La tragica morte di Melania Rea: il marito Salvatore Parolisi, condannato a 20 anni, potrebbe uscire dal carcere tra pochi giorni, fruendo dei permessi per frequentare l’università, facoltà di Giurisprudenza. E monta l’indignazione dei parenti della giovane madre uccisa con 35 coltellate, con roventi polemiche. Insorge la famiglia, che contesta l’adesione al programma di rieducazione cui l’ex caporal maggiore si è sottoposto. “Parolisi pensa di rifarsi una vita ma dimentica di averla tolta a sua moglie”, sostiene il fratello della donna, madre di una bimba, Vittoria, che attualmente vive con i nonni materni. Per questo tale proposta continuerà ad avere spiacevoli strascichi. La storia inquietante risale al 2011 e lascia attonita l’opinione pubblica, per le modalità dell’omicidio, le incertezze, i depistaggi, l’accanimento con cui si è infierito sul corpo della giovane mamma. I fatti: sono le 14 e 50 del 20 aprile, quando al 113 di Teramo arriva una telefonata concitata. Un uomo presumibilmente sulla cinquantina, accento locale, segnala il ritrovamento di un cadavere durante la consueta passeggiata nel bosco di Ripe di Civitella, località vicina a un chiosco tipo chalet. Sebbene l’informatore rimanga anonimo partono i controlli di rito. Accanto alla rivendita di bibite, sopra foglie e aghi di pino disseminati sul terreno, c’è il cadavere di una donna. Si appura dai documenti che il suo nome è Carmela Rea, chiamata affettuosamente Melania. È seminuda, il corpo straziato di ferite, il collo inondato di sangue e una siringa conficcata all’altezza del cuore. Ė il fratello a identificarla e poco dopo, qualcuno avvisa il marito Salvatore Parolisi, caporal maggiore del 235° Reggimento Piceno che indica il luogo del delitto come meta abituale frequentata dalla coppia con la loro bambina di 18 mesi che lì si diverte con i giochi installati nel bosco. E proprio il 18 aprile 2011 la coppia era uscita con la bimba per una passeggiata a Ripe di Civitella. Secondo quanto verrà riferito da Parolisi, l’unico in grado di confermare questa circostanza. Quel giorno la donna si allontanò per andare in bagno nel chiosco, gestito da un certo Carlo. Nessuno però, come si apprenderà in seguito, l’ha mai vista entrare. Ė lo stesso marito di Melania, trascorsi una ventina di minuti, a dare l’allarme: Parolisi, non vedendo rientrare la moglie, chiama i soccorsi e fa scattare le ricerche. L’autopsia, eseguita dal medico Adriano Tagliabracci, appura che Melania è stata uccisa con 35 coltellate, ma non vengono trovati segni di strangolamento e nemmeno di violenza sessuale. Accanto al corpo della donna viene trovato il suo cellulare con la batteria scarica e si recupera anche una sim card diversa da quella del portatile solitamente usato dalla donna. Il segnale telefonico sarebbe stato attivo fino alle 19 circa. Poi più nulla. Scartata l’ipotesi del maniaco resta quella del fanatico, del neonazista che sfregia il corpo della vittima disegnando svastiche, anche se i giudici hanno un’idea diversa di quei segni. Sono il tentativo di depistaggio del killer che, probabilmente, vista la vicinanza con il chiosco di Carlo, nostalgico del duce, intende far ricadere su di lui la colpa. Idem per la siringa conficcata a pochi centimetri dal cuore che, insieme al laccio emostatico, trovato sul terreno, avrebbe dovuto attribuire il crimine alla mano di un tossicodipendente. Maldestri tentativi di sviare le indagini. Parolisi infatti, non viene immediatamente iscritto nel registro degli indagati. L’avviso di garanzia gli viene notificato il 29 giugno 2011, a più di due mesi dall’omicidio della moglie. I sospetti però si concentrano subito su di lui. In sede di indagini emerge che il caporal maggiore intrattiene da tempo una relazione con una collega, Ludovica, a cui ha promesso che avrebbe lasciato la moglie per iniziare insieme una nuova vita. Un movente del delitto sarebbe quindi il conflitto familiare di un uomo che non vuole interrompere il menage coniugale ma, evidentemente, desidera mantenere il piede in due staffe. Da una parte l’amante, dall’altra la consorte, di cui avverte tutto il peso e la cui presenza non gli consente di vivere liberamente l’altro rapporto, che va avanti da un anno e che l’uomo, nonostante gli scontri con sua moglie, non interrompe. Anzi, sarebbe in procinto di incontrare i genitori di Ludovica per una presentazione ufficiale. Così, Il drammatico triangolo diventa un possibile movente per chi indaga. È tutto scritto nei numerosi messaggi scambiati su Facebook e recuperati dagli inquirenti dal telefono e dal computer di Parolisi, che tre mesi dopo viene arrestato, per essere poi condannato. Uno studio interessante, quello del Pc del militare, che tratteggia un uomo non certo addolorato dalla vedovanza. E ora, grazie alla buona condotta e al programma di rieducazione che il militare, ora degradato, ha seguito, per lui potrebbero aprirsi definitivamente le porte del carcere di Bollate, prima del tempo.