Il microcosmo di una stazione dei carabinieri nella Sicilia del 1992 (anno della strage di Capaci) si delinea a poco, a poco, nella sua divertente assurdità. Protagonista assoluto sembra essere il nulla e l’uomo nel suo “essere per il nulla”. L’assenza dello Stato, che è sostituito da un altro “Stato” assente anche questo in apparenza ma presente nella realtà e opprimente come l’afa siciliana, tanto da fermare le parole sulla bocca di chi pensasse solo di nominarlo. L’assenza degli affetti più cari, della terra d’origine, rende i militari del piccolo avamposto sconosciuti a loro stessi e li colloca in una dimensione di debolezza dove i differenti ruoli tendono a fondersi e confondersi in un mélange di sentimenti tanto credibile quanto incredibile cui la struttura del testo, briosa e piena di brillante dinamismo nelle fluide inflessioni dialettali dei personaggi, rende pieno merito. Affiora a tratti l’acre, selvaggia umanità di chi si sente in trappola e sogna una via di fuga, un diverso orizzonte. Interessante è il contrasto tra quello che i carabinieri evocano e sono in grado di produrre in tema di gag e barzellette e quanto può loro accadere in quanto uomini chiamati a servire il bene comune. Tra le vittime della mafia, non ci sono solo illustri e dotati magistrati, ragazzi idealisti e coraggiosi, uomini comuni: ci sono anche militari che, per una cifra irrisoria, si immolano sull’Altare della Patria e che forse rischierebbero nel tempo di divenire dei militi ignoti se qualcuno, come in questo caso il bravo Antonio Grosso in veste di autore e interprete, non li rammentasse alla memoria collettiva.
Dopo la fatica del vivere e del morire per il nulla, lo strazio della “memoria del nulla” e la disperazione del continuare a riconoscerlo in ogni momento intorno a sé, ognuno a suo modo. L’assenza si somma ad assenze più gravi e si può solo, a denti stretti, accettare la realtà: “Minchia Signor Tenente” diventa l’espressione amara del tentativo estremo di sopravvivere al male che permea la vita di tutti i giorni e che, forse, si dice anche per non arrendersi.
La regia di Nicola Pistoia impreziosisce valorizza le capacità e l’impegno di Daniele Antonini, Gaspare Di Stefano, Alessandra Falanga, Francesco Nannarelli, Antonello Pascale, Francesco Stella, Ariele Vincenti e Natale Russo.
Mentre sfilano le immagini di alcune vittime della mafia, ripensiamo alle parole di Giovani Falcone: “La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine.
Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni.”
Per maggiori info su orari e location http://www.teatrodellacometa.it/
Angelo Sorino