Tra parole non dette a quelle ripetute ogni anno, alle parole autocelebrative il 25 gennaio 2024 si è solennizzata l’inaugurazione del nuovo anno giudiziario presso l’Aula Magna della Suprema Corte di Cassazione.
Eppur anche il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura Fabio Pinelli aveva proferito l’anno scorso “parleremo poco e lavoreremo tanto, dovranno parlare i fatti”, poi anche una serie di scaldali e di errori giudiziari.
Il Primo Presidente di Corte di Cassazione, Margherita Cassano.
“Il vocabolario Treccani ha scelto come parola dell’anno la parola femminicidio, definita come uccisione diretta o provocata, eliminazione fisica di una donna in quanto tale, espressione di una cultura plurisecolare maschilista e patriarcale. Si è trattato di una scelta unanime e determinata per stimolare la riflessione su di un crimine odioso e per sollecitare la presa di coscienza su reati che si verificano con preoccupante frequenza. Nel periodo in esame, su un totale di 330 omicidi (in lieve aumento rispetto ai 325 dell’anno precedente e ai 308 del 2021), le donne risultano vittime in 97 casi (rispetto ai 104 del 2022 e ai 105 del 2021). In 63 dei 97 casi (rispetto ai 61 del 2022 e agli 80 del 2023) gli autori del reato sono indicati negli uomini con i quali le vittime erano legate (o erano state legate) da relazione affettiva. Desta, però, grave preoccupazione il fatto che dei sette omicidi volontari consumati già nella prima settimana del 2024 tre vedano come vittima una donna”.
Ed è proprio la Prima Presidente della Suprema Corte di Cassazione a sollecitare una riflessione secondo cui “I femminicidi costituiscono spesso il tragico epilogo di reati cd. spia, espressivi di condotte violente in danno delle donne (violenza privata, violazione di domicilio, lesioni, maltrattamenti in famiglia, stalking) che richiedono particolare attenzione, competenza, professionalità e tempestività d’intervento per impedire conseguenze ben più gravi”. Ebbene, della celere individuazione dei cd reati spia e dell’intervento opportuno e decisivo se ne parla da anni, si sollecitano le figure istituzionali, ma perché di fronte a denunce in codice rosso ben documentate, supportate da prove granitiche, si resta immobili, tanto che poi la vittima muore con 10, 20, 37 coltellate? Quindi, dove risiede quella “particolare attenzione, competenza, professionalità e tempestività d’intervento per impedire conseguenze ben più gravi” come viene citato nell’intervento? Per ogni errore colpevole o inconsapevole l’effetto è la morte di una vittima (per la maggior parte una donna o anche un bambino che pur resta orfano) che aveva invocato aiuto a coloro che sono deputati a tal compito.
La responsabilità del fenomeno dei femminicidi la Cassano l’attribuisce anche alla questione culturale e sociale, pur se veritiera, ma non sufficiente per comprendere e debellare appieno la mattanza delle donne. Pur condividendo questa affermazione cosa c’entra la cultura se un magistrato a fronte di audio, video, minacce, messaggi, certificati del pronto soccorso, lividi, testimonianze archivia le denunce e imputa la vittime anche per calunnia, oppure formula richieste di rinvio a giudizio nelle quali viene anche dichiarato un falso oggettivo? Ci troviamo, forse, di fronte ad una volontà di proteggere un potenziale femminicida? Un soggetto alterato da disturbi del comportamento e del pensiero (che poi potrebbe uccidere) è talvolta utile anche in ambito civile. Se il soggetto violento fosse fermato in ambito penale, non attiverebbe tutti quei procedimenti civili nei quali vengono nominate una quantità di figure istituzionali (avvocati, Ctu, Ctp, tutori, curatori, educatori, cooperative private, case famiglia, assistenti sociali, etc.) che incassano laute parcelle per anni ed anni, a volte da quando il bambino (per esempio nelle separazioni e divorzi) ha pochi anni fino al compimento del 18esimo anno. Neppure le conciliazioni proposte possono far terminare anni ed anni di cause semplicemente perché si arresterebbe questo sistema corruttivo messo abilmente in piedi, non per il “superiore interesse del minore”, ma delle proprie tasche. Ed ancora prove ne sono anche le recenti commissioni d’inchiesta (hanno potere ispettivo) in particolare la “Commissione d’inchiesta sul femminicidio nonché su altre forme di violenze di genere” al Senato e la “Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono minori” alla Camera dei Deputati che oltre ad aver accertato genericamente che esiste un certo sistema che tutela il soggetto violento, che la donna che ha avuto il coraggio di denunciare sprofonda nella violenza istituzionale ed addirittura verrà allontanata dal proprio figlio con metodi violenti (vedi relazione ”la vittimizzazione secondaria delle donne che subiscono violenza e dei loro figli nei procedimenti che disciplinano l’affidamento e la responsabilità genitoriale”) non ha fornito una fattiva soluzione del fenomeno. I fatti sono stati accertati, nomi e cognomi di ogni figura istituzionale è agli atti, come pure documenti, sentenze, relazioni, audio, video delle violenze specialmente sui bambini sono accertati e ben evidenziati, ed allora come mai non si è agito per fermare tale sistema, per impedire che certi “soggetti” (nomi e cognomi con qualifica professionale ben evidente) potessero ancora agire commettendo dei reati? Accertare e documentare che esiste questo sistema che non protegge le donne vittime di ogni forma di violenza forse abbiamo iniziati a conoscerlo tutti, ma resta la domanda sul perché non si agito, attesi i dati emersi che sono rimasti sotto assordante silenzio, come pure i documenti probanti sono secretati, senza possibilità di acquisirli per una più adeguata difesa della vittima. Perché c’è la volontà di non far difendere la donna ed impedire che venga accoltellata, sfregiata, soffocata, fatta a pezzi dal femminicida che ha lasciato una scia di reati spia ben visibili?
Allontanare un figlio soprattutto dalle mamme con metodi violenti, è stato bollato dalla Cassazione (ordinanza n. 9691/22) come “misura non conforme allo Stato di diritto” ed allora, come mai, secondo legge, non sono stati trasmessi i fascicoli da cui risultavano evidenti condotte di rilievo penale alle varie Procure, come pure non sono stati presentati esposti ai vari ordini professionali? Bella domanda, ma si continua a chiacchierare alle conferenze stampa (utili solo quanto sono onesti professionisti a presentarle) posizionare panchine rosse, ascoltare sviolinate da “terzi”, commemorare le vittime, denunciare che i femminicidi “si possono evitare”. Si, certo, ma perché chi ha l’obbligo di intervenire non interviene?
“È altrettanto indubbio – continua la Cassano – , però, che un forte impegno della Polizia giudiziaria e della Magistratura non è sufficiente e che esso deve essere preceduto dalla prevenzione culturale e sociale e da iniziative di ampio respiro che coinvolgano non solo la famiglia e la scuola, ma l’intera collettività e siano in grado di incidere sulle cause generali di questa drammatica involuzione delle relazioni interpersonali, in cui sulla dimensione affettiva prevalgono tragicamente l’idea del possesso e del predominio sulla donna e il disconoscimento dell’uguaglianza di genere”, afferma ancora il Primo Presidente Cassano.
“Occorre, inoltre, promuovere l’indipendenza economica delle donne, in quanto non può esservi libertà di denuncia senza la libertà dai bisogni primari” continua la Prima Presidente. Una affermazione del tutto corretta ed auspicabile, ma purtroppo molte realtà vedono donne indebitate fino a perdere proprietà, averi, disponibilità economiche, perdere i figli a seguito di un sistema che lo permette nella totale violazione di legge, e persino condannate ad ingenti spese processuali. Neppure riescono a percepire il “reddito di libertà” atteso che per riscuoterlo ci dovrebbe essere un “soggetto” che accerti e documenti che la donna è vittima ed il maltrattante è il carnefice. Purtroppo, nella realtà di molti tribunali e “dintorni” le vittime vere (donne e figli) vengono perseguitate come fossero carnefici assieme ai propri figli, mentre i vari carnefici (se non hanno ancora commesso femminicidi e figlicidi) vengono tutelati nel civile e penale, aumentando così la loro posizione di violenza, sentendosi “autorizzati” e protetti da quella parte delle Istituzioni che mai vorremmo vedere.
Da sottolineare che anche in occasione del voto alla Camera nella scorsa legislatura (su iniziativa della deputata Veronica Giannone, FI) è stata avanzata una proposta di istituire un fondo alle donne vittima di violenza e la risposta unanime dei parlamentari è stata un bel NO. Ed allora, le parole proferite restano tali senza che abbiano effetti determinati nella vera tutela della donna vittima di violenza. E’ ovvio, che non è rivolto a coloro che operano nella trasparenza, nella dedizione, nella professionalità, nell’aiuto concreto e disinteressato all’aiuto delle vittime.
“Il contrasto alla violenza di genere ha registrato risultati positivi grazie agli interventi del Legislatore ed all’azione della magistratura, ma resta insoddisfacente. Sono necessari adeguati interventi su piani ulteriori e diversi da quello repressivo, nella consapevolezza che la parità di genere non riguarda solo garanzia e tutela dei diritti in una dimensione individuale, pure importanti, ma è questione più grande, strategica per la realizzazione dello Stato di diritto e la sua lesione, anche se non di rilievo penale, lo indebolisce e mette a rischio la democrazia” afferma il Procuratore Generale di Corte di cassazione Luigi Salvato.
Il Ministro della Giustizia Carlo Nordio
Nordio si sofferma sull’attuazione del Piano Nazionale di riprese a Resilienza, “un’opportunità unica, che il nostro Paese ha finora colto puntualmente, non solo per onorare gli accordi con l’Europa, ma ancor di più per assolvere alle nostre responsabilità verso i cittadini, proseguendo in quel profondo processo riformatore”. Ed ancora interviene sugli effetti dell’abbattimento dell’arretrato, la riduzione dei tempi di definizione dei processi, concorsi, nuove risorse, persone private della libertà, ed anche “più personale, dunque, ma anche mezzi più adeguati. Tra questi campeggia la digitalizzazione, che malgrado le difficoltà della transizione, sarà attuata con risorse ordinarie e straordinarie”.
Continua il ministro della Giustizia affermando che “in questa fase di rinnovamento, siamo convinti che l’elemento più significativo sia una nuova cultura che chiamerei della conciliazione: per questo puntiamo sulle varie forme di mediazione, in ambito civile, e sulla giustizia riparativa, in ambito penale.
Dopo un anno caratterizzato da segnali incoraggianti e dialoghi costruttivi, si apre dunque un 2024 decisivo, in cui ben solida in tutti deve essere la consapevolezza della responsabilità che abbiamo verso le future generazioni: un obiettivo superiore, che muove gli sforzi di ciascuno di noi, per i diritti dei singoli e nell’interesse dell’intero Paese. La giustizia positiva non coincide sempre con l’equità”, affermazione che rappresenta la realtà.
Il Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, l’avvocato Fabio Pinelli.
“Parleremo poco e lavoreremo tanto, dovranno parlare i fatti”, queste le parole del vicepresidente della Consiglio Superiore della Magistratura, avvocato Fabio Pinelli all’inaugurazione dell’anno giudiziario scorso. Ma da quel 26 gennaio scorso cosa è cambiato, che conseguenze sono scaturite per coloro che hanno contribuito agli errori giudiziari noti e non noti?
Dal 1991 al 2022 i casi di errori giudiziari hanno coinvolto l’incredibile numero di 30mila persone, con una media di mille all’anno. 55 euro per ogni minuto (di errori) escono dalle casse dell’erario per gli indennizzi per errori giudiziari ed ingiusta detenzione.
Vite rubate in “nome del popolo italiano”, ma il popolo italiano proprio non ci sta!
Nel 2022 sono stati 539 i casi di ingiusta detenzione in Italia e 8 quelli di errore giudiziario, con una spesa complessiva per indennizzi e risarcimenti a carico dello stato di 37 milioni 329 mila euro. Sono i dati forniti dall’Associazione errorigiudiziari.com sull’ultimo report pubblicato dai giornalisti e fondatori dell’associazione, Benedetto Lattanzi e Valentino Maimone.
Per non citare i casi più famosi, quali il caso Tortora, il recentissimo caso Zuccheddu (33 anni in carcere da innocente). Chi restituirà gli anni persi, la vita che non hanno potuto vivere, chi pagherà per tutte le sofferenze, i dolori, la privazione della libertà ed autodeterminazione, le ritorsioni, minacce, la gogna mediatica e quant’altro? Proprio nessuno, anzi la vittima innocente e tutto il popolo italiano che sborserà ulteriori importi per rimborsare coloro che sono stati vittime di errori altrui. Siamo in Italia! E per quando è la Corte Europea dei Diritti Umani a sanzionare l’Italia è sempre il cittadino a pagare e mai chi ha disapplicato le normative ed impropriamente utilizzato il proprio potere, commettendo consapevolmente o inconsapevolmente errori giudiziari.
“Invero, l’efficienza – cui, come è noto, il Consiglio Superiore presta la massima attenzione – è un elemento certamente importante, ma non in grado di risolvere in sé il problema della funzione dei magistrati e delle aspettative profonde della collettività”, così Pinelli. Ed ancora “a ben vedere, la non configurabilità di un giudice sottoposto ad altro potere, non determina – per ciò solo – che il giudice trovi la propria legittimazione esclusivamente nella legge e, soprattutto, che in ciò possa ritenersi appagato” afferma Pinelli. Esattamente, ma quando non viene rispettata la normativa cosa succede?
“Il magistrato, – continua Pinelli durante l’intervento all’inaugurazione dell’anno giudiziario – – in effetti, trova il proprio riconoscimento giuridico e sociale nella modalità con cui esercita la propria funzione e, conseguentemente, nel rapporto di fiducia che si instaura con i cittadini. Questo rapporto di fiducia nasce dal rigore con il quale il magistrato esercita la funzione”. Ma quando questo rigore non esiste, cosa accade? “Il Consiglio Superiore della Magistratura è dunque chiamato ad un ruolo centrale e delicato di governo della funzione, anche nella sua dimensione deontologica: proporre un “modello” di magistrato, autonomo e indipendente, calato nella logica dell’efficiente organizzazione degli uffici giudiziari”. Ed ancora “ un Consiglio Superiore vicino nei fatti e sensibile alla dignità del ruolo. I magistrati, va detto, non sono solo servitori dello Stato con doveri professionali e deontologici di particolare pregnanza, ma anche portatori di diritti che concernono le condizioni concrete di esercizio delle funzioni”. Aggiunge “in questo senso, ben può dirsi che il Consiglio Superiore è non solo la “casa” di tutti i magistrati italiani, ma bene comune di tutto il Paese in quanto capace di assumere in sé e tradurre in atti di governo della funzione (deliberati collegialmente con il fecondo confronto delle diverse sensibilità culturali e professionali) le istanze delle collettività in materia di amministrazione della giustizia”; “dunque, un magistrato consapevole del potere che esercita, capace di ascoltare, sensibile alle ricadute della vicenda giudiziaria sulla vita delle persone, conscio del valore della puntualità della risposta giudiziaria. Del magistrato burocrate il cittadino diffida perché ne avverte l’assenza di cura. Si potrebbe dire: è il cittadino il giudice del giudice, non la sua corporazione; è questione di legittimazione, non certo di consenso. Nei magistrati italiani, la passione per il lavoro, la coscienza del valore del diritto, il senso della dignità della funzione fanno ancora premio sull’inadeguatezza delle dotazioni”. “Spetta alla responsabilità di ciascun magistrato mantenere sempre saldo il rapporto di fiducia con il cittadino e far sì che esso non si rompa. Una magistratura aperta al dialogo con le istituzioni e sensibile al rapporto di fiducia con i cittadini, al senso autentico della comunità, non solo custodisce la sua autonomia e indipendenza, ma si apre per operare virtuosamente per l’oggi e, soprattutto, per il domani”. Queste alcune parole del Vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura Pinelli.
Aspetteremo! Alla prossima inaugurazione, sperando che qualcosa cambi.
Di Giada Giunti
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