Il 27 marzo al Cinema Adriano di Roma si è tenuta la Masterclass di sceneggiatura organizzata dal Nuovo Imaie e condotta da Nicola Guaglianone Lo sceneggiatore, allievo del grande Leo Benvenuti, è diventato celebre dopo l’uscita al cinema del film “Lo chiamavano Jeeg Robot” rafforzando poi il proprio successo con “Freaks Out” e la serie “Suburra”.
A mo’ di autorappresentazione, l’autore ha raccontato in breve il suo percorso creativo, e l’ha fatto a regola d’arte, creando un immediato legame con la sua platea: attori, registi e sceneggiatori del Nuovo Imaie. Ha sottolineato che del mestiere lo affascina la metamorfosi
della realtà che si può attuare tranquillamente in casa propria abbozzando e tratteggiando una vita che vorresti tu. Di cosa si ha bisogno per fare questo mestiere? Della capacità di amare gli altri, sostiene Nicola Guaglianone. L’altro, più che dar fastidio, dovrebbe incuriosire ed ispirare. L’autore ha condiviso con l’audience le armi del suo mestiere: “Parto sempre dal personaggio. Studio il suo problema interiore perché quest’ultimo si deve scontrare con la sua realtà, con il mondo che lo circonda. E poi, il personaggio deve cambiare. O, almeno, fare il percorso verso il cambiamento”.
“Mi servono le paure, i traumi e le insicurezze del personaggio. Per trasformarlo, bisogna assolutamente
che gli accada la cosa peggiore che proprio a lui può capitare: la necessità di scalare la montagna se soffre di vertigini e così via. Il personaggio deve essere messo in relazione a un altro, magari il suo opposto, per creare il conflitto capace di portare avanti la trama”, – afferma Nicola Guaglianone rifacendosi ai classici e ai contemporanei della drammaturgia e sceneggiatura.
Sul “blocco dello scrittore” il drammaturgo è molto scettico;: “Per me, non esiste alcun blocco. Lo sceneggiatore ha difficoltà a scrivere o per la mera paura di fallire – che è una componente di un qualsiasi altro processo, creativo e non – o perché ancora non conosce bene il personaggio sul quale vuole scrivere”. Quindi, c’è solo da approfondire le paure vitali del protagonista e viverle come se fossero proprie.
Ogni scena deve contribuire a spostare il personaggio fra le due forze: il rinnovamento (ciò che lo spinge avanti) e la resistenza a questo rinnovamento (che lo riporta indietro). Verso la metà del film fra le due forze contrastanti dovrebbe vincere quella che porta avanti il personaggio, la sua esplorazione di sé e della realtà, insieme all’attenzione dell’incuriosito spettatore. Lo spettatore va sempre conquistato, ma anche spiazzato. Se il personaggio è negativo, bisogna risolvere il problema dell’immedesimazione: la storia piace al pubblico solo se ogni spettatore si riconosce nel protagonista e si rispecchia in lui. Un film su un criminale – quando è fatto bene – rischia sempre dj diventare “un’apologia del malfattore”. Sembra strano, ma è solo una legge della scrittura che funziona.
Iniziano le domande del pubblico. Alcune partono dalle necessità di una scrittura che differisce da quella filmica per alcuni aspetti: quella delle serie televisive. In una serie il personaggio tende a non cambiare, anche se presenta più sfaccettature. Scrivendo una serie, Nicola parte sempre dal personaggio. E da un certo status quo esistente ad inizio di ogni puntata che deve essere ripristinato alla conclusione della stessa puntata.
A Nicola Guaglianone non è ancora capitato di affrontare un biopic né di collaborare nella stesura di una sceneggiatura con gli autori del romanzo, ma il procedimento sarebbe per lui sempre lo stesso; egli individuerebbe, nei fatti biografici del personaggio, un “prima” dei fatti salienti, un incidente scatenante e le tappe decisionali del suo percorso verso la trasformazione.
Come scrivere dei dialoghi efficaci? Immaginandoli come due monologhi, come l’espressione simultanea dei due punti di vista diversi, spesso contrapposti.
È meglio scrivere insieme o in solitudine? Per Nicola Guaglianone, le varianti sono infinite. Gli è capitato di scrivere solo, insieme a registi, e anche insieme agli attori come Luca Verdone e il duo dei comici Ficarra e Picone. Si è trovato molto bene a scrivere con Luca Miniero, Edoardo de Angelis e Massimiliano Bruno.
Cosa non funziona, secondo lui, in una scrittura cinematografica? Trova noioso un personaggio che, piuttosto che agire, subisce la vita. Trova inefficace e non sempre giustificato l’uso di flashback e la voce fuori campo come mezzi assai didascalici.
Come entrare nella cerchia di autori cinematografici conosciuti?
Scrivere da soli, ma poi andare assolutamente a presentare i propri progetti al maggior numero di attori, registi, produttori. Tutto può essere utile: i concorsi di sceneggiatura, i premi, i “pitch day” organizzati da enti statali e/o produzioni cinematografiche. Più presenti la tua idea ad altri, più diventi efficace e vincente nel farlo. Basta poco: un personaggio, il suo conflitto interiore e “la cosa peggiore che gli può capitare”.
Alla famigerata domanda divenuta ormai retorica sul “perché non ci sono più le commedie di una volta?”, Nicola ha una risposta che rispecchia la realtà: non ci è più permesso di criticare i vizi della società. Le piattaforme e le produzioni non lo vogliono per paura di rischiare. Un tempo, Pietro Germi poteva girare “Il divorzio all’italiana” e influire sulla legislazione nazionale facendo introdurre la legge sul divorzio. Oggi, questa libertà non esiste più, per ragioni commerciali. Ed ecco che gli artisti con una verve ironica e satirica si dedicano al genere di stand up comico, accantonando il cinema come un mezzo costoso in cui non hai possibilità di emergere.
Un’attrice esprime la perplessità su come vengono rappresentate le donne nel cinema e nelle serie TV. Molto spesso la protagonista femminile è al di sotto di quarant’anni o, al contrario, vecchia (una mamma così classica che sembra ottocentesca, talmente è improbabile e lontana dalla realtà odierna). Se l’età della protagonista è fra 40 e 70 anni, trattasi di una signora che tutt’oggi è costretta a fare i conti con il mondo maschile e ad affermarcisi come se fosse “la prima donna del mondo a fare la sportiva/ la magistrata/ la sindaca. E il film/ la serie diventa subito “gender”. La risposta del famoso sceneggiatore è la seguente: tutto ciò è la questione dei diritti. E i diritti di ogni categoria di persone “diverse”, nonostante l’apparente inclusione della società moderna, vanno sempre e comunque rivendicati. Ed ecco che, ci ritroviamo, tutti noi che ci azzardiamo a scrivere – chi per passione chi per necessità – a fare ancora i conti con la rivendicazione dei nostri diritti. Di esistere, di scrivere, di dire la nostra su un qualcosa che ci preme.