Roma, 7 marzo
“Vieni qui, facciamo festa“. È iniziata così l’ultima serata di Luca Varani. Dall’altra parte del telefono Marco Prato, 30enne organizzatore di eventi che si trovava in compagnia di Manuel Foffo. Erano nell’appartamento di quest’ultimo ed avevano già consumato droga e alcol.
Avevano oltrepassato il limite ma evidentemente per loro era ancora poco. Così la decisione di chiamare l’amico e di allargare il “festino”.
Massima riservatezza, per ora, da parte degli inquirenti. C’è un’ipotesi da verificare dopo l’interrogatorio di Prato, portato al carcere di Regina Coeli, dopo il suo ricovero al Pertini. I carabinieri stanno cercando il movente che ha armato l’assurda furia omicida fino a torturare e alla fine uccidere Luca Varani.
È la notte tra giovedì e venerdì. Foffo e Prato si renderanno conto del fatto solo il mattino seguente, a fumi di alcol e droga evaporati. Ciò nonostante hanno deciso di chiudere la porta di quell’appartamento al decimo piano di via Igino Giordani e di lasciare all’interno quel cadavere seviziato. Hanno continuato a vivere con quel rimorso che via via maturava dentro di loro fino a sfociare nella confessione di Foffo e nel tentativo di farla finita, per Prato.
Manuel Foffo sabato mattina è andato al funerale dello zio, al Gemelli. Raccontano di averlo visto turbato ben oltre il lutto del fratello della madre. Era strano, scuro, evidentemente scosso. Nel pomeriggio la decisione di vuotare il sacco e di raccontare tutto al padre. Insieme, dopo essersi rivolti ad un avvocato, hanno chiamato i carabinieri ai quali hanno aperto la porta mostrando l’orrore compiuto.
Marco Prato, nel frattempo era sparito, aveva spento il cellulare. Il rimorso lo lacerava e, a quanto pare, l’aveva confidato allo stesso Foffo che, tra una confessione e l’altra, ha allertato i carabinieri: “Trovate Marc, quello si ammazza se no“. Gli amici di Prato lo cercavano da ore. Il cellulare sempre spento. Niente, il silenzio. Aveva deciso di rifugiarsi in un hotel di piazza Bologna, architettando di farla finita. I Carabinieri l’hanno fermato appena in tempo, trovandolo grazie alla banca dati degli alberghi. È stato salvato in extremis con una lavanda gastrica: aveva ingerito barbiturici mischiati ad alcool. “Medicine che aveva sempre a portata di mano“, raccontano gli amici, “perché soffriva di insonnia“, aggiungono.
Un ragazzo apparentemente spensierato, aveva studiato Scienze Politiche e si era specializzato in marketing. Viveva tra Roma e Parigi ed ora organizzava eventi con la sua società. Era molto conosciuto nell’ambiente come organizzatore di alcune note serate della movida capitolina.
Foffo, invece, è uno studente fuori corso di Giurisprudenza ed in via Igino Giordani viveva da solo. Sotto, al nono piano, sua madre alla quale era molto affezionato. Tutti lo descrivono come un tipo tranquillo, taciturno, sempre pronto al saluto e alla cortesia. “Invitava spesso amici a casa“, raccontano gli inquilini. “Teneva la musica alta, ma alla fine non dava fastidio“, spiegano. Suo padre, dopo aver gestito un ristorante, era passato al settore delle assicurazioni. Da tutti considerato stimato professionista, si era da qualche tempo separato dalla moglie. “Un fatto questo che aveva spinto Manuel a legarsi ancora di più alla madre“, raccontano gli inquilini del palazzo.
Un figlio della Roma Bene, di quella città che non ha problemi di soldi e che cerca nuove esperienze, spesso oltre il limite. Limite che verrà ricordato come l’omicidio – non ancora accertato – di una notte da sballo.
di Donatella De Stefano