“Senza madre. Storie di figli sottratti dallo Stato (Magi edizioni) è il libro presentato al Senato il 9 febbraio scorso nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani. Ha promosso l’incontro la senatrice Valeria Valente, già presidente della Commissione femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, ha moderato l’incontro la giornalista Flavia Fratello. E’ intervenuta anche la viceministra del lavoro e delle politiche sociali, Maria Teresa Bellucci.
Un libro scritto a più mani ad opera di ben 10 donne, alcune giornaliste, quali Silvia Mari, Livia Zancaner, Franca Giansoldati, Clelia Delponte, Nadia Somma, la dottoressa Assuntina Morresi, Paola Tavella, Emanuela Valente, Flavia Landolfi, Monica Ricci Sargentini.
Un libro che riflette “ l’immagine del dolore indicibile di tante, troppe, madri e dei loro figli. Madri da eliminare, perché solo così si possono salvare i loro figli. La più crudele delle mistificazioni. Le autrici si addentrano in questo mistero giudiziario, incollano frammenti di incubo, scrivono perché tutti devono sapere, per correre ai ripari, perché non accada mai più ” queste le prime parole della prefazione del libro “Senza madre. Storie di figli sottratti dallo Stato” (Magi edizioni) ad opera della ex procuratrice generale presso la Corte Suprema di Cassazione, dr.ssa Francesca Ceroni.
Una vera “mattanza” la definisce la Ceroni che anche con la sua requisitoria del 16 febbraio 2021 in occasione dell’udienza del 15 marzo aveva già messo dei punti fermi sulla cosiddetta alienazione parentale (Pas), il mancato ascolto del minore, provvedimenti che incidono “sui diritti di natura personalissima e di primario rango costituzionale” e che “ possono comprime pesantemente le libertà fondamentali delle persone e delle persone minori di età, la libertà personale, di domicilio, di comunicazione, di circolazione e, dunque, devono godere del massimo delle garanzie” secondo precisi articoli della Costituzione.
“La realtà è che il conflitto o, peggio, la violenza, è incompatibile con il co-affidamento dei figli; la realtà è che un padre violento non può essere un «buon» padre, mai”, troviamo sancito nero su bianco sul libro. Ed ancora puntualizza la ex procuratrice generale di Corte di Cassazione “ poi ci sono i giudici. Molti dei quali hanno abdicato al loro ruolo e hanno messo queste vite in mano ai consulenti, che seguono percorsi metagiuridici, spesso teorie ascientifiche e troppe volte si disinteressano delle ragioni per le quali un bambino si rifiuti ostinatamente di vedere il padre, sul pre-giudizio che sia manipolato dalla madre. C’è anche la convinzione, dura a morire nelle aule dei tribunali, per la quale in sede penale esiste la violenza, che scompare in sede civile, dove esiste solo il conflitto, conflitto che non scalfisce il totem della bigenitorialità. Il principio della bigenitorialità, icona del nostro tempo, è una formula magica di fronte alla quale tutto il resto arretra, che fagocita la libertà personale del minore, il suo diritto di autodeterminazione, il suo diritto fondamentale e quello della madre alla vita privata e familiare”.
Una realtà che purtroppo vige in molti tribunali e Corti d’appello italiane.
Un “errore” che devasta l’esistenza dei bambini, che sono il nostro futuro.
Il giudice è, sempre e comunque, peritus peritorum, quindi ha l’obbligo di appurare la veridicità delle relazioni, come pure ha a disposizione tutta la documentazione del contraddittorio, oltre al sacrosanto rispetto delle normative.
L’agenzia di stampa nazionale Dire, direttore Nico Perrone, ha da subito dato fiducia alle richieste della sua giornalista Silvia Mari con la pubblicazione di molteplici e drammatiche storie di violenza istituzionale. La Mari è la promotrice, la responsabile dello speciale di inchiesta “mamme coraggio” della Dire, che è l’unica che abbia dato così tanta voce al dolore dei bimbi, alle disumane sofferenze delle mamme vittime di violenza domestica e quella più infida, ossia quella istituzionale, come pure quella economica che ne deriva.
“Poiché siamo in una casa dello Stato io vorrei andare subito al punto, queste storie denunciano qualcosa che lo Stato compie nelle nostre case e nelle nostre famiglie; c’è qualcosa di disfunzionale e di delittuoso che avviene che si chiama violenza istituzionale o istituzionalizzata. Noi denunciamo questo”.
Una frase quella della giornalista Mari che ha già detto tutto con chiarezza e grande consapevolezza. Il sistema degli allontanamenti, le loro mosse, il “modus operandi” ben strutturato lo conosce molto bene, da anni.
Assieme alle coautrici del libro “mi sono accorta che c’era un sistema che si reiterava con un copia-incolla in tutti questi casi. Il sistema porta la firma degli psicologi, degli psichiatri, degli psicoterapeuti, dei consulenti tecnici d’ufficio che non operano per filantropia, ma che si fanno pagare perché ancora una volta in questo sistema dobbiamo seguire i soldi”, oltre alla “messa sotto accusa del materno”, del fatto che le donne non vengano credute, ma “certamente ci sono gli interessi economici, ci sono i soldi”.
I giudici, osserva la Mari “scrivono le loro sentenze piegandosi completamente a quello che viene scritto nero su bianco da questi periti della mente, che pretendono di leggere la genitorialità e l’amore di una madre verso il proprio figlio a colpi di test psicoattitudinali, facendo terapie che durano tanti anni, andando nei centri diurni, perché così le parcelle continuano a crescere e questo sistema si alimenta”.
Esattamente, infatti per ogni minore vengono nominati due avvocati, un tutore, un curatore speciale, un ctu (consulente tecnico d’ufficio), due ctp (consulente tecnico di parte), assistenti sociali, educatori, psicologi ed altre figure c.d. istituzionali. Più durano le violenze che vengono “scambiate” (volontariamente per la maggior parte delle volte) in conflitti di coppia (come se fosse una riunione condominiale!) e più le parcelle crescono, più anni durano le cause civili e penali e più ogni figura guadagna. Neppure le richieste conciliative che molto spesso arrivano dalle mamme, nonostante le violenze subite, fermano questo sistema.
Un curatore speciale per esempio è stata nominata nel 2014 dal giudice del tribunale per i minorenni, poi, dalla Corte d’appello, dal tribunale ordinario, dal giudice tutelare, di nuovo dalla Corte appello, fino al 2022, anno in cui si è chiuso in netto con un guadagno di più di 55 mila euro a carico dell’erario ( Stato) e della mamma. Viene nominata sempre la stessa persona che “assicura” relazioni “ad hoc”, proprio quelle che i magistrati vogliono leggere e poi si arriva al prelievo coatto con i volumetrici fascicoli pieni zeppi di relazioni che non hanno nulla che possa solo lontanamente avvicinarsi a quel “superiore interesse del minore” che non si sa più che fine abbia fatto, insabbiato dalla polvere che spesso si trova nei cassetti dei tribunali. Ovviamente non si generalizza mai, molto tribunali svolgono lavori encomiabili.
La realtà che vige nei tribunali è che “quando una donna denuncia violenza, quella donna diventa automaticamente alienante”, perché non si vuole ammettere che se un bambino ha paura del padre vuol dire che quest’ultimo non è in grado di relazionarsi con il proprio figlio e soprattutto ha degli atteggiamenti violenti che sortiscono il terrore del bambino. Ci vogliono 12 lauree ad honorem per capirlo?
Invece la donna viene accusata, colpevolizzata perché sarebbe “la madre che manipola”.
Ognuno è il solo responsabile dei propri rapporti con terzi, se un padre non riesce, non è in grado di avere un rapporto sano, basato sull’amore, sulla fiducia, senza alcuna forma di violenza con il proprio figlio è l’unico reo, non è di certo la madre. Ma per le cosiddette figure istituzionali “anche se non è un buon marito, non vuol dire che non sia un buon padre”. Le violenze vengono così “giustificate”, occultate e se madre e figli ne parlano vengono sistematicamente minacciati, risulta per tabulas.
Questa alienazione parentale (cd Pas)– osserva la Mari – nelle ultime perizie che ho analizzato non viene più nominata, si parla di mamme adesive, di mamme simbiotiche, di mamme iperprotettive.
Durante gli incontri – continua la Mari – viene stigmatizzato “ se la mamma indossa le scarpe laccate, se gioca con il figlio, se magari usa dei vezzeggiativi, se lo bacia, quando lo bacia, è una medicalizzazione del rapporto affettivo”.
In ambito penale per subire una condanna bisogna che vengano espletati i tre gradi di giudizio, diversamente in ambito civile e minorile, per arrivare ad una condanna basta una semplice ipotesi di come sei, come potrai essere, quello che potrebbe succedere, sulla base di un rischio, sulla base di un ipotetico comportamento, sulla base di costrutti ascientifici, opinioni personali, sulla base di troppi baci ed abbracci, e così via, o perché i figli hanno terrore dei padri per le violenze alle quali hanno assistito. Per la condanna definita in Cassazione, per accertare eventuali reati passano circa 10 anni, diversamente per allontanare un figlio da un genitore passa “un giorno”, basta una segnalazione, una relazione e l’inferno è sulla terra.
“Certamente sono le mamme le vittime principali perché la violenza domestica – fa notare la giornalista della agenzia di stampa Dire – si scaglia contro le donne, ma è (contro) il genitore protettivo, è il genitore accudente quello che viene massacrato perché se tu non sei protettivo e accudente questo bel sistemino, di periti, di consulenti e di servizi sociali, entra a casa tua e fa quello che vuole di tuo figlio”. Queste sono parole intrinseche di verità. Come pure educatori che entrano prepotentemente nella tua vita, nelle tue relazioni, nelle tue abitudini, nei ”tuoi cassetti ed armadi” per poi stravolgere ogni cosa che di bello sei riuscita a costruirti. Da quel momento non hai più una vita normale, solo preoccupazioni, false accuse, mortificazioni, insulti, modifica della vita lavorativa anche perché sei sottomessa (minacciata) al rispetto di tutti gli incontri che vengono programmati senza tener presente le esigenze lavorative, le malattie, le operazioni chirurgiche, i viaggi, la condizione economica.
“Se tu sei protettivo e ti barrichi in casa per non permettere che in nome di quella perizia (imperniata di sindrome di alienazione parentale e suoi simili costrutti sempre tutti ascientifici) tuo figlio venga portato via da ambulanza e poliziotti e consegnato in una casa famiglia”. Se va tutto bene la madre lo vedrà dopo tre mesi, osserva la Mari, con una videochiamata.
La giornalista della Dire si rivolge a tante mamme che seguono la diretta da remoto ed a quelle presenti in sala, “mamme che non vedono i figli da moltissimi mesi, bambini che in casa famiglia iniziano a sviluppare malattie immunitarie, che durante gli incontri fanno la pipì sotto, che a scuola iniziano ad andare male. Questo è un sistema – precisa la Mari ben consapevole della materia di cui parla – ed oggi i periti hanno imparato ad usare un lessico diverso, peggiore, perché è molto più astuto”.
Parla poi di un caso recentissimo accaduto al Tribunale di Teramo dove la CTU “dice espressamente al giudice che “lei non è chiamata a stabilire la verità, ma è chiamata a stabilire se è un buon genitore “, affermazioni riguardo un uomo violento, una donna in codice rosso aggredita dall’uomo ed “una bambina che si è nascosta sotto il letto che poteva essere il prossimo Federico Bakarat (bambino ucciso con 37 coltellate dal padre durante un incontro protetto).
“Il paradosso kafkiano che dobbiamo avere a mente è che non solo si fa di tutto per garantire la genitorialità di un violento, ma che si usa il minore per garantire questo, trattandolo come una fonte di denaro e come un corpo privo di diritti, in violazione di tutte le carte internazionali che si trasporta da una parte all’altra” ha fatto presente Silvia Mari con una precisione di parole più che appropriate.
Un pensiero lo dedica alle mamme che hanno lottato per far emergere questo dramma dei figli allontanati le “mamme che hanno avuto il coraggio di denunciare pagandone nei propri procedimenti per questo, perché i giudici iniziano a scrivere in sentenza che non è gradito che queste mamme vadano a denunciare non solo su Facebook, ma anche alla stampa, alle testate certificate, non è gradito – sottolinea la Mari – perché non sei tanto collaborativa se vai a denunciare che tuo figlio è stato portato via come un detenuto. Quindi non è richiesta la verità, si seguono i soldi e i bambini li perdiamo di vista e li strappiamo agli unici che possono proteggerli.
Questo è lo Stato che entra nelle nostre case e lo fa in una modalità che va denunciata”.
La Mari al termine del suo intervento in Senato ci tiene a ringraziare pubblicamente Laura Massaro presente nella sala Zuccari che “con la sua denuncia insieme a Giada Giunti, Luana Valle ed altre mamme che sono qui, che hanno pagato per la loro denuncia, forse pagheranno ancora, ma bisogna continuare a farlo, se non c’è verità non c’è giustizia”. Non è la prima volta che il pensiero di Silvia Mari va alle mamme, un sentimento che la contraddistingue da quando ha iniziato a documentare questi crimini nei confronti dei bambini, con un lavoro certosino, di professionalità e tanto cuore e sensibilità che a volte fanno la differenza.
“Questo libro non è solo un libro, non è solo un manifesto, questo libro è il dovere di essere testimoni, commenta la giornalista della Dire che conclude con una frase riportata nel libro in un capitolo della collega Clelia Delponte “voglio restare testimone anche quando non esisterà più un solo essere umano che mi chieda di rendere testimonianza” (Christa Wolf, Cassandra), noi dobbiamo fare questo, così le parole di Silvia Mari.
“Confido che sia l’inizio della fine, della fine di questa pratica barbara, vendicativa, incompatibile con la tutela della dignità della persona, che si possa rifondare un sistema di protezione dell’infanzia, della maternità e delle relazioni familiari, eliminando stereotipi e pregiudizi, implementando la specializzazione, la formazione permanente e obbligatoria degli operatori psico-socio-giudiziari, realizzando un processo che sia davvero giusto e abbia cura di non ri-vittimizzare le donne e i loro figli”, con queste parole che regalano speranza alle mamme “coraggio“ vittime di violenza domestica ed istituzionale la dr.ssa Ceroni chiude la sua prefazione del libro scritto a più mani da 10 donne “Senza madre. Storie di figli sottratti dallo Stato” (Magi edizioni).
di Giada Giunti