I genitori sono perle rare, unici, insostituibili oltre che speciali, spesso li diamo per scontati e troppo tardi comprendiamo l’immenso valore che loro hanno per noi. Speciale è anche la relazione con loro; quella con loro è la nostra più antica relazione, anche se si ì figli affidatari poi adottivi, come nel mio caso. Anche se questo rientra nel normale ordine delle cose che un genitore, madre o padre che sia, muoia prima di noi, quando li perdiamo da adulti, che sia all’improvviso, per malasanità oppure dopo una lunga malattia, rimaniamo spesso pervasi da uno sbandamento misto al grande senso di vuoto, misto ad un senso di sradicamento e sospensione, dalla profondità e complessità delle emozioni che ci attraversano davanti a questa perdita. Oltre allo shock, al dolore, ad un senso di intorpidimento, anche rabbia e sensi di colpa. La perdita dei genitori è un passaggio vitale che però comporta un profondo impatto psicologico anche se avviene quando siamo ormai adulti. La morte dei genitori, anche quando si è adulti resta uno degli eventi più dolorosi della vita, uno spartiacque tra un prima e un dopo che ci cambia per sempre.
In realtà, la perdita dei genitori ha delle caratteristiche peculiari e uniche che la rendono particolarmente destabilizzante in quanto i genitori costituiscono la nostra prima relazione, sono le figure affettive che ci sono sempre state, che erano presenti all’inizio della nostra esistenza e dei nostri ricordi, che per prime si sono prese cura di noi. Non abbiamo memoria ed esperienza di un tempo senza di loro, perciò la loro mancanza costituisce un vuoto che facciamo particolarmente fatica a immaginare e concepire. La morte dei genitori ci fa provare l’angoscia di non essere più pensati da loro, contenuti nella loro mente, tanto da avere la sensazione di andare in pezzi, e ci fa avvertire la dolorosa consapevolezza che, per quanto troveremo nella nostra esistenza partner, familiari e amici amorevoli, nessuno avrà per noi quell’amore incondizionato che riceviamo solo (e non sempre, ahimè) dai nostri genitori.
Venendo meno i genitori, cambiano i rapporti familiari, i rapporti tra le generazioni, portando all’assunzione di nuove responsabilità. Quando un genitore muore, si modifica anche il rapporto con l’altro, che improvvisamente diventa un rapporto uno-a-uno e non più un rapporto con la coppia genitoriale. Insieme alla persona del genitore, perdiamo anche una parte di noi. Venendo meno i genitori, restiamo e diventiamo gli unici responsabili di noi stessi. Se per una vita abbiamo fatto certe scelte per compiacere i nostri genitori, per soddisfare le loro attese, per onorare i loro insegnamenti, o invece per ribellarci alle loro imposizioni, per dimostrare loro che si sbagliavano, per dimostrare di essere diversi da loro, ma comunque, in entrambi i casi, sempre in relazione a loro, con la loro morte siamo improvvisamente liberi e privi, nel bene e nel male, del riferimento a cui ci siamo sempre rapportati.
La loro perdita ci costringe anche a ridefinire noi stessi (e nessuno può giudicare il nostro cambiamento perché solo vivendo un’emozione devastante come questa si può capire che voragine interna si prova). Il lutto è un processo che ha bisogno del suo tempo per svolgersi, un tempo diverso da una persona all’altra ma che sicuramente necessita di diversi mesi. Non è una condizione immutabile, ma un percorso emotivo in cui si succedono lo stordimento, la rabbia, la ricerca disperata e struggente di chi abbiamo perso, la disperazione e infine il ritorno della possibilità di vivere e riprogettare, accettando che quella persona non sia più presente nella nostra quotidianità ma mantenendo il legame nel ricordo. Nel lutto, non c’è altro modo di superare il dolore, se non provarlo, viverlo e attraversarlo.
Antonella Betti