PASSIONE ETNICA
Negli ultimi anni è cresciuto a dismisura il numero di italiani che, per piacere, per svago o per gola consumano piatti di origine straniera. Secondo le statistiche infatti le pietanze extra confine ad essere più amate dagli abitanti del Belpaese sono: il sushi, di origine giapponese, il poke hawaiano (scritto in italiano poké) e l’arabo kebab.
Da un lato non bisognerebbe esser sorpresi da questo dato statistico in netta crescita, essendo ormai l’Italia ( e più largamente l’Europa) all’interno di un contesto fortemente globalizzato, dove è molto più semplice rispetto al passato l’accesso alle culture altrui.
Tuttavia, in un continente e in un paese che hanno fatto delle radici il loro punto di forza, cosi difficili da sradicare nonostante i continui tentativi della storia, può apparire fortemente singolare l’eccessiva abitudine di mangiare piatti di origine estera, soprattutto quando a farne le spese sono le nostre storiche ricette locali, ormai sempre più difficili da tramandare.
L’AMATA (FORSE INCOMPRENSIBILMENTE) TRIADE
Il sushi è al primo posto delle preferenze degli italiani. Nato in origine come modo per conservare il pesce in assenza di frigoriferi, comincia a spopolare in Europa a partire dagli anni ’70. Dal 2000 ad oggi, in Italia, si sono quintuplicati i ristoranti asiatici specializzati nella pietanza ; l’inevitabile risposta all’alta richiesta dei nostri cittadini che, quasi ipnotizzati da quella miscela di riso, wasabi, salsa di soia e pesce non ne disdegnano affatto il consumo almeno una volta al mese.
Per non parlare del Poké, piatto hawaiano il cui significato letterale è “tagliare a pezzi”, servito crudo marinato anch’esso in insalata con verdure e altri cereali. Nell’ultimo quinquennio nei centri commerciali italiani sono stati introdotti molti locali ad uso dei numerosi fruitori. E il kebab? Un classico mediorientale, principalmente manzo o montone, prodotto e strutturato in un grosso cilindro di carne speziata, arrostito con la tipica tecnica tramandata nei secoli.
IL PROBLEMA
L’abitudinario consumo di queste pietanze ha portato soprattutto nei giovani ad una totale dimenticanza nei confronti delle nostre storiche ricette. Diviene sempre più facile, sin dalle più tenere fasce d’età, uscire in comitiva e consumare uno di questi piatti che imparare le nostre tradizioni. Qual è il risultato? La totale ignoranza, mista a incomprensibile disinteresse verso la nostra storia. Molti ragazzi infatti, conoscono perfettamente il variegato mondo delle bacchette nipponiche, sapendosi benissimo districare tra uramaki, nigiri ed hosomaki, per poi rimanere interdetti se gli viene domandato cosa siano riso e indivia (dimenticata minestra romana), l’insalata di nervetti milanese o il sciuscieddu siciliano. E magari le stesse persone, cosi allibite nell’ascoltare questi nomi, sono le stesse che si vantano di conoscere una banale carbonara, una lapalissiana cotoletta o un semplice cannolo.
Inevitabile la speranza che il nostro paese, anche enogastronomicamente, possa ritornare a tramandare tutto quello che nei secoli ha generato: tripudi enologici riconosciuti e migliaia di storiche ricette locali, in modo che ogni generazione futura possa aver più dimestichezza col mattarello o con una puntarella piuttosto che esser indeciso nella scelta della salsa da inserire in un kebab.