La fiction della rinata Rai ha battezzato l’incontro del poeta dell’infinito con il grande pubblico per poter apprezzare il vissuto tradimento che il bambino poeta dell’infinito porge all’Ente trascendente.
L’irripetibile espressione del critico esonda, ignorando l’approfondire della purezza della sofferenza lontana dalle miserie dei luoghi comuni e dall’abitudinario ripetersi dell’esistenza umana. La poesia supera ogni sapere, domina l’esistenza del genere umano; è essenza pura, non conosce i limiti dell’intelletto, i confini dell’intelligenza, è spirito che abita l’infinito, la dimensione del Sacro.
Ragionamenti, concettualizzazioni, logiche, ideologie progressiste, programmi rivoluzionari, cadute e rinascite, restano astratti furori, aria inquinata, assenza di ossigeno, il nulla. La poesia di Leopardi supera il limite dell’umano, dà corpo all’anima immortale ed eterna che viaggia verso lontani universi, profondità inesplorate cercando l’origine.
L’educazione all’esistenza non si può impartire dall’esterno, nasce da dentro attimo dopo attimo, giorno dopo giorno. Si forma un sentire che altro non è che emozione, l’energia vitale che abita lo Spirito, quel calore solare che consente l’esistere; è la stessa luce dell’alba che fugge nella notte. La paura del domani segna l’agire indistinto per allontanare il tempo della morte, ma è una impresa disperata per la regola ferrea della potenza gigantesca del destino.
L’altro non c’è, è lo stesso io che si scinde e diventa io e l’altro da te, ma un unico appunto, un io. Così la scissione dell’atomo in due nuclei più leggeri, ma è pur sempre un atomo diviso in due.
La messa in onda di due giornate della fiction ha suscitato qualche incauta critica, ma proficua per esaltare maggiormente un’opera da magia creativa che ha l’encomiabile merito di aver consentito al molteplice di appropriarsi di ciò che è esclusivo del singolo. La traduzione di una lingua misteriosa per solitari ricercatori offerta ad ignare moltitudini desiderose di conoscere ciò che non si può.
Se l’inno di Leopardi è rivolto alla solitudine dell’essere umano, se ha cantato la disperazione dell’esistere di ogni singolo che si trova solo, abbandonato anche da un divino amore, allora Giacomo Leopardi è riuscito a sublimare l’assenza dell’altro e si è rivolto all’intera umanità del passato, del presente e del futuro.
All’età di diciotto anni si libera del fardello dei gesuiti suoi precettori, l’autodidatta Giacomo Leopardi spicca il volo. La ragione può conoscere le cose della natura, ma la conoscenza dell’essere è virtù solo della poesia; quella di Leopardi incontra lo Spirito universale, l’inconoscibile. Rende giustizia all’essere umano che esplora se stesso in ragione del fatto che non è data esimente all’incontro con la morte. L’attesa non ha corpo né anima, è il niente; non ha fratelli, compagni, amici, amori, è semplicemente il niente.
Leopardi è giustamente inerte nei confronti della “Patria”, una pura astrazione. La Patria reale sono gli uomini che abitano quei territori e non sono degni di rispetto. Gente nata per battere le mani ai vincitori.
Leopardi pone la necessità di usare una lingua nuova, una lingua che possa esprimere l’essere, l’esistenza nella sua inevitabile tragicità. Non si tratta di pessimismo, ma di dolore esistenziale. La lirica non è consolatoria, semplicemente è. Leopardi il poeta della vitalità del piacere, del tentativo di evitare la desertificazione del tutto, della spinta ad abbattere ogni improbabile gerarchia che rende i sentimenti piatti al punto di diventare il nulla.
La bellezza ci spinge dove l’uomo non può salire, ma è il segno che la morte ci appartiene senza restituire la paura. Il vento appare l’amico migliore, quello che ci tradisce appena soffia e non si sa da dove.
Di Carlo Priolo
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