
Le cifre e le statistiche sono purtroppo piuttosto eloquenti a riguardo. Il paese è bloccato nell’impossibilità di tirare fuori le donne dalla segregazione del non lavoro, dalla gratuità dei lavori di cura e dalla impunità della violenza come sistema coerente di ripristino dell’ordine maschile. Diciamo no all’attacco generale ai diritti ed alla libertà delle donne in Europa. Il contrasto alla violenza non può essere condotto con i pannicelli caldi dell’antiviolenza dei CAV, della giustizia riparativa e le narrazioni paritarie della politica italiana.
CHIEDIAMO
– L’abolizione della legge 54 del 2006 (primo comma dell’articolo 1);
– Leggi speciali nel quadro di un riconoscimento della violenza maschile contro bambini e donne come strutturale. Per esempio la cancellazione del patteggiamento cioè della riduzione di pena per i crimini contro i bambini e le donne; l’adeguamento delle pene che siano proporzionali alla gravità dei reati (come richiesto anche dal Grevio);
– che le Procure adottino la prospettiva dell’allontanamento e reclusione dei maltrattanti piuttosto che delle donne con i loro bambini;
– di destinare i fondi antiviolenza al sostegno legale e materiale delle vittime e di cura dei traumi da violenza piuttosto che in programmi inefficaci di recupero dei maltrattanti;
– che in ogni pronto soccorso sia presente un Soccorso Rosa;
– che nelle separazioni giudiziali sia vietata la consulenza tecnica d’ufficio;
– che sia istituito il sistema di rilevazione nazionale sulla violenza;
– un intervento giuridico che strutturi i CAV come enti pubblici a carico della fiscalità generale;
– che i CAV operino secondo obiettivi e procedure operative ordinati da una disciplina omogenea nazionale che individui i requisiti per: la distribuzione territoriale per bacino di utenza, i criteri di accesso, gli obiettivi, la dotazione organica quanti qualitativa, le procedure operative, il piano di intervento personalizzato e condiviso tra CAV e ciascuna donna, i sistemi di valutazione dell’attività.
Collettivo Donne In-Curanti”