Carlo Priolo scrive da molti anni senza scopo di lucro per il quotidiano Paese Roma su temi di eminentissimo contenuto sociale e politico. E’ giornalista professionista, ma esercita la professione di avvocato (iscritto all’Albo degli avvocati dell’Ordine di Roma) per cui risulta iscritto nell’elenco dei pubblicisti dell’Ordine interregionale Lazio e Molise dei giornalisti. Oltre avvocato, Carlo Priolo è economista, sociologo, epistemologo.
Titoli di studio, accademici e professionali: laurea in Economia e commercio; laurea in Giurisprudenza; laurea in Sociologia, con 2 tesi: “Burocrazia” e “Psicosomatica” votazione 110 e lode. Titoli tutti conseguiti all’Università “La Sapienza” di Roma. Diploma di lingua inglese British School. Vincitore al 1° posto del dottorato di ricerca “teoria e tecnica della ricerca sociale – studi di epistemologia” presso l’Università degli Studi di Roma (primo classificato). Abilitato alla professione di Dottore Commercialista. Oltre a numerosi attestati su vari temi tra cui: “Attestato di comunicazione pubblica e diritto dell’informazione” (votazione eccellente).
Direttore responsabile delle riviste “Le Verità Altre” – “Orizzonti Forensi” -“Punto Azzurro”. Già opinionista del quotidiano L’Opinione. Attualmente nella redazione di PAESEROMA.
Ha scritto più di 300 articoli sul fenomeno del femminicidio, oltre a 20 libri dei quali solo pochi pubblicati.
Questa la comunicazione per la candidatura all’Ordine regionale del Lazio dei giornalisti:
Non è vana gloria, un vanto privo di galateo, ma si tratta di elementi oggettivi ancorati a situazioni anagrafiche, di luoghi e di tempi passati, una serie di variabili oggettive, tra cui nato nel 1939 e vissuta la seconda guerra mondiale, la Resistenza (mio padre Mario attestato rilasciato da H.R. Alexander Fild Marshal Supreme Allied Commander, Mediterranean Theatre), la ricostruzione e il miralo economico, che consentono di poter sostenere di essere tra i pochi che possano consegnare giustizia e verità a tutti i giornalisti italiani, i quali per un dato incontrovertibile appartengono a testate il cui proprietario non risulta essere un editore puro, salvo alcuni giornali costituiti da cooperative di giornalisti. Ne consegue che inevitabilmente le esigenze commerciali “comprensibili” di tali editori determinano delle criticità sulla autonomia e indipendenza dei giornalisti che devono conciliare il diritto al posto di lavoro con le esigenze della informazione per veicolare notizie quanto più possibile certe al popolo sovrano.
Ma i giornalisti sono il quarto potere e ciò esige che per essere il quarto potere comporta la necessità di essere autonomo e indipendente dagli altri tre poteri: legislativo, esecutivo e il potere della magistratura. La locuzione quarto potere si riferisce, in sociologia, alla funzione dei mezzi di comunicazione di massa, come strumenti della vita democratica, che notoriamente si basa su tre poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario. I mezzi di comunicazione di massa, infatti, informano la collettività sui comportamenti del Governo, del Parlamento e del Corpo della magistratura, in generale, sugli atti dei rappresentanti del popolo eletti nelle Istituzioni, ossia mettono al corrente il popolo di come operano gli altri tre poteri della Repubblica nella forma democratica.
L’espressione è nata in Inghilterra: nel 1787, durante una seduta della Camera dei Comuni del Parlamento inglese, il deputato Edmund Burke esclamò rivolgendosi ai cronisti parlamentari seduti nella tribuna riservata alla stampa: “Voi siete il quarto potere!”
E’ certo, in ogni caso, che, proprio per le difficoltà dovute alla esigenza della velocità della notizia da veicolare, il giornalista non può non avere talento e una vasta e salda conoscenza di molti saperi, che sono essenziali per tradurre nell’immediato l’evento, il fatto di cronaca. Ma forse il giornalista non dovrebbe farsi coinvolgere in quelle c.d. trasmissioni di approfondimento dove esperti qualificati e professori di varie materie si avventurano nell’impossibile compito di sintetizzare dottrine difficili al volgo e all’inclita guarnigione.
Nel XX secolo, l’enorme diffusione della televisione, che è diventata la principale fonte di informazione per i cittadini dei paesi democratici, ha fatto sì che essa soppiantasse la stampa come principale medium attraverso il quale si forma la pubblica opinione. Inoltre, nello stesso periodo hanno preso piede interpretazioni negative del ruolo dei mass media nella società.
In uno Stato democratico, i mezzi d’informazione garantiscono la pubblicità della vita politica: «In un Paese libero, ogni uomo pensa di avere interesse a tutte le questioni pubbliche, di avere il diritto di formarsi e manifestare un’opinione su di esse». L’Inghilterra del XVIII secolo fu il primo Paese in cui apparve chiaro il ruolo della stampa come strumento essenziale per la formazione dell’opinione pubblica. Secondo l’interpretazione di Burke del suo ruolo, la stampa esercita la sua importante funzione se rimane nettamente separata dagli altri tre poteri costitutivi dello Stato.
I rischi principali per la democrazia in seguito ad un uso improprio di questo potere, sono costituiti dal controllo politico dei mezzi di informazione e dall’accentramento di essi nelle mani di un ristretto gruppo di persone (solitamente grandi aziende). In questi due casi, infatti, considerando che coloro che controllano i media tendono in genere a “filtrare” le informazioni che sono in contrasto con i propri interessi, si avrebbe una mancanza di pluralismo, e si ostacolerebbe quindi la possibilità dei cittadini-elettori di formarsi delle “opinioni informate” e di attuare delle “scelte informate”.
Si può rendere il quarto potere separato dagli altri tre poteri costitutivi dello Stato? Sì, ma la attuazione è complicata e sarà il tema della mia campagna elettorale. Non è molto importante chi saranno i componenti del Consiglio regionale, ma cosa vorranno realizzare. Lo diciamo con il massimo rispetto per le persone fisiche, ma non risulta che si sia agito in funzione del cammino per l’autonomia del quarto potere; ne consegue la necessità di una radicale sostituzione di coloro che hanno già operato senza successo. La regola del gattopardo per i giornalisti non vale.
L’esigenza della “velocità” spinge ognuno a tuonare un proprio frammento di verità senza capire che la “verità” è l’intero, il tutto, la relazione della parte con l’infinito (Hegel).