L’ascesa di Donald Trump a un secondo mandato presidenziale segna un capitolo inedito nella storia della finanza globale.
Il ritorno alla Casa Bianca del controverso leader americano è accompagnato da una dichiarazione di intenti audace e potenzialmente rivoluzionaria: l’adozione di una strategia cripto-monetaria che potrebbe ridefinire il ruolo del dollaro e, di conseguenza, l’assetto geopolitico dell’economia mondiale.
Dopo aver precedentemente bollato le criptovalute come una frode, Trump abbraccia ora una narrativa diametralmente opposta, presentandosi come il “cripto-presidente” deciso a integrare le valute digitali nel cuore del sistema finanziario americano. L’obiettivo dichiarato è quello di rafforzare la leadership monetaria degli Stati Uniti, estendendola oltre il tradizionale dominio del dollaro e includendo, addirittura, una quota di Bitcoin nella riserva monetaria federale. Tale mossa, tuttavia, rischia di rivelarsi un “salto nel buio”, considerata la diffidenza di due terzi degli americani nei confronti di questa nuova forma di ricchezza digitale e le limitazioni legali imposte alla Federal Reserve.
Le ragioni di questa svolta repentina appaiono complesse e multifattoriali. Si intravede una chiara strategia di alleanza con i magnati della Silicon Valley, da Elon Musk in avanti, figure chiave nel panorama cripto, il cui sostegno è fondamentale per il successo della nuova strategia. Tale scelta è dettata non solo da una prospettiva di crescita economica, ma anche da un calcolo più pragmatico: l’attrazione di un consistente elettorato giovane, fortemente impegnato nel settore delle criptovalute.
L’Italia, nel frattempo, affronta un dibattito simile, seppur su una scala minore. L’iniziale proposta di una tassazione del 42% sulle criptovalute, contenuta nella manovra economica, è stata fortunatamente ridimensionata al 26%, una decisione volta a preservare l’attrattività per gli investimenti innovativi. Nonostante il governo italiano miri a promuovere questo settore ancora marginale, l’obiettivo di incrementarne il gettito fiscale è evidente, considerando i modesti 27 milioni di euro raccolti nel 2024 da soli 22.500 contribuenti, a fronte di oltre un milione e trecentomila possessori di criptovalute.
Il quadro si complica ulteriormente se si considerano gli aspetti etici e regolamentativi. L’Italia si trova a dover bilanciare la promozione del settore con la necessità di garantire il rispetto delle normative europee, tracciando accuratamente le transazioni e applicando un’imposta equa. La sfida, quindi, consiste nel creare un ecosistema che favorisca la crescita del settore senza favorire l’emergere di nuove disuguaglianze e l’accumulo incontrollato di ricchezza.
Negli Stati Uniti, la posta in gioco è ben più alta. La vittoria di Trump e la sua successiva strategia cripto hanno già innescato un’impennata del valore del Bitcoin, che ha superato i 100.000 dollari prima di subire una leggera correzione. Un conflitto di interessi di proporzioni ciclopiche, tuttavia, oscura questo scenario apparentemente roseo. Mentre nel 2016 Trump aveva promesso una netta separazione tra i suoi affari e la sua attività presidenziale, ora suo figlio Eric si dedica attivamente alla promozione di World Liberty Financial, una società familiare operante nel settore delle criptovalute. La potenziale influenza del presidente sulle decisioni che riguardano gli affari della sua stessa famiglia è una preoccupazione assai rilevante.
Oltre al conflitto di interessi, si delineano due questioni cruciali con profonde implicazioni economiche e socio-politiche. La prima concerne l’entità dell’intervento governativo nel settore monetario. La nomina di funzionari a favore delle criptovalute all’interno di enti regolatori quali la SEC e la FTC, solleva seri dubbi sull’obiettività del processo decisionale. La seconda questione riguarda il potenziale sfruttamento dell’ondata di anti-istituzionalismo che permea l’America, una strategia che Trump ha già impiegato per screditare la stampa, le istituzioni e il sistema giudiziario. L’applicazione di una visione “relativista” dei fatti alla sfera monetaria, alimentata da una narrazione che mette in discussione l’affidabilità stessa delle banche centrali, costituisce un pericolo considerevole per la stabilità finanziaria globale. L’avvento del “cripto-presidente” apre così un nuovo capitolo incerto, ricco di potenzialità ma anche di rischi in un contesto geopolitico già complesso e in continua evoluzione.