Come un vero grande leader di una potenza mondiale il Papa parla, non a reti unificate, ma al solo Tg1. Non c’è intervista. Non c’è contraddittorio. Non c’è l’impertinenza che deve essere concessa al cronista e che vuole il lettore, come il teleutente. Non c’è niente di tutto questo. C’è solo il verbo del Papa. Ma la forma è quella di un intervista perché c’è qualcuno davanti a lui.
Bergoglio vuole esprimere la sua delusione su come è stata gestita la crisi in Terra Santa: con una guerra che non cenna a smettere. E su Israele e Palestina ripete lo stesso disco da decenni: “Sono due popoli che devono vivere insieme”. Peccato che il devono collide fortemente con il vogliono. Di qui le ostilità. Il Papa dice la sua però anche sulle questioni della migrazione e sulla centralità delle donne nelle gerarchie chiesastiche, argomento entrato all’ordine del giorno del dibattito.
Ma sul problema del conflitto di Israele contro Hamas che sta pagando tutto il popolo palestinese. “Sono due popoli che devono vivere insieme, in una soluzione saggia. Due stati ben limitati e Gerusalemme come Stato speciale. Non si risolve niente con la guerra, tutto si risolve col dialogo. Nella guerra uno schiaffo provoca l’altro. Questa è un’ora molto buia e una sconfitta in più perché le guerre non si sono fermate. Non si trova la capacità di riflettere con chiarezza. È come se ci stessimo abituando all’orrore. All’inizio del mio pontificato scoppiò il conflitto in Siria, Musulmani e Cristiani pregarono insieme. È brutto dirlo ma purtroppo ci si abitua. Non dobbiamo abituarci. L’assalto ai Kibbutz è un tema che rigurgita antisemitismo. Purtroppo rimane nascosto. Lo si vede da qualche fatto di cronaca. In questo caso è molto grande, ma c’è sempre. Non è bastata la lezione della seconda guerra mondiale e non so il perché, non c’è spiegazione. Un problema più grave ancora è l’industria delle armi. Oggi gli investimenti che danno più reddito sono in quel settore. Io capisco, ma ci vuole la pace. Dico di fermarsi e di trovare un accordo”.
Ma un riferimento obbligato è anche all’altro conflitto. Quello russo-ucraino. “Se ho mai pensato di andare a Kiev o a Mosca? Ho avuto buoni rapporti con l’ambasciata che negli anni ha liberato dalla prigionia, sotto nostra richiesta, chi poteva essere liberato, ma il dialogo si è fermato lì. Nel secondo giorno di guerra in Ucraina sono andato in ambasciata Russa dicendo che sarei stato pronto a visitare Putin, mi dissero che non era necessario”.
Sul problema della migrazione dall’Africa in Europa Bergoglio prende ad esempio l’Argentina. “Io sono figlio di migranti. In Argentina siamo quarantasei milioni e gli indigeni sono solo sei milioni, è un Paese basato sull’immigrazione. Sono abituato a vivere in un Paese di migranti, per me l’esperienza dell’immigrazione è esistenziale. Cipro, Grecia, Malta, Italia e Spagna soffrono più degli altri gli sbarchi. Questi cinque paesi non possono accogliere tutti, in questo l’Europa deve dialogare. Non dimentichiamo mai la crudeltà in Libia, l’ultima tappa di molti migranti, e ricordiamoci che abbiamo bisogno di inserirli nella nostra società e nel lavoro. È una politica migratoria che costa, ma se non si integrano c’è un problema”.
Ma l’argomento all’ordine del giorno che coinvolge direttamente la riforma di Santa Madre Chiesa consiste nell’ingresso delle donne nelle gerarchie ecclesiastiche e nella sua vita effettiva. “Qui in vaticano la vice governatrice dello Stato è una suora. Le donne hanno un ruolo molto importante nella Chiesa, capiscono cosa che gli uomini non capiscono, hanno un fiuto speciale per le situazioni. Vanno continuamente inserite nel lavoro della Chiesa. La Chiesa è donna, e nella Chiesa è più importante Maria che Pietro, ma se vogliamo ridurre questo al funzionalismo delle qualifiche e dei ruoli occupati, perdiamo tutti”.
Sull’annosa questione del matrimonio nel sacerdozio. “Nella chiesa occidentale c’è questa legge, ma può essere abrogata, non c’è problema, ma non credo che aiuti nell’aumentare le vocazioni. Ma cambierebbe la loro spiritualità e li aiuterebbe ad essere inseriti nella comunità”.
Altro argomento di grande portata consiste nella violenza in famiglia fino al femminicidio. “Gli abusi e le violenze, spesso sono in famiglia, nel quartiere. La gente ha l’abitudine di coprire tutto, ed è brutto. Sulla lotta alle discriminazioni sull’omosessualità c’è ancora tanto da fare”.
Non si fa scudo di parlare delle incertezze nelle posizione da pontefice e le ricorda specificamente: “La Guerra Siriana è stato un momento difficile del mio pontificato”. E poi: “Ci sono stati momenti facili o meno facili, ma il Signore mi ha aiutato quantomeno ad avere pazienza. La Chiesa è sempre in cammino e deve crescere. Le piccole paure ci sono. Quanto sta accadendo in Terra Santa mi fa paura”.
Come sa fare solo Bergoglio entra senza infingimenti sui problemi e le difficoltà del rapporto con Dio che qualsiasi uomo di questa fase storica vive: “La mia fede non ha mai vacillato nel senso di perderla, ma di non sentirla. Si sente che il Signore si nasconde, ti lascia da solo, o noi ci allontaniamo. Il Signore non è Mandrake, è un’altra cosa”. E poi non si nasconde a pronunciarsi verso il pensiero forte del momento: il calcio, coi suoi miti, le gioie e le delusioni. E dice senza mezzi termini: “Maradona ha fallito come uomo”. Entra ancora nel mondo del calcio: “Tra Messi e Maradon dico Pelè. Maradona come calciatore è stato un grande, ma come uomo ha fallito. Messi è correttissimo, è un signore. Ma per me il grande signore è Pelè, è un uomo di cuore, di un’umanità gigantesca. Tutti sono stati grandi nei rispettivi campi”.
E come il personaggio Adso nel Nome della Rosa in età avanzata, tra un ricordo e l’altro, rimembra i ricordi di un amor perduto: “La mia fidanzata prima di prendere i voti era una ragazza buona, lavorava nel Cinema”…