Sono migliaia, ogni anno, le separazioni conflittuali che generano lunghi contenziosi per riconoscere ai figli il diritto a non subire interruzioni della relazione affettiva con i loro papà. I media li chiamano frettolosamente “figli contesi”, secondo un clichè del tutto fuori luogo, che non rappresenta affatto la realtà delle cose. Infatti, basterebbero poche norme più circostanziate, un buon deterrente penale per scoraggiare sia le false accuse che gli impedimenti dolosi alla frequentazione dei bambini, e giudici pronti a verificare il grado di applicazione delle proprie sentenze, per restituire ordine e disciplina ad una materia, quella delle separazioni con figli minori, lasciata al libero arbitrio del genitore “collocatario” dei figli.
Di tutta questa massa di vicende familiari che non rimbalzano agli onori della cronaca, una in particolare ha avuto una certa notorietà a livello nazionale, scatenando una vera e propria “guerra” di opinioni tra opposte fazioni di sostenitori. Ci riferiamo a quella ancora in corso tra Giuseppe Apadula e Laura Massaro, che vede coinvolto il loro unico figlio, di fatto privato da circa nove anni della figura paterna. Di loro si è scritto di tutto, soprattutto sui social, ma nessuno ha mai provato a fare veramente chiarezza sulla vicenda. Pertanto, abbiamo rivolto alcune domande al legale di Giuseppe Apadula, Mirella Zagaria, per cercare di comprendere come il suo assistito non riesca a vedere il figlio nonostante tutte le sentenze favorevoli.
Avvocato Zagaria, la vicenda di Giuseppe Apadula e di suo figlio sembra essere l’emblema di un sistema giuridico schizofrenico, che paradossalmente premia una madre riconosciuta colpevole di aver ostacolato l’applicazione delle sentenze, e punisce un papà considerato più che idoneo a svolgere il suo ruolo di genitore. Come si è arrivati a questo paradosso della giustizia, e a chi vanno attribuite le eventuali responsabilità in solido?
Il sistema giudiziario è intervenuto nella vicenda sin dal 2015 (anno in cui il minore aveva da poco compiuto 4 anni di età) e tutti i provvedimenti emessi, nessuno escluso, affermavano la Bigenitorialità come diritto fondamentale del minore. Il signor Apadula è sempre stato supportato dall’Autorità Giudiziaria con interventi tesi a consolidare lo spazio di frequentazione e accudimento del padre verso il minore, ma il marcato ostruzionismo e una serie di espedienti della madre hanno portato alla mancata esecuzione dei provvedimenti per ben 9 anni. In questi lunghi anni si sono espressi: il Tribunale Ordinario, il Tribunale per i Minorenni, ben 4 volte la Corte di Appello e la Cassazione: tutti concordi nel ritenere che il “best interest” del minore fosse quello di frequentare il padre in modo non episodico ma continuativo. La madre del minore è stata ammonita sin dal 2015 ad avere comportamenti che favorissero questa frequentazione, ma nulla è stato eseguito. Anche la Suprema Corte ha affermato come il comportamento ostativo della madre abbia comportato un allontanamento affettivo sempre maggiore tra il minore ed il padre, ed ha anche auspicato che la signora faccia un percorso psicologico atto ad accettare la Bigenitorialità come il migliore interesse del bambino.
In dettaglio, quali comportamenti o eventi hanno dettato il raggiungimento di un simile risultato?
Ad oggi il signor Apadula continua a non vedere il proprio figlio, per cui persino l’ordinanza di Cassazione non ha sortito alcun effetto. I servizi sociali, il curatore del minore e il tutore hanno fatto di tutto per iniziare il percorso di riavvicinamento, al quale la signora si è sottratta evitando anche di fare il primo incontro stabilito. Ricordo che il signor Apadula ha visto negli ultimi 6 anni il proprio figlio 4 ore e 46 minuti, schegge di tempo rubate ad una relazione sana e serena con il proprio figlio. Voglio aggiungere che al bambino è stato sottratto anche l’amore della nonna paterna, degli zii e cuginetti che chiedono da anni di poterlo rivedere. Quindi direi che il signor Apadula, da un punto di vista giudiziario, ha sempre avuto provvedimenti a suo favore, che però il “sistema giustizia” non è riuscito a far eseguire neanche quando la madre del minore è stata dichiarata decaduta dalla responsabilità genitoriale ed è scomparsa per quattro lunghi mesi, insieme al bambino, inseguita da ordini di rintraccio nazionale ed internazionale. La madre ha tenuto il figlio rinchiuso in casa per un totale di nove mesi, senza permettergli di frequentare la scuola (il bambino ha fatto 256 giorni di assenza), senza permettergli di vedere nessuna delle figure preposte a sua tutela, senza dargli la possibilità nemmeno di sentire telefonicamente il padre.
A fronte di ciò, come vi siete mossi?
Abbiamo fatto di tutto: chiesto l’attivazione del codice rosso, inviato pec a tutti i soggetti istituzionali, compreso il Presidente della Repubblica, abbiamo chiesto a gran voce un intervento delle Forze dell’Ordine, ma in questo caso specifico abbiamo assistito ad un rimpallo di responsabilità e nessuno interveniva. Unici interventi sono stati tre tentativi di accesso andati a vuoto. Da parte del padre è quindi lecito chiedersi come sia stato possibile tutto questo, quando in casi simili, nello stesso periodo, gli interventi sono stati effettuati ed i minori allontanati e messi in protezione.
Giuseppe Apadula potrebbe essere definito come il papà più diffamato d’Italia. Quasi tutti i media e molte personalità, persino tra i membri del Parlamento e dell’Avvocatura, senza tanti scrupoli hanno dato per scontato che egli sia un uomo violento e abusante, nonostante gli atti giudiziari dicano l’esatto contrario e accusino la madre del bambino di aver ostacolato in ogni modo la relazione affettiva tra il figlio e il padre. Quali iniziative sono state intraprese per tutelare l’onorabilità del suo assistito?
Si, certamente il signor Apadula è stato diffamato da varie testate giornalistiche che non hanno mai dato diritto di replica. Hanno raccontato una storia in modo univoco e cieco, ledendo non solo la onorabilità e dignità del signor Apadula come uomo, padre e professionista, ma hanno anche creato un “caso” mediatico totalmente privo di qualsiasi base di verità, con gravissimi danni anche al minore che si accinge ad essere un adolescente e poi un uomo, e che domani potrà facilmente vedere sul Web tutto quello che è stato raccontato della sua vicenda privata, sentendosi marchiato a vita. Per questo motivo abbiamo intrapreso ogni azione giudiziale possibile, atta sia a denunciare che ad attivare i risarcimenti dei danni alla persona del signor Apadula e del bambino.
Da quanto tempo il signor Apadula non vede il figlio? Si conosce il suo luogo di residenza?
Il signor Apadula continua a non vedere il proprio figlio, nonostante provi a contattarlo telefonicamente quasi tutti i giorni.
Si è a conoscenza di chi ha offerto copertura alla madre nel periodo della sua sparizione dal luogo di residenza, non consentendo l’esecuzione della sentenza di allontanamento del bambino?
Siamo consapevoli di chi abbia interferito nella esecuzione dei provvedimenti dell’A.G., ci sono i verbali dei CC che nel periodo in cui la signora era scomparsa hanno accertato chi la stesse coprendo, e siamo a conoscenza anche su impulso di chi. Ci siamo attivati anche su questo fronte. Riteniamo che ci sia stata una ingerenza politica gravissima.
Cosa prevede l’ultima decisione della Corte di Cassazione in merito alla relazione tra padre e figlio?
Siamo in fase di riassunzione del procedimento, visto che la Cassazione ha emesso una ordinanza e rinviato in Corte di Appello. Al momento siamo in attesa di conoscere la data di udienza perchè il procedimento è stato sospeso a causa del tentativo da parte della controparte di ricusare il presidente del collegio incaricato, tentativo rigettato con condanna alle spese della signora ma che ha allungato ulteriormente i tempi. Devo sottolineare come questa signora abbia usato uno strumento processuale di carattere eccezionale, previsto solo per casi tassativi e gravi, come uno dei tanti modi per dilatare i tempi della giustizia: ella ha infatti già tentato di ricusare ben 3 volte magistrati e collegi, secondo la signora tutti coalizzati contro di lei.
La signora Massaro sta rispettando la sentenza? Se no, con quali motivazioni?
La signora non sta rispettando l’ordinanza, e tramite i suoi difensori afferma che attende che il bambino venga ascoltato. Eppure il minore e’ stato più volte ascoltato in questi lunghi nove anni, sia dal tribunale che dalle tre CTU, dai Servizi sociali, dal proprio curatore speciale e dal tutore. Caricare il minore di un ulteriore fardello psicologico di questo tipo è anche questa una forma subdola di violenza. Egli domani sarà padre, e forse solo allora capirà di quale privazione affettiva è stato vittima.
Dalle notizie in vostro possesso, cosa conosce il bambino del papà, cosa gli è stato detto di lui in tutti questi anni?
Il bambino di fatto non conosce il proprio padre. Gli unici contatti che ha avuto sono molto lontani nel tempo, e ultimamente lo ha solo potuto vedere da lontano in occasione della sua prima comunione, avvenuta ormai oltre un anno fa. Dal racconto del papà, egli ha ricambiato lo sguardo affettuosamente, ma è stato portato via dalla madre e dai nonni materni. Il papà sente nel proprio cuore, e lo ripete costantemente, che il bambino è cosciente dell’amore profondo che egli prova verso di lui, ma è un bambino che ha potuto ascoltare solo i racconti e le considerazioni personali della propria madre e dei nonni conviventi.
Da più parti si richiede a gran voce una nuova norma penale che preveda pene detentive molto severe per i genitori che impediscono dolosamente l’esercizio del diritto/dovere di cura dei figli. Secondo lei sarebbe sufficiente come deterrente, oppure serve qualcos’altro?
Personalmente ritengo sia una iniziativa giusta. L’Alienazione Parentale è un dramma presente in molte coppie che si separano. Anche se una parte della comunità scientifica non la definisce “sindrome”, si tratta certamente di un comportamento malevolo, che crea danni enormi nei minori. Ricordo che il Ministro della Salute, circa un anno fa, ha chiarito come l’Alienazione Parentale sia un dato di fatto, un comportamento che non può e deve essere ignorato o sottaciuto. Una riflessione: anche il “mobbing” o lo “stalking” non sono definite “sindromi”, ma comportamenti che vengono puniti dal nostro legislatore con norme severe. Inasprire le pene per questo comportamento è certamente un deterrente da considerare. Ritengo altresì importante aumentare le pene pecuniarie previste dall’art. 709 ter e 614 bis cpc.