Un vero e proprio terremoto scuote gli equilibri della mafia dell’Arenella. La Direzione investigativa antimafia di Palermo ha eseguito all’alba di oggi un provvedimento restrittivo emesso dal gip nei confronti di otto presunti affiliati a quella che è considerata una delle famiglie mafiose più rappresentative del mandamento di Palermo-Resuttana. Gli otto sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa ed altri reati.
Nel corso dell’operazione sono stati arrestati anche i tre fratelli Gaetano, Pietro e Francesco Paolo Scotto. Gaetano Scotto – indicato dai pentiti come la cerniera tra Cosa nostra e i servizi segreti negli anni neri delle bombe – è una delle dieci persone accusate e poi scagionate per la strage di via D’Amelio e adesso parte civile nel processo sul depistaggio che è in corso a Caltanissetta per essere stato accusato falsamente dall’ex pentito Vincenzo Scarantino.
Anche, Pietro, tecnico di una società di telefonia, è stato coinvolto nell’inchiesta sull’uccisione di Paolo Borsellino. Era stato accusato di aver captato la chiamata con cui il magistrato comunicava alla madre che stava per andare a farle visita nella sua abitazione di via D’Amelio. Pietro Scotto, condannato in primo grado, era stato poi assolto in appello.
L’operazione è stata chiamata White Shark, letteralmente “squalo bianco”. Gaetano Scotto, 68 anni, era libero da qualche anno. E dal giorno in cui aveva riacquistato la libertà tornando a passeggiare nella sua borgata, a Vincenzo Agostino – il padre dell’agente assassinato nel 1989 – avevano assegnato la scorta. Secondo gli inquirenti, dopo la scarcerazione sarebbe tornato a guidare la famiglia mafiosa dell’Arenella.
Considerato uno dei più misteriosi padrini delle zone Arenella-Acquasanta, su Gaetano Scotto la procura di Caltanissetta aveva a lungo puntato i riflettori. Era stato arrestato per la prima volta dai carabinieri a Chiavari, in Liguria, nell’estate del 2001. Le forze dell’ordine lo cercavano da 9 anni. Scotto è sempre stato ritenuto l’uomo dei misteri del processo per la strage di via D’Amelio. Nella sua deposizione il funzionario di polizia Gioacchino Genchi l’aveva infatti indicato come un possibile uomo di raccordo della mafia con i servizi segreti deviati.
Dal suo cellulare – aveva rivelato in aula Genchi – nel febbraio del ’92 partì una telefonata diretta ad un’utenza del Cerisdi, al Castello Utveggio, una scuola per manager che sorge sul monte Pellegrino che sarebbe stata utilizzata in quel periodo come base di una cellula del Sisde. E proprio dal monte Pellegrino gli eventuali killer appostati avrebbero avuto una perfetta visuale di via D’Amelio senza correre il rischio di restare coinvolti nella devastante esplosione.
Fonte: PalermoToday