Il prossimo cambio di guardia alla Casa Bianca, salutato da Trump come un ritorno alla grandezza americana in un mondo multipolare scosso da guerre, crisi climatiche e pandemie, dovrebbe suonare come un campanello d’allarme anche per l’Europa.
Per almeno vent’anni, infatti, il divario di produttività e crescita tra le due sponde dell’Atlantico si è allargato inesorabilmente. Dal 2000, gli Stati Uniti hanno registrato una crescita del reddito disponibile reale pro capite doppia rispetto all’Europa, un dato che non può essere ignorato.
Il Rapporto Draghi dello scorso settembre, a cui purtroppo si è dedicata scarsa attenzione, lancia un monito chiaro e fermo a tutti gli stakeholder europei: la sfida per la competitività del Vecchio Continente è ardua, ma non impossibile. L’Europa, con i suoi 440 milioni di consumatori e 23 milioni di imprese, genera quasi il 20% del PIL globale (contro il 17% della Cina e il 24% degli Stati Uniti, dati Banca Mondiale), vanta un’aspettativa di vita elevata, bassi tassi di mortalità infantile e una minore disuguaglianza rispetto ad altre potenze globali. Tuttavia, questo non basta.
Il Rapporto individua tre aree cruciali su cui intervenire:
**1. Il divario nell’innovazione:** Solo un terzo dei brevetti registrati da università e istituzioni di ricerca europee trova applicazione commerciale. La scarsità di fondi di venture capital rappresenta un collo di bottiglia critico, impedendo la trasformazione di “inventori” in “innovatori”. L’Europa pesa solo per il 5% nell’impiego globale di questi fondi, contro il 52% degli USA e il 40% della Cina. L’eccessiva burocrazia rappresenta un ulteriore ostacolo, rallentando la partecipazione a progetti strategici come gli IPCEI. La debolezza nel dominio delle tecnologie emergenti, come l’High Performance Computing, fondamentale per lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale e del Cloud Computing, aggrava ulteriormente la situazione. Il budget del Fondo europeo di Ricerca e Innovazione, pur considerevole (100 miliardi di euro), risulta frammentato e poco focalizzato sulle tecnologie dirompenti. Su 50 gruppi mondiali leader nelle tecnologie più avanzate, solo 4 sono europei, palesando una grave sottodimensionamento rispetto alla concorrenza globale, come dimostra il settore delle telecomunicazioni.
**2. La programmazione delle risorse umane:** I test PISA evidenziano un calo degli standard europei rispetto a quelli asiatici. L’Europa soffre di un cronico mismatch tra domanda e offerta di competenze, sottoutilizzando le piattaforme di “skills intelligence” per una mappatura granulare della domanda di lavoro a livello di paese, fascia d’età e qualifiche, compreso il recupero formativo degli adulti.
**3. La decarbonizzazione e la competitività:** L’Europa, pur essendo leader nelle tecnologie pulite essenziali per la transizione energetica, mostra una debolezza nell’innovazione digitale. Il Rapporto sottolinea la necessità di una pianificazione strategica a lungo termine, un termine forse desueto, ma indispensabile per governare gli investimenti in infrastrutture energetiche e di trasporto, evitando errori del passato e garantendo la competitività futura.
In conclusione, l’Europa si trova a un bivio. Il rischio di un lento declino è reale, ma la possibilità di una rinascita, attraverso un’azione decisa e concertata, è ancora possibile. La sfida richiede un cambio di passo radicale, un investimento massiccio nell’innovazione, una riforma del sistema educativo e formativo, e una pianificazione strategica lungimirante. Il tempo per agire è ora.