Da Rebibbia al confine Turco-Siriano. Queste parole non sono solo il sottotitolo di Kobane Calling, l’ultima fatica di Zerocalcare, ma sintetizzano perfettamente anche il percorso umano ed artistico intrapreso da colui che può essere definito come uno dei fumettisti italiani più talentuosi degli ultimi anni. Nato ad Arezzo, cresciuto in Francia e poi stabilitosi a Roma (o meglio, a Rebibbia) Michele Rech, questo il suo vero nome, ha pubblicato dal 2011 ad oggi sette libri a fumetti, tutti editi dalla casa editrice milanese Bao Publishing. Kobane Calling è la sua ultima opera, in vendita da pochi mesi e andata a ruba sia nei negozi fisici che in quelli online.
Per un artista come Zerocalcare il mondo del web è fondamentale, è lì che si è presentato al grande pubblico tramite il suo blog ed è sempre lì che riceve il primo feedback ai suoi lavori, sia in termini di vendite che di critica. Le opere con cui ha esordito rispecchiavano fedelmente la struttura del blog, sul quale veniva postata settimanalmente una tavola a fumetti che riprendeva in maniera iperbolica scene di vita quotidiana. Di conseguenza ne La Profezia dell’armadillo, Un polpo alla gola ed in Ogni maledetto lunedì su due, lo schema era fondamentalmente sempre lo stesso: una raccolta di tavole apparentemente indipendenti fra loro, legate da una storia che fungeva da sfondo. Nei libri successivi l’autore dimostra di voler tentare nuove dinamiche narrative, ed ecco che arrivano Dodici e Dimentica il mio nome, nei quali la storia non è più solamente un espediente per unire le varie tavole, ma esce dal fondo del palcoscenico e diventa la vera protagonista dell’opera, sviluppandosi in maniera omogenea. Poi (dopo L’elenco telefonico degli accolli, in cui si torna nuovamente al precedente metodo narrativo) arriva Kobane Calling. E si assiste ad una nuova maturazione artistica di Zerocalcare .
Il libro di cui parliamo è un reportage, o meglio, un diario, in cui vengono narrate le varie tappe dei due viaggi che hanno portato l’autore (e di conseguenza il suo personaggio) nei territori confinanti con l’Isis. Quello che possiamo trovare in quest’opera è fondamentalmente tutto ciò che manca dalle cronache giornalistiche e televisive che da quelle stesse zone vengono fatte ogni giorno dai media. In Kobane Calling non ci sono corpi straziati dalle bombe. Non vengono mostrate le torture messe in atto dai terroristi dello Stato Islamico e la violenza della guerra non viene mostrata direttamente, ma solo suggerita, velata, diventando, in questo modo, ancora più potente. È un libro che parla di persone, della gente che combatte l’Isis tutti i giorni, di coloro che loro malgrado si sono trovati a vivere nei territori controllati dal Califfato, ma anche di chi ha accettato la situazione, traendone tutti i vantaggi possibili. Il lettore si trova faccia a faccia con i singoli, le cui guerre personali si fondono con quella sul territorio.
Fortissima è la funzione esplicativa di questo reportage, in cui vengono resi chiari i giochi di potere, la situazione geopolitica, i modi in cui viene condotta la resistenza contro l’esercito di terroristi, senza però rinunciare mai alla
cifra stilistica per eccellenza delle opere precedenti: quell’ironia di cui, qui, vengono parzialmente modificate le modalità e gli obiettivi principali. In questo caso l’umorismo non è lasciato a sé stesso, in un continuo succedersi di battute, ma si propaga lentamente per tutta la durata dell’opera, è più amaro, riflessivo, e spesso, per riprendere una celebre frase di Nanni Moretti, lo si nota di più quando non è presente. Quando vengono narrate le tragedie personali delle moltissime persone incontrate dall’autore, il loro modo di vivere, il loro confrontarsi con la realtà, l’ironia è messa da parte, torna sullo sfondo, lasciando lo spazio alla riflessione ed alla commozione che si provano quando noi lettori ne veniamo messi al corrente. Non a caso una delle figure principali delle precedenti opere di Zerocalcare, l’Armadillo, voce della coscienza e “spalla comica”, qui viene quasi completamente messa da parte. Il personaggio è solo, senza il suo personale grillo parlante al seguito, ed è in questo modo che si confronta ancora più duramente con la realtà, parlando senza filtri con i cittadini, i guerriglieri, le autorità istituzionali che vivono in quei luoghi dove ormai la guerra e la paura sono diventate quotidianità. Conosciamo così Necim, un curdo descritto inizialmente come un ometto innocuo e gentile, scoprendo poi che è dovuto fuggire dalla Turchia dopo essere stato arrestato, torturato e gettato in una fossa comune. Viene raccontata la storia di Ezel, 25 anni, la guida di Zerocalcare e dei suoi compagni di viaggio, sempre allegra e disponibile, costretta a vivere in Italia perchè condannata a 22 anni di carcere in Turchia dopo aver partecipato, quand’era tredicenne, ad una manifestazione per i diritti civili. Uomini e donne costrette a fuggire dalle loro case, dalle loro terre per non essere uccisi, costretti a guardare ora i militanti dell’Isis utilizzare le loro vecchie abitazioni come basi strategiche. Persone di tutte le età che combattono giorno dopo giorno per cercare di riprendersi ciò che è loro di diritto, con la consapevolezza che un ritorno alla normalità, seppure adesso appaia lontanissimo, è possibile, e raggiungibile solamente continuando a percorrere la strada intrapresa con l’incredibile forza di volontà che dimostrano ogni giorno.
In questo libro Zerocalcare dimostra ancora una volta una rara sensibilità, spiegando al lettore tematiche tanto importanti quanto delicate per il nostro tempo, inserendosi in quel percorso tracciato dalle grandi opere di reportage a fumetti del passato, come ad esempio Palestina di Joe Sacco e, in maniera differente, Persepolis di Marjane Satrapi. Ma se dovessimo dirlo a lui probabilmente ci guarderebbe come se fossimo pazzi.
Andrea Ardone