Quando si parla di musica etnica, un gruppo a cui si pensa immediatamente è quello degli “Indaco”. Una band fondata nel 1992 da Mario Pio Mancini e dallo storico chitarrista del Banco del Mutuo Soccorso, Rodolfo Maltese. Dal primo disco uscito dal titolo “Mario Pio Mancini, Rodolfo Maltese and The New Ensemble”, il gruppo non si è più fermato, nonostante i vari cambi dei componenti che ci sono stati nel corso del tempo.
Il gruppo, riconosciuto come pietra miliare nel panorama etno-world italiano, ha stretto collaborazioni con musicisti del calibro di Toni Esposito, Antonello Salis, Enzo Gragnaniello, Francesco Di Giacomo e Mauro Pagani (PFM) Lester Bowie, Snowie White, Eugenio Bennato, Paolo Fresu, Daniele Sepe e molti altri. Nel 2015, all’entusiasmo di Mario Pio Mancini si aggiunge la nuova linfa portata dalla compositrice e arpista Valeria Villeggia, dal percussionista Maurizio Catania, dal contrabbassista Bruno Zoia e dal produttore e chitarrista Jacopo Barbato.
Incontriamo la voce femminile del gruppo, Valeria Villeggia, che ci porta con le sue parole nel fantastico mondo degli “Indaco”…
Gli “Indaco” è un gruppo musicale fondato nel 1992. Cosa vi ha portato a cambiare totalmente formazione rispetto a quella originale? “Indaco” è un progetto musicale trentennale che è sopravvissuto grazie al suo carattere di collettivo aperto e al continuo ricambio di energie. Tra i fondatori del gruppo è sempre rimasto Mario Pio Mancini, guida della formazione attuale, mentre Rodolfo Maltese è purtroppo venuto a mancare nel 2015 e Arnaldo Vacca si è riunito al gruppo per l’ultimo recentissimo disco “Due Mondi”.
Dal 1992 ad oggi quanto è cambiata la vostra musica? Incredibilmente devo risponderti pochissimo. Indaco è un marchio sonoro riconoscibile, ma allo stesso tempo molto aperto: decine di musicisti diversi tra loro si sono trovati a parlare la stessa lingua attraverso le sonorità di Indaco. Negli anni ci sono stati dischi dal carattere più rock o più progressive, o più folk ed etno, ma questi rimangono tutti elementi sempre presenti nella poetica di fusione stilistica del gruppo.
Nel tempo il gruppo ha collaborato con numerosi musicisti, come Toni Esposito, Enzo Gragnaniello o Eugenio Bennato. Quanto questi artisti e molti altri hanno influito sul successo del gruppo? Hanno lasciato un segno inconfondibile e molte perle di canzoni. Non posso non citare anche l’indimenticabile voce della tradizione sarda, il compianto Andrea Parodi, e come lui Francesco di Giacomo che fu anche grande voce del Banco del Mutuo Soccorso e ancora Mauro Pagani, Daniele Sepe, Antonello Salis. Abbiamo un lascito ricchissimo di tanti musicisti straordinari.
La scelta di chiamarvi “Indaco” da cosa è venuta? La parola Indaco proviene da una pianta di origini antiche e orientali, l’Indigofera tinctoris, dalle cui foglie si estrae il pigmento bluastro che dà il nome al colore magico e indefinito che secondo noi, in qualche modo, ci somiglia.
Il 27 gennaio presenterete l’ultimo lavoro “Due mondi” all’Auditorium di Roma, cosa possiamo anticipare? La sala Petrassi ci aspetta insieme a un altro gruppo di storia decennale gli Yo-yo Mundi. Con noi saranno anche le danzatrici del gruppo Raqs Nouveau che abbiamo conosciuto in occasione del videoclip del nuovo singolo Kalì: hanno realizzato una coreografia ipnotica del brano e le abbiamo invitate allo spettacolo.
Siamo vicini come periodo al Festival di Sanremo, nella loro storia gli Indaco, hanno tentato una volta di partecipare, ma sono stati esclusi. Oggi c’è il pensiero di voler partecipare di nuovo? Effettivamente nel 1998 Indaco avrebbe dovuto partecipare a Sanremo con il brano “Soneanima” cantato da Andrea Parodi. La cosa non andò in porto e trapelarono voci che il motivo potesse essere collegato al fatto che i nostri dischi erano usciti con Il Manifesto, verso cui abbiamo grande riconoscenza.
In conclusione, che progetti ci sono in corso per gli Indaco? È appena uscito il nostro ultimo disco “Due Mondi” per l’etichetta Alfamusic, un contenitore di canzoni suggestive e visionarie, composte da noi e grandi musicisti come Graziano Galatone, voce di Febo del Gobbo di Notre Dame, Renato Vecchio e il suono particolare del suo duduk, strumento a fiato armeno.
Eleonora Francescucci