38 anni fa Carlo Alberto Dalla Chiesa, insieme alla giovane moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente di scorta Domenico Russo, perdeva la vita in uno dei più vili attentati di mafia, in via Carini, a Palermo. Al di là delle rituali commemorazioni del 3 settembre, giorno del terribile agguato, e oltre a ricordarne la statura morale, prezioso patrimonio di valori civili da trasmettere alle nuove generazioni, ci preme sottolineare la sua lotta alla mafia dei colletti bianchi, vera insidia del nostro tempo. L’auto in cui viaggiavano le tre vittime, l’Autobianchi A112, fu dilaniata da una violenta scarica di trenta colpi di Kalashnikov AK47. I killer scelsero un’arma da guerra per mettere a tacere per sempre questo coraggioso servitore dello Stato troppo scomodo per Cosa nostra. Il
prefetto di Palermo, grazie alla sua notevole esperienza, si era inserito efficacemente nelle dinamiche della “Seconda guerra di mafia”, a causa della quale i corleonesi stavano massacrando tutti i nemici per avere il controllo totale della “zona”. Per Dalla Chiesa “l’arroganza mafiosa doveva cessare” e in tempi brevi. Al generale furono sufficienti poco più di cento giorni nella sua “sede di lavoro” per rimettere in moto la speranza dei palermitani onesti, sensazione che durò pochissimo perché Cosa nostra attraverso i sicari di via Carini, “sette o otto di quelli terribili”, fece ripiombare i cittadini nell’orrore delle stragi e della violenza criminale. Cosa nostra aveva già all’attivo tanti crimini ripugnanti: magistrati illuminati, politici specchiati, sindacalisti indomiti erano le vittime designate per chiudere il cerchio degli uomini onesti, difensori della legge. Non è un caso se il generale fu inviato a Palermo all’indomani dell’omicidio del sindacalista Pio La Torre. E così, dopo Boris Giuliano, Piersanti Mattarella, Pio La Torre e altri nomi di questo ferale elenco, quella mattina
a via Isidoro Carini la rappresaglia mafiosa fece tremare una volta ancora l’Italia. Proprio nel momento in cui nel nostro Paese si era riaccesa la speranza, legata alla figura del generale Dalla Chiesa, già valente esecutore della lenta disgregazione del fenomeno terroristico in Italia. In questo caso, il generale avviò quel processo che, impercettibilmente ma incisivamente, pose fine alle violente stragi degli Anni di piombo. I vertici dello Stato furono travolti dall’inquietante morte di Dalla Chiesa. In molti ricorsero al “mea culpa”, lacerati dal rimpianto di non avergli mai concesso i pieni poteri che egli invocava da tempo, in modo molto deciso. Grave mancanza, nei confronti di una figura di primo piano come il prefetto, che aveva conquistato molti apprezzamenti nella lotta al terrorismo culminata con l’arresto di terroristi di primo piano. Annientare la malavita organizzata voleva dire disporre di tutto un apparato di cui Dalla Chiesa era privo: un uomo solo contro un nemico potente. “Innovatore attento e lungimirante” lo ha definito il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, “un difensore della giustizia, medaglia d’oro al valore civile, che di valori civili ha riempito il nostro Paese negli anni in cui terrorismo e mafia lo deturpavano insieme e senza alcuna pietà. Il 3 settembre siamo chiamati tutti a ricordare perché è il giorno del ricordo”. E al ricordo ci guidano le numerose interviste, con valenti giornalisti, in cui il generale ha palesato in modo straordinario la sua lungimiranza. Sarebbe il caso, andando sui canali preposti, rivedere tali memorabili testimonianze, sottoporle ai nostri giovani perché possano assorbire i valori legati alla figura di Dalla Chiesa. In questi giorni, le cronache politiche sono piene di articoli, commenti, interviste che riguardano la scuola. Ebbene, al di là delle polemiche sulla riapertura o non riapertura, sui banchi monoposto, la rilevazione della temperatura, le modalità di insegnamento e chi più ne ha ne metta, riteniamo che i docenti debbano caratterizzare l’anno scolastico che si va a inaugurare con tutte le iniziative finalizzate alla legalità e alla costruzione di una forte e autentica coscienza civile. Mettiamo al primo posto l’educazione civica, che si appresta a diventare una materia curricolare. Commemorare uomini come Carlo Alberto Dalla Chiesa è già fare educazione civica, perché significa parlare ai ragazzi del ruolo attivo dei cittadini e del modo di operare dello Stato. Dilatiamo perciò il tempo del ricordo e facciamo in modo di non arrivare, ogni anno, digiuni al 3 settembre. Educhiamo i nostri ragazzi al vivere civile e ai valori della legalità, nel nome di Carlo Alberto Dalla Chiesa, di Emanuela Setti Carraro, di Domenico Russo e di tutte le altre vittime che, con il loro sacrificio hanno qualcosa da insegnarci.