Eppure, nel video di un minuto caricato dal Ministro degli Interni non mancava nulla: il bobkat che corre verso il primo nucleo di baracche e il braccio meccanico che stritola nella morsa vecchi materassi, teli di nylon e utensili. Degli “abitanti” del Baobab, alle 6 di pomeriggio – quando lo smantellamento è giunto a termine – non sembrava esserci più alcuna traccia. È iniziata qui, dal presidio di Piazzale Maslax, nei pressi della stazione Tiburtina, la maxi-operazione di sgomberi messa in atto dal Viminale per combattere degrado e illegalità: “Continueremo in tutta Italia, seguendo criteri oggettivi. Non ci fermeremo: intendiamo passare dalle parole ai fatti” ha twittato Matteo Salvini.
Proprio i fatti, a una settimana di distanza, portano testimonianza di un’emergenza non domata, nonostante ruspe e pugni di ferro. Notizia dell’ultima ora è lo sgombero, sempre a Tiburtina – di 50 migranti alloggiati in tre tende. “Si tratta” – ha spiegato il coordinatore di Baobab Experience Andrea Costa – “degli stessi rimasti senza accoglienza a seguito dell’intervento del 13 novembre scorso”. In un primo momento si è parlato di 150 persone trovate nel presidio, di cui 120 portate nello stesso giorno all’ufficio immigrazione perché non richiedenti asilo e prive dei regolari documenti di riconoscimento. Gran parte – c’è da dire – nelle ore successive rilasciate e accolte dalle strutture messe a disposizione dal Comune di Roma. Giovanna Cavallo, la responsabile legale, nel corso della conferenza tenuta da Baobab, ha voluto chiarire alla stampa: “I 24 senza un regolare documento lo sono perché scaduto o da chiedere in quanto richiedenti asilo. Le situazioni giuridiche che abbiamo riscontrato sono di protezione internazionale, il restante di protezione umanitaria. Smentiamo altre voci”.
Prima ancora del tifo di parte per il “Salvini – Creonte” di turno che contesta un’occupazione illecita di suolo pubblico e i “volontari – Antigone” che rivendicano sempre e comunque la legge superiore della solidarietà e diritti umani, emerge il vuoto di politiche nazionali ed europee in tema di immigrazione e accoglienza che oggi il paese si trova a scontare. “Non tutti i 22 sgomberi subiti sono stati effettuati quando al governo c’era Salvini o la sindacata Raggi. C’è un filo che lega le politiche di immigrazione di questo governo con quelli precedenti, sebbene con Salvini ci sia stato un salto di qualità. Basti pensare che la legge che disciplina l’immigrazione si chiama Bossi-Fini” spiega Andrea Costa, che ringraziando il Comune di Roma per il ricollocamento di molti migranti, è tornato a chiedersi “perché ogni volta che i volontari chiamano il Dipartimento Sociale del servizio operativo “per dire che sono arrivate tre donne o due minori, il posto non si trovi mai.”
La stessa responsabile legale nega che ci sia stato mai tra Baobab Experience e il comune un tavolo per tracciare un punto sulla situazione d’urgenza. I maggiori Centri del circuito ordinario di Roma Capitale prevedono tempi di accoglienza ridotta, alcuni persino di 15 o 24 ore e disponibili solo per dormire: l’emergenza è destinata a ripresentarsi presto o tardi, ancora più tangibile e dolorosa. In realtà un primo passo è stato avanzato dalla Giunta Capitolina: lo stanziamento di 300 000 euro per la creazione di un info point intorno alla stazione Tiburtina entro aprile 2019 in previsione della creazione di uno sportello su permessi di soggiorno, richiedenti asilo e circuiti di accoglienza in città.
Ma ora il numero di immigrati a Roma, alla ricerca di informazioni e senza un punto di riferimento a cui rivolgersi, non si arresta: “il presidio del Baobab” – ha spiegato la Cavallo – “ha dato orientamento e aiuto a persone che altrimenti non avrebbero trovato alcuna cittadinanza nelle politiche di inclusione. Sgomberare il Baobab vuol dire nascondere la polvere sotto al tappeto”. Uno dei granelli di questa polvere è Sidibe, ragazzo del Mali, giunto in Italia nel 2001 e con i documenti in regola. Anche lui spera che si trovi un posto per lui perché la notte è dura, e senza tende e con il freddo, sembra interminabile. Ma la politica non guarda in faccia neppure i più deboli.
In tale ottica, molti hanno notato come il piano di sgomberi cada in coincidenza di un momento di relativo calo del consenso elettorale del governo. Gesti clamorosi che distraggono l’attenzione e attirano gli applausi del popolo sono il rimedio escogitato da molti passati esecutivi e non solo. Ne sa qualcosa anche Veltroni che nel 2007 intensificò il piano di sgomberi in un momento critico della sua giunta. E chi tace – come il PD che viaggia con i piedi su due staffe parallele, tra “solidarismo hic et nunc” e “aiutiamoli a casa loro” – con il suo silenzio oltre ad acconsentire, riconferma il distacco dalle istanze della base sociale.
Ma in contraddizione con il nome del suo decreto cade anche il ministro Salvini che abbatte – secondo legge – un presidio abusivo ma recintato e sottoposto a censimento – per lasciare persone senza un tetto, più facilmente preda di malanni e attività criminose, alla ricerca di un accampamento di fortuna altrove. Un’azione giuridicamente corretta ma emotivamente scorretta che innesta a suon di ruspa, un sentimento di rancore verso lo Stato e mina ogni percorso di futura integrazione. Poco conta risolvere i problemi quando, nella “Repubblica dei selfie” per affrontarli, basta una diretta streaming.