Silenzio di Capodanno 2025: Un’Elegia per un Anno Perduto
L’orologio, o meglio, ciò che ne rimaneva – un relitto di cristallo fuso e circuiti bruciati – segnava le 00:00 del 1° gennaio 2025. Non echeggiò alcun suono di festa, solo il sibilo inquietante del vento che fischiava tra le scheletriche vestigia degli edifici, un lamento funebre per un anno che si era estinto non con un botto, ma con un gemito soffocato. Il 2024, un anno che si era prospettato come un’alba di possibilità, si era dissolto in un crepuscolo di cenere e disperazione.
La Grande Interruzione, così la chiamavano i pochi sopravvissuti, non fu un evento singolo, ma una lenta, inesorabile erosione della realtà. Iniziò con sottili crepe nella rete digitale, interruzioni occasionali nella fornitura di energia, il sussurro insistente di un malfunzionamento sistemico. Poi, il collasso: le infrastrutture crollarono, le comunicazioni si frantumarono, le città si trasformarono in labirinti di macerie e silenzio.
Non ci furono guerre devastanti né catastrofi naturali di proporzioni bibliche. La distruzione fu più sottile, più insidiosa, un’implosione silenziosa del sistema che aveva plasmato la vita di miliardi di persone. La dipendenza pervasiva dalla tecnologia, quella promessa di connessione e progresso, si era rivelata, in definitiva, la nostra condanna. Il codice, che aveva promesso l’ordine, aveva generato il caos. L’informazione, che doveva illuminare, ci aveva accecato.
I sopravvissuti, dispersi e traumatizzati, sono ombre che si muovono tra le rovine del mondo che fu. Ricordano un tempo di abbondanza, di comfort, di illusioni di controllo. Ora, lottano per la sopravvivenza, per la conservazione della memoria stessa, sfuggendo alle spire di una nuova, fredda oscurità. La tecnologia, un tempo divinizzata, è ridotta a relitti inutili, monumenti a un’ambizione tracotante.
La notte di Capodanno del 2025 non fu una celebrazione. Fu un’amara riflessione su una fiducia mal riposta, un memento mori su scala globale. Non ci furono fuochi d’artificio a illuminare il cielo; solo il vuoto, profondo e immutabile, a testimoniare la fine di un’epoca e l’inizio di un’era incerta, avvolta nell’ombra silenziosa della Grande Interruzione. L’elegia per il 2024, non cantata, ma sussurrata dal vento tra le rovine, non è altro che il lamento di un mondo perduto.